La Civiltà Cattolica ha pubblicato oggi, in versione cartacea e digitale sul suo sito web www.laciviltacattolica.it, un lungo colloquio tra Papa Francesco e l’Unione superiori generali (Usg), avvenuto il 29 novembre scorso, al termine del quale il Pontefice ha annunciato che il 2015 sarà un Anno dedicato alla Vita Consacrata. Padre Antonio Spadaro, direttore della rivista della Compagnia di Gesù, seduto tra i 120 superiori generali ricevuti dal Papa, ha registrato il colloquio libero e spontaneo, facendo una cronaca commentata dell’incontro.
“Bisogna formare il cuore. Altrimenti formiamo piccoli mostri. E poi questi piccoli mostri formano il popolo di Dio. Questo mi fa venire davvero la pelle d’oca”: è uno dei passaggi più forti della conversazione tra Papa Francesco e l’Unione superiori generali. Un colloquio – come racconta padre Antonio Spadaro, cronista d’eccezione dell’evento – che doveva essere un semplice saluto e diventa invece un dialogo di tre ore sulle sfide principali che la vita religiosa e la Chiesa si trovano oggi ad affrontare. Tra i tanti temi trattati: la complessità della vita, fatta di grazia e di peccato; l’essere profeti nel nostro mondo, la fraternità, la denuncia della “tratta delle novizie”, cioè il massiccio arrivo di Congregazioni straniere che aprono case allo “scopo di reclutare vocazioni da trapiantare in Europa”. E ancora la denuncia di atteggiamenti quali ipocrisia e fondamentalismo, l’elogio della grande decisione di Benedetto XVI nell’affrontare i casi di abuso, l’importanza dei carismi, la necessità della tenerezza, del saper “accarezzare i conflitti”.
Il tema toccato all’inizio della conversazione è stato l’identità e la missione dei religiosi. “La radicalità evangelica non è solamente dei religiosi – avverte il Papa – è richiesta a tutti”. Tuttavia, “i religiosi seguono il Signore in maniera speciale, in modo profetico”. E questa è la “testimonianza” che Papa Francesco si aspetta. “I religiosi – esorta – devono essere uomini e donne capaci di svegliare il mondo”. “La vita – riconosce – è complessa, è fatta di grazia e di peccato. Se uno non pecca, non è uomo. Un religioso che si riconosce debole e peccatore non contraddice la testimonianza che è chiamato a dare, ma anzi la rafforza”. Papa Francesco chiede di evitare il fondamentalismo e illuminare il futuro. E ribadisce la convinzione che “i grandi cambiamenti della storia si sono realizzati quando la realtà è stata vista non dal centro, ma dalla periferia”. “Stare nelle periferie – soggiunge – aiuta a vedere e capire meglio, a fare un’analisi più corretta della realtà, rifuggendo dal centralismo e da approcci ideologici”.
Papa Francesco fa riferimento alla sua esperienza di gesuita. “Per capire – osserva – ci dobbiamo scollocare, vedere la realtà da più punti di vista differenti. Dobbiamo abituarci a pensare”. Il Papa ricorda una lettera del padre Pedro Arrupe per ribadire che il religioso deve “conoscere davvero la realtà e il vissuto della gente. Se questo non avviene, allora ecco che si corre il rischio di essere astratti ideologi o fondamentalisti, e questo non è sano”. Il Papa rivolge in particolare il pensiero all’apostolato giovanile: “Chi lavora con i giovani – ammonisce – non può fermarsi a dire cose troppo ordinate e strutturate come un trattato, perché queste cose scivolano addosso ai ragazzi. C’è bisogno di un nuovo linguaggio”. “Oggi – prosegue – Dio ci chiede questo: di uscire dal nido che ci contiene per essere inviati”.
Ma qual è dunque la priorità della vita consacrata? “La profezia del Regno – risponde il Papa – che non è negoziabile”. Una profezia “che fa rumore” e che ha il carisma di “essere lievito”. Il Papa mette in guardia dalla tentazione di “giocare a fare i profeti senza esserlo”. E incoraggia a “cercare sempre nuovi cammini”, perché il carisma non diventi sterile. Riguardo alle vocazioni in crescita nelle Chiese giovani e all’inculturazione dei carismi, Papa Francesco sottolinea che “il carisma non è una bottiglia di acqua distillata. Bisogna viverlo con energia, rileggendolo anche culturalmente”. “Ma così – afferma il Papa nel dialogo con i superiori generali – c’è il rischio di sbagliare, direte, di commettere errori”. È vero, ammette il Papa, è “rischioso”. “Faremo sempre degli errori, non ci sono dubbi. Ma questo – è la sua convinzione – non deve frenarci”. “Infatti – ribadisce – dobbiamo sempre chiedere perdono e guardare con molta vergogna agli insuccessi apostolici che sono stati causati dalla mancanza di coraggio”. E mette l’accento sulla necessità di introdurre nel governo centrale degli ordini e delle Congregazioni “persone di varie culture, che esprimano modi diversi di vivere il carisma”. D’altro canto, spiega che “inculturare il carisma” è “fondamentale e questo non significa mai relativizzarlo”.
Papa Francesco ha anche annunciato di aver chiesto alla Congregazione per la Vita Consacrata di riprendere in mano due documenti: il primo sulla vocazione dei religiosi che non sono sacerdoti. Il secondo documento citato, del quale è in corso una revisione, è Mutuae relationes sul rapporto tra vescovi e religiosi nelle Chiese locali. “Noi vescovi – afferma il Papa – dobbiamo capire che le persone consacrate non sono materiale di aiuto, ma sono carismi che arricchiscono le diocesi”. Nel colloquio, riferisce padre Spadaro, si è dato ampio spazio al tema della formazione e alle sue priorità. “Il fantasma da combattere – avverte Papa Francesco – è l’immagine della vita religiosa come rifugio e consolazione davanti a un mondo esterno difficile e complesso”. Il Papa mette nuovamente in guardia dall’ipocrisia e dal clericalismo che possono minare già gli anni del noviziato. “Non si risolvono i problemi semplicemente proibendo di fare questo o quello. Serve tanto dialogo, tanto confronto”. E definisce l’ipocrisia, frutto del clericalismo, “uno dei mali più terribili”. Quindi, ricorda la “grande decisione” di Benedetto XVI nell’affrontare i casi di abuso. Questo esempio, annota, “ci deve servire da esempio per avere il coraggio di assumere la formazione personale come sfida seria, avendo in mente il popolo di Dio”.
La formazione, riprende il Papa, deve essere orientata non solamente alla crescita personale, ma al popolo di Dio, a coloro ai quali saranno inviati. “Pensiamo a quei religiosi che hanno il cuore acido come l’aceto – avverte – non sono fatti per il popolo”. E aggiunge: “Non dobbiamo formare amministratori, gestori, ma padri, fratelli, compagni di cammino”. La formazione, ne è convinto, “è un’opera artigianale, non poliziesca”. E indica quelli che per lui sono i quattro pilastri fondamentali della formazione: “spirituale, intellettuale, comunitario e apostolico”: Pilastri, constata, che “devono interagire sin dal primo giorno di ingresso in noviziato”, “ci deve essere un’interazione”.
Il Papa e i Superiori generali si sono, quindi, soffermati sul tema della fraternità e sul rischio dell’individualismo che si annida nelle comunità. “A volte – riconosce – è difficile vivere la fraternità, ma se non la si vive non si è fecondi”. Anche il lavoro “apostolico” per il Papa può correre il rischio di una fuga dalla vita fraterna, e “se una persona non riesce a vivere la fraternità, non può vivere la vita religiosa”. Il conflitto è inevitabile, prosegue, ma “va assunto: non deve essere ignorato. Se coperto, esso crea una pressione e poi esplode”. “A volte – afferma parlando dei religiosi – siamo molto crudeli. Viviamo la tentazione comune di criticare per soddisfazione personale o per provocare un vantaggio personale”. A volte, sostiene ancora, “le crisi della fraternità sono dovute a fragilità della personalità, e in questo caso è necessario richiedere l’aiuto di un professionista, di uno psicologo. Non bisogna avere paura di questo”. Mai, però, “dobbiamo agire come gestori davanti al conflitto di un fratello. Dobbiamo coinvolgere il cuore”. Il Papa chiede, ancora una volta, di saper “accarezzare i conflitti” con “tenerezza eucaristica”. “La tenerezza eucaristica – riprende – non copre il conflitto, ma aiuta ad affrontarlo da uomini”.
Infine, Papa Francesco parla del tema a lui caro delle “frontiere” dell’evangelizzazione. Certo, spiega, ci sono quelle geografiche, ma anche “quelle simboliche” che “non sono prefissate e non sono uguali per tutti”. Il Papa torna ad indicare come priorità le realtà di esclusione, “dove vanno inviate le persone migliori, le più dotate”. La frontiera “culturale e quella educativa nella scuola e nell’università”, conclude, è una missione “chiave”. Parola che ripete tre volte. Una missione che, esorta Papa Francesco, richiede di annunciare Cristo anche affrontando situazioni familiari inedite e complesse.
Il servizio è di Alessandro Gisotti per la Radio Vaticana