La Tavola rotonda si aprirà con un intervento della Dott.ssa Anna Sammassimo (Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano – Avvocato della Rota Romana – Avvocato della Curia Romana), che, dopo una premessa volta a evidenziare le certezze rinvenibili nell’ordinamento canonico in ordine alla nozione di famiglia, passerà a rilevare le difficoltà che invece al riguardo paiono caratterizzare l’ordinamento italiano; e ciò a dispetto di un dato normativo e d’un sistema di valori recepito finanche nella Costituzione proprio dalla tradizione cattolica, che vede nella famiglia quella “società naturale fondata sul matrimonio” (art. 29) alla quale (ed alla quale soltanto) il Costituente ha inteso garantire tutela attraverso il riconoscimento dei diritti fondamentali dei suoi componenti. Rilevando come in tale ordinamento sia invece per un verso sempre meno percepibile, nella realtà di fatto come in quella giuridica, la stretta correlazione tra matrimonio e famiglia; e vieppiù come le stesse definizioni dei due istituti assumono contorni sfumati e finanche poco chiari (si pensi, ad es. al moltiplicarsi delle aggregazioni interpersonali – eterosessuali ed anche omosessuali – e, soprattutto, alla diffusa accettazione di tali aggregazioni). A fronte di un siffatto fenomeno, il primo interrogativo che deve porsi la cultura giuridica italiana (ma anche europea) è se la tradizionale concezione del matrimonio e della famiglia propria della società occidentale rimanga inalterata nella realtà del terzo millennio. Questione, però, i cui termini sono alterati dalla contrapposizione che (soprattutto in Italia) caratterizza i contenuti del dibattito tra la cultura laica (o laicista?) e la cultura cattolica: con la prima che contesta alla seconda di volere imporre attraverso precetti normativi di natura legislativa valori che avrebbero la loro legittimazione soltanto nel campo dell’etica. Lasciando, tuttavia, così che la contrapposizione ideologica si sovrapponga sia alla metodologia propria dell’analisi giuridica, sia ad una ricostruzione storica che può aiutare a comprendere gli stessi termini del dibattito. A tale ultimo proposito, l’intervento si concentrerà quindi sui profili che accompagnano la nascita del matrimonio civile sotto la pressione dell’illuminismo settecentesco, ossia da una parte sulla base d’una affermazione della gelosa sovranità dello Stato, ma dall’altra modellando l’istituto civilistico sulla secolarizzazione del matrimonio canonico, dal quale, si noti, mutua diritti e doveri, indissolubilità compresa, escludendo soltanto i profili sacramentali (come accade in Francia, e più tardi- nel 1865 – ma con distinguo rilevanti, in Italia).
Avviandosi alla conclusione, dopo un breve excursus volto a illustrare i principali riferimenti normativi evincibili in materia dall’ordinamento italiano, verranno focalizzate alcune tendenze peculiari che incidono a tutt’oggi sulla regolazione del fenomeno in oggetto, come quella volta alla privatizzazione dell’istituto matrimoniale che prende l’abbrivo con la legge n. 898 del 1970 (sul cd. divorzio), tendenza a cagione della quale il matrimonio non è più assunto quale forma giuridica preordinata alla realizzazione di valori etici e sociali consacrati dalla tradizione, ma come forma giuridica vuota il cui “riempimento di senso” è lasciato al libero sviluppo del costume e del sentimento morale. Da qui, poi, la tendenza ad attenuare fino ad annullare la differenza di regime giuridico tra convivenze fondate sul matrimonio e quelle non fondate sul matrimonio, con l’aggravante che talvolta il diritto non favorisce né agevola la famiglia legittima. Da qui, infine, la tendenza a considerare le unioni di fatto alla stessa stregua del matrimonio, secondo quell’ideologia dell’“indifferenziato” che propone di mettere sullo stesso piano anche sotto il profilo giuridico ogni rapporto di coppia (legale o di fatto, etero o omosessuale). In conclusione, si puntualizzerà il fatto che pur di fronte alla complessità della realtà odierna si possa e si debba difendere l’istituto del matrimonio come quello della famiglia, anche a partire da una battaglia terminologica; che il matrimonio (non solo cristiano ma anche civile) è l’unione tra un uomo ed una donna (e solo quella), e che altre realtà possono essere altrimenti chiamate o denominate; che per famiglia si intende quella comunità di vita che nasce dal matrimonio; e infine che la società abbisogna di tale comunità per la sua stessa stabilità mentre la declinazione al plurale del termine (“famiglie”) genera confusione e precarietà.
A seguire, l’intervento del Prof. Antonio Ingoglia (Università degli Studi di Palermo – Giudice presso il Tribunale Ecclesiastico Regionale Siculo) s’incentrerà sul tema dell’aggiornamento delle norme che riguardano la filiazione, e del fatto conseguente che quest’ultima venga sempre più configurandosi alla stregua di uno status giuridico tutelabile indipendentemente dalla relazione esistente tra i genitori: come si evince dall’ampio riconoscimento fatto nei riguardi della prole nata al di fuori della compagine familiare regolarmente costituita. Un’evoluzione, questa, individuabile ancorché con diversa intensità in quasi tutti gli ordinamenti statuali contemporanei, ma che appare meno marcata negli ordinamenti di matrice confessionale promananti dai principali sistemi religiosi (islamico e cristiano), rimasti più di altri impermeabili, stante la loro irriducibile specificità, all’indebolimento del modello familiare tradizionale e della sua forma ordinaria di costituzione. Ciò vale in particolare per l’ordinamento canonico, le cui norme in materia di rapporti familiari in genere appaiono rivolte, al pari di quelle concernenti in particolare la filiazione, alla tutela di un ben definito interesse, quale quello alla difesa della famiglia di fondazione matrimoniale. L’intervento, poi, si focalizzerà sulle implicazioni derivanti dalla permanenza nel nuovo Codex j.c. della tradizionale distinzione tra prole legittima ed illegittima, che risale – com’è noto – alla tradizione romanistica ed attraverso di essa si è venuta imponendo sin dalle sue origini anche nel diritto della Chiesa; ma con qualche temperamento, volto ad ovviare alle distorsioni dei costumi romani e a vari pericoli, come ad es. che i figli non nati “ex iustis nuptiis” potessero in ogni caso essere privi di qualsiasi tutela (v. ad es. l’espediente impostosi nella pratica canonica e accolto nel diritto giustinianeo a partire dall’età intermedia di attribuire la legittimità anche ai figli nati in costanza di matrimonio putativo, ossia mediante la previsione di una eccezione alla tradizionale regola romana delle “iustae nuptiae”). Riguardo alla normativa del nuovo testo codiciale, segnatamente, verrà posto in luce ed esaminato il momento più alto nella direzione di una maggior tutela dei figli illegittimi, lì dove si supera sostanzialmente ogni residua disparità: così che la netta distinzione tra la prole legittima e quella illegittima non incide concretamente sul rispettivo “status” giuridico, stante che l’una e l’altra fruiscono di un pari trattamento giuridico. Ciò, tuttavia, senza creare uno “statusunico di filiazione”, che avrebbe potuto compromettere l’insopprimibile principio del “favor legittimitatis” (e dunque riconoscendo la necessità logica della distinzione formale), ma comunque assumendo l’opzione a favore di una parificazione di trattamento: così allineandosi a quella in atto in molti degli ordinamenti secolari del nostro tempo (dove però tale scelta si iscrive in un più generale percorso tendente ad una unificazione dei distinti stati di filiazione, nonché al processo di indebolimento del concetto di famiglia legittima).
Alla ripresa dei lavori, avrà luogo la seconda parte della Tavola rotonda, che si aprirà con l’intervento del Dott. Mario Ferrante (Università degli Studi di Palermo) il quale – anche dalla sua prospettiva di Avvocato della Rota Romana – si propone l’obiettivo specifico di analizzare la correlazione esistente tra cultura, costume, struttura sociale e i mutamenti della giurisprudenza dei tribunali ecclesiastici italiani in materia matrimoniale. La premessa generale sullo sfondo, è che per comprendere un qualsiasi ordinamento giuridico non è possibile prescindere dal c.d. diritto vivente, ossia da come viene in concreto interpretato e “vissuto” il diritto in un determinato contesto storico, sociale e culturale. Uno stesso testo normativo può, infatti, essere interpretato in modi completamente diversi a seconda del tempo e del luogo in cui lo si esamina. Questo perché il diritto cambia (si evolve) con il cambiare della società: la disposizione (il testo normativo) rimane lo stesso, ma cambia la norma (l’interpretazione) che da esso si ricava. E nel diritto canonico matrimoniale, segnatamente, il diritto vivente appare vieppiù rilevante, ove si tenga conto del carattere universale del diritto canonico il quale detta, come è noto, norme formatesi nel corso di ben 2000 anni di storia e destinate a valere universalmente. Si comprende, dunque, agevolmente, come tale caratteristica del sistema matrimoniale canonico si presti ad attribuire una notevole rilevanza all’interpretazione giurisprudenziale della Rota Romana che, in alcuni casi (si pensi al caso dell’error redundans in errorem personae) ha avuto una funzione nomopoietica più che nomofilattica. L’elemento interpretativo, poi, ha una rilevanza ancora maggiore ove si guardi alla giurisprudenza dei tribunali c.d. inferiori, che risentono anche del clima culturale e giuridico in cui operano. E’ di tutta evidenza, infatti, che altro è l’elaborazione giurisprudenziale di un tribunale operante in un’area di common law altro è quella di un tribunale ricadente in un’area di civil law.
Alla luce di tale premessa di base, l’obiettivo primo dell’intervento sarà quello di trattare individualmente i principali capi di nullità utilizzati nella pratica forense, onde verificare se ed in che modo il mutare dei tempi e della mentalità stia venendo a tradursi in un cambio di orientamento giurisprudenziale. La finalità ultima, a seguire, sarà mettere a fuoco il fatto rilevante che, al di là della predetta funzione nomopoietica realizzata in più occasioni dalla Rota romana, si abbia la netta percezione che sia in atto al livello dei tribunali c.d. inferiori (regionali e diocesani) un cambiamento lento ma costante, che negli ultimi 40 anni rischia, in alcuni casi, di minare alla base lo stesso principio del favor matrimonii di cui al can. 1060.
Da ultimo, si avrà l’intervento del Dott. Fabiano Di Prima (Università degli Studi di Palermo), che sarà volto a prendere in disamina le politiche, le direttrici normative e le strategie promozionali che l’ordinamento canonico e quello civile italiano hanno adottato e adottano riguardo all’istituto familiare. La premessa di fondo dell’intervento è che a tutt’oggi la famiglia versa in un difficile e critico momento di transizione. Superato infatti quello che vede il passaggio dalla società tardo-ottocentesca e primo-novecentesca a quella moderna, con tutti gli annessi macrofenomeni insorgenti, tra loro variamente intrecciati (l’eclissi del “patriarcato”, la secolarizzazione, la tendenziale laicizzazione delle istituzioni, l’emancipazione femminile, la tensione alla de-istituzionalizzazione delle strutture sociali e politiche, la correlata incentivazione nell’esperienza giuridica del momento privatistico, ecc.); negli ultimi anni la famiglia (ha conosciuto e) conosce i riverberi della c.d. postmodernità, e in particolare, fra le implicazioni dei processi epocali che l’accompagnano (il crollo del socialismo reale, la globalizzazione, la “de-privatizzazione della religione”, la crisi del Welfare, la trasformazione della sovranità westphaliana, ecc.) essa sembra patire, come del resto ogni altro aspetto della vita sociale, la fievole resilienza delle democrazie occidentali verso lo strapotere delle c.d. “teologie economiche”. Ciò in quanto, come ha da ultimo denunciato Papa Francesco (2013) l’assoluta autonomia dei mercati, e vieppiù le ideologie che la legittimano, generano un regime “invisibile” che giunge spesso a condizionare, se non addirittura dominare, i fenomeni sociali: talché, dietro il formale governo della politica, che ha (o forse meglio dovrebbe) avere di mira il benessere dei consociati e l’equilibrato sviluppo dei corpi intermedi, pare stare sempre più spesso il sostanziale controllo dell’economia (in uno con la tecnica) che invece tende a puntare sull’appagamento immediato, sulle “passioni”, e in ultima istanza sulla transitorietà e sulla precarietà, dettando trend e ritmi “irresistibili” che condizionano alla lunga il comune sentire. Con l’obiettivo immediato, di considerevole riflesso per il mondo del diritto, di indurre a ritenere secondarie, anche con riguardo alla famiglia, le idealità valoriali universali, e all’opposto a focalizzare come prioritarie le regole normative “partigiane”, i.e. quelle che risolvono singole questioni e assicurano maggior peso (e potere) a circoscritti interessi: favorendo così l’affermarsi d’un diritto, in questo senso, per così dire “à la page”, che appare tanto più efficiente quanto più guarda a istanze (circostanziate e) immanenti a taluni specifici microcosmi “culturali”. E con l’infelice risultato ultimo, di suggerire la necessità di rinunciare ai valori tradizionali, presentati come riferimenti inevitabilmente radicati nel passato, che frenano, anziché favorire, il buon andamento dell’esperienza giuridica. Talché si indulge, in buona sostanza, a una dinamica esattamente opposta a quella che dovrebbe auspicarsi in un periodo di transizione e confusione: non già, dunque, riscoprire i tratti distintivi delle esperienze e delle istituzioni, specie di quelle come la famiglia, capitali per il destino umano, onde avere una “bussola” atta a orientarsi; ma piuttosto auspicarne, più o meno esplicitamente, l’oblio progressivo, confidando nel vantaggio (solo apparente, tuttavia) derivante dal venir meno d’un fattore di giuridica “complicazione”. Una prospettiva che quindi vede progressivamente dismettere il definito modello istituzionale di famiglia, fondato prioritariamente sullo status, sui doveri e sull’impegno amorevole, in generico e tendenziale favore d’un modello invece “variegato”, basato essenzialmente sulla libera determinazione individuale, sul contratto, sui diritti e l’affettività.
A fronte di queste ed altre tendenze di fondo, l’intervento si propone dapprima di esaminare, dappresso a una sintetica esposizione inerente al rilievo, al peso e al valore che l’istituto familiare assume nell’ordinamento della Chiesa cattolica e in quello civile italiano, l’impatto che queste stesse tendenze hanno prodotto su entrambi gli ordinamenti; e soprattutto, a seguire, quale sia stata la reazione, in termini di scelte cruciali profilate e/o adottate in tali ordinamenti in ordine alla tutela e alla promozione dell’istituto in parola, sul piano politico, giuridico e, nel caso della Chiesa, anche magisteriale. Segnatamente, da una parte, individuando le iniziative adottate a tale fine nell’ordinamento canonico, con particolare riferimento a quella più recente e significativa, peraltro in pieno svolgimento, dell’indizione della III Assemblea Generale Straordinaria del Sinodo dei Vescovi “Le sfide pastorali della famiglia nel contesto dell’evangelizzazione”, che fra qualche mese (ottobre 2014) focalizzerà lo status quaestionis in materia, in previsione dell’Assemblea Ordinaria che si terrà l’anno a venire, onde ricercare le relative linee operative da assumere; e, dall’altra, quanto all’ordinamento giuridico italiano, ponendo in luce le problematiche sottese agli interventi, prospettati e operati negli ultimi anni a livello nazionale e regionale, come pure a livello locale, riguardo al sostegno e alla valorizzazione istituzionale della famiglia. di Marco dell’Oglio