GENOVA/LETTERA PASTORALE – Conclusa la visita pastorale, il cardinale Angelo Bagnasco ha voluto offrire alcune considerazioni su quanto ha visto nelle diverse zone della diocesi ed anche alcune indicazioni per proseguire il cammino insieme, pastore e fedeli. A tutti la richiesta di essere all’altezza del gesto divino instancabile di seminare, così che Cristo venga annunziato a tutti.
È durata sei anni (2007-2013) la Visita pastorale del cardinale Angelo Bagnasco alla arcidiocesi di Genova. E, ora che è terminata, l’arcivescovo offre una Lettera pastorale, che sarà consegnata ufficialmente la prima domenica di Avvento. Nel testo egli offre alcune considerazioni su quanto ha visto nelle diverse zone della Diocesi ed anche alcune indicazioni per proseguire il cammino insieme, pastore e fedeli.
Vita che brulica. “Ascoltando la gente, ho visto la vita che brulica: tesori di bontà umile e di fede semplice nelle famiglie, negli adulti e nei bambini, negli adolescenti e nei giovani. Dio opera nel silenzio e noi dobbiamo vederlo con gli occhi della fede. Quanta gente vive con dignità e dedizione!” Le prime parole invitano alla fiducia perché il bene è tanto presente nella società, nonostante una certa rappresentazione vorrebbe far credere che regnino ovunque l’interesse e la corruzione, l’egoismo e l’evanescenza. “La gente semplice è sana e vive guardando con simpatia e speranza la Chiesa”. La fiducia nasce dalla constatazione che Dio, il generoso seminatore, continua a seminare il campo. E lo fa sia attraverso i sacerdoti, che con generosità e dedizione si spendono per il loro gregge, sia attraverso i fedeli laici che nelle forme più diverse collaborano con l’azione apostolica della Chiesa.
Che cosa domanda l’arcivescovo? Ai pastori e ai fedeli chiede di continuare ad essere all’altezza del gesto divino instancabile di seminare così che attraverso ogni iniziativa pastorale – sia essa vecchia e nuova – Cristo venga annunziato a tutti. Nella programmazione pastorale si tratta di evitare di scegliere in partenza i terreni, gli ambienti, le situazioni o le categorie che si pensa potrebbero meglio accogliere il Vangelo. La logica evangelica è diversa! Non è quella del risparmio, ma della dispersione del seme ovunque, anche sui terreni meno ospitali. La partita dell’evangelizzazione non va giocata “in difesa”, selezionando i terreni o gli strumenti. Occorre mantenere quanto la pastorale di un tempo ha consegnato e rispondere a quanto oggi si domanda. Nella logica dello “spreco” evangelico l’arcivescovo raccomanda la benedizione delle famiglie nelle loro case, la visita regolare agli infermi, la preparazione ai sacramenti, la cura delle associazioni più consolidate, come delle realtà più nuove: movimenti e cammini. Escludere qualcosa sarebbe come mortificare la libertà dello Spirito che soffia dove vuole, attraverso cose di sempre e cose nuove. Nella Chiesa la diversità è una ricchezza, di cui tutti sono responsabili.
Chiesa in “uscita”. Il gesto di seminare ovunque il Vangelo pone la Chiesa costantemente in missione, come dice il Papa “in uscita”. In questa prospettiva la Lettera pastorale offre importanti considerazioni. Senza preghiera e senza vita sacramentale si crede di annunciare il Vangelo, ma, in realtà, si porta se stessi e le proprie opinioni. La missione, responsabilità che tutti hanno in forza del battesimo ricevuto, ha come vera preparazione l’esperienza dell’amore di Gesù Cristo. L’azione pastorale ordinaria – si pensi a quella che si vive in occasione dei sacramenti – assume necessariamente la dimensione missionaria, perché ogni occasione è un’opportunità per annunciare Cristo. Il cristiano missionario prima di parlare deve ascoltare, cercando di entrare nella notte dell’uomo, ma senza essere invaso dal buio e perdersi. Annunciare Cristo significa porsi a fianco di un altro per indicare una strada, che, a nostra volta, ci è stata indicata. Infine, si esce per invitare l’altro ad entrare: viene e vedi! E che cosa vede chi varca la porta delle nostre comunità? Una celebrazione liturgica, dove Cristo è il protagonista; una comunità unita nell’amore e nel servizio, ma anche capace di resistere all’aria del pensiero unico.di Marco Doldi per Agensir