Suor Cecilia ha donato un rene a una consorella per permetterle di tornare alla vita: «Ho pregato tanto e poi ho detto il mio “sì”. Tutti noi possiamo essere strumenti nelle mani di Dio».
Come in uno splendido arazzo, ci sono tanti fili che tessono questa storia. Partono dal Messico e dall’Indonesia, si intrecciano a Roma e ritornano ad abbracciare altre latitudini. Sono fatti della materia del desiderio e della sofferenza, della preghiera e della speranza.
Cecilia Carranca è messicana, ha 34 anni e oggi è missionaria in Vietnam. Ha scoperto di voler diventare religiosa nel momento in cui le cose le andavano meglio nella vita: stava festeggiando la borsa di studio vinta per entrare alla Facoltà di architettura e, pur sperimentando «la gioia di essere innamorata persa e di sapermi amata da un bravo ragazzo», sente che deve cambiare strada. Ritorna a quell’intuizione avuta da piccola, quando frequentava la scuola delle Missionarie clarisse del Santissimo Sacramento. «La missione mi affascinava: sapevo che con Gesù la vita è tutta un’altra cosa, ha un senso, c’è vita e gioia vera, ma ci sono tanti cuori che questo non lo sanno ancora, nessuno gliel’ha mai detto o non l’hanno capito. Così scoprivo dentro di me l’urgenza di fare qualcosa e nel mio istituto ho trovato la strada per realizzarlo». Essere missionaria, dice Cecilia, per lei significa «non solo la possibilità di andare in missione in Paesi lontani ma vivere da missionaria in ciò che faccio ogni giorno: poco o tanto che sia, nelle mani del Signore ha un valore incalcolabile».
STRUMENTO PER IL BENE
Ben presto la vita mette alla prova quest’intuizione. A Roma, dove si trasferisce nel 2001 per la formazione religiosa, nella casa generalizia di Castel Giubileo, dopo qualche anno arriva una giovane consorella indonesiana, Sisilia Rizky Indirani. «Durante gli studi Sisilia contrae una malattia ai reni, per cui, nonostante la sua giovinezza, era come una luce che si stava spegnendo: ospedali, medici, medicine, fino alla dialisi. Sono certa che solo chi lo vive sa quanto si soffra». Si arriva al punto in cui solo un trapianto avrebbe potuto salvarla. La superiora generale chiede a tutta la comunità di intensificare la preghiera, ma Cecilia non smette di pensare «che in me poteva esserci una speranza di vita per la mia consorella». Sisilia, però, sentendo le parole «trapianto da vivente», aveva chiesto di non permettere a nessuna consorella di fare una donazione, «perché non voleva “rovinare” la vita di qualcun altro». Viene così aggiunta alla lista d’attesa per il trapianto al policlinico Gemelli. Mentre Cecilia viene trasferita in una nuova missione fuori dall’Italia.
Quando però a tutta la Congregazione arriva la richiesta di pregare perché un miracolo salvi la ragazza, Cecilia si chiede: «E se Dio volesse fare il miracolo come quando ha sfamato la moltitudine con 5 pani e 2 pesci? E se volesse fare di me uno strumento?». Sui trapianti da vivente «sapevo solo che la mia vita sarebbe potuta andare avanti benissimo con un rene solo e alla mia consorella avrebbe potuto dare una nuova vita. Non era però detto che io e lei fossimo compatibili. E sui rischi, come in tutte le operazioni chirurgiche, potevano esserci degli imprevisti».
Ne riparla con la superiora e decidono di provarci. «Perché se questa era la sua volontà lui l’avrebbe realizzata». Accertata la compatibilità tra le due donne per la donazione, si procede all’operazione. Quando le due giovani entrano in sala operatoria l’intera congregazione, in tutto il mondo, è riunita in preghiera. Quel periodo, dice Cecilia, «è stato un tempo di grazia molto particolare. In quel momento avevo 29 anni, volevo essere una “grande missionaria”, ma poi il Signore ha messo davanti a me questa possibilità, mi è stato detto che se sceglievo il trapianto molto probabilmente non sarei andata in missione, ma non c’è un solo minuto in cui me ne sia pentita».
FIDUCIA NEL DISEGNO DI DIO
L’esperienza, dice Cecilia, le ha insegnato da un lato ad avere «fiducia nei disegni di Dio: tutto ciò che accade nella nostra vita ha un perché. La maggior parte delle volte non riusciamo a capire subito, ma è parte di una storia d’amore che lui sta scrivendo». E dall’altro che «il mio poco nelle mani del Signore diventa immenso, può trasformare la vita di qualcun altro. Il mio piccolo sì, insieme a quello di tante altre persone – medici, infermiere, la nostra comunità, le nostre famiglie, le preghiere di tante persone –, il Signore lo ha accolto e ha compiuto il miracolo».
Oggi con la consorella cui ha donato l’organo si sente legata in un modo molto particolare. Quest’esperienza «ha rinforzato la nostra appartenenza al Dio-Padre che si prende cura dei suoi piccoli e ha un piano perfetto per ognuno di noi; ha rinforzato il nostro essere sorelle, davvero sorelle, altrimenti chi poteva immaginare che ci fosse un legame così, tra una persona nata in Indonesia e una nata in Messico? Dopo il trapianto nel 2012, mi hanno trasferito, l’ho vista solo un paio di volte, ci scriviamo poco, ma anche nel silenzio sappiamo che l’altra c’è: lei rimane sempre nelle mie preghiere e so di poter contare sulle sue».
A chi vorrebbe fare una donazione, suor Cecilia direbbe «innanzitutto, di fidarsi e affidarsi; qualsiasi paura viene annullata quando si ha la certezza di non essere da soli, quando sappiamo che c’è Qualcuno, che ci ama, che si prende cura di noi. Poi direi che la vita è un dono gratuito che ci è stato dato, di cui siamo custodi e trasmettitori, passa attraverso di noi per dare vita a sua volta, ma se si ferma muore; come un matrimonio, che per amore riesce a donare vita a una nuova creatura, tante volte possiamo essere noi gli strumenti di cui Dio si avvale per ridonare vita. Un piccolo gesto, il nostro sì alla vita, ma 5 pani e 2 pesci nelle mani del Signore possono bastare».
IL DONATORE “SAMARITANO”
Per donatore “samaritano” si intende un donatore vivente di rene che offre l’organo alla collettività e non a uno specifico ricevente senza alcun tipo di remunerazione o contraccambio. È quindi un caso diverso da quello di suor Cecilia, che ha donato il rene a una consorella conosciuta. La donazione “samaritana” è considerata un atto apprezzabile dal punto di vista etico ma non preteso sul piano morale e/o giuridico. La decisione di donare un rene alla collettività deve essere libera, gratuita e informata. La donazione cosiddetta “samaritana” è ammessa solo per il rene. Data la speciicità di questo tipo di donazione, non può considerarsi sostitutiva alla donazione di rene da vivente “standard” e a quella da cadavere. Per info: www.trapianti.salute.gov.it. Contatti: Tel:06/49.90.40.40 e-mail: cnt@iss.it
Fonte www.famigliacristiana.it/Vittoria Prisciandaro