A sua volta, accanto a lui, il capo di stato maggiore interforze, generale Martin Dempsey ha notato che si tratta di un’organizzazione che non puo’ essere sconfitta senza che gli Usa o i suoi alleati non ne sconfiggono il ramo che e’ in Siria. Hagel ha anche espresso rammarico per il fallimento del raid delle forze Usa in Siria per liberare James Foley e altri americani detenuti dall’Isis e si e’ detto “molto orgoglioso” dei militari che via hanno preso parte. Allo stesso tempo, ha porto le sue condoglianze alla famiglia Foley.
Anche Papa Francesco ha fatto le condoglianze alla famiglia di Foley, di persona, con una telefonata, alla loro casa nel New Hampshire, come riferito dal sacerdote gesuita americano James Martin.
Al microfono di Alessandro Gisotti della Radio Vaticana, padre Ciro Benedettini, vicedirettore della Sala Stampa Vaticana, riferisce di questo toccante momento:
“La telefonata è avvenuta ieri sera poco dopo le 20.00, dopo la cena del Santo Padre. Ovviamente è avvenuta in lingua inglese con un intermezzo anche in lingua spagnola. Il Santo Padre ha voluto dimostrare la sua vicinanza a questa famiglia provata dal dolore. In particolare, ha parlato all’inizio con la madre, che è cattolica, e che ha dimostrato una grande fede, che ha in qualche modo impressionato anche il Santo Padre. Ha parlato poi con il padre, e poi con un membro della famiglia di lingua spagnola e quindi il Santo Padre ha potuto parlare in spagnolo. Ovviamente, l’auspicio di tutti, del Santo Padre e della famiglia è che questi tragici fatti non si ripetano”.
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Pope Francis phoned the family of #JamesFoley this afternoon at their residence in New Hampshire. The family was “moved and grateful.”
— James Martin, SJ (@JamesMartinSJ) 21 Agosto 2014
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Fonti vicine alla famiglia di James Foley e un ex ostaggio che era con lui, citati dal New York Times, hanno frattanto riferito che i sequestratori che hanno decapitato il reporter Usa avevano chiesto 100 milioni di dollari. Il Wall Street Journal parla di 100 milioni di euro. In linea con la sua strategia delle operazioni sotto copertura e raid con aerei senza pilota, Obama ha invece dato luce verde ad un’azione di commando. Gli Usa “di recente hanno condotto un’operazione per liberare ostaggi americani detenuti in Siria”, ha rivelato il portavoce del Pentagono, ammiraglio John Kirby, senza pero’ dire quanti siano i cittadini Usa nelle mani dell’Isis e fornendo ben pochi dettagli. Altre fonti hanno invece riferito che i prigionieri erano almeno quattro, tra cui Foley, e che il blitz e’ scattato il 4 luglio, l”Independence Day’ degli Stati Uniti. Prima dell’alba, decine di militari delle forze speciali sono entrati in territorio siriano. Sono arrivati a bordo di elicotteri Black Hawk modificati e pesantemente armati, con la copertura aerea di cacciabombardieri. Fonti dell’amministrazione citate in forma anonima dal Washington Post hanno riferito che il commando ha incontrato resistenza, che c’e’ stata anche una battaglia e che un militare e’ rimasto lievemente ferito.
Tra i miliziani dell’Isis ci sarebbero stati invece cinque morti. “Avevamo una serie di informazioni di intelligence sufficienti per metterci in condizione di agire”, ha detto un alto funzionario. Informazioni raccolte da altri ostaggi che erano stati precedentemente liberati e avevano parlato con le agenzie di intelligence Usa. Ma “quando siamo arrivati li’ era troppo tardi”, ha detto una fonte del Dipartimento della Difesa citata dal New York Times, aggiungendo che l’operazione e’ scattata “nell’arco di ore, forse un giorno o due” da quando gli ostaggi erano li’. La notizia era stata data gia’ il 4 luglio da siti web vicini all’Isis, e rilanciata via Twitter dal ‘Raqqa Media Centre’, secondo cui “la notte scorsa ieri si è assistito al sorvolo di velivoli militari Mig ed elicotteri in un’operazione di forze straniere che si presume siano americane e giordane”. Secondo la stessa fonte, il commando e’ atterrato “nella zona di al Akirti a Ovest del campo militare ‘Osama Bin Laden’ gestito dallo Stato Islamico”.
C’e’ poi stata “una battaglia dura in cui i soldati dello Stato Islamico hanno resistito”. Di certo, e’ la prima volta che il Pentagono dà notizia di una operazione militare delle forze Usa in Siria. La portavoce del Consiglio per la Sicurezza nazionale della Casa Bianca, Caitlin Hayden, ha anche precisato che l’amministrazione non aveva alcuna intenzione di renderla nota. “La preoccupazione per la sicurezza degli ostaggi e per la sicurezza operativa rende imperativo che sia mantenuta la massima segretezza possibile” su azioni di questo tipo, ha affermato. Ma “ormai era chiaro che numerosi media si preparavano a riferire dell’operazione e che non avremmo avuto altra scelta che confermare” le notizie.
Una delle ultime interviste di James Foley alla Pbs
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Foley era stato rapito il 22 novembre 2012. Fino al giorno prima aveva inviato reportage e video dal nordovest della Siria, teatro di violenti scontri tra ribelli e regime di Damasco. Secondo le ricostruzioni, sarebbe stato prelevato nelle vicinanze di Taftanaz, insieme al suo autista e al suo traduttore, che sono poi stati rilasciati. Reporter di guerra esperto, Foley aveva già coperto i conflitti in Afghanistan e Libia. Nell’aprile 2011 era già stato vittima di un rapimento nell’est della Libia, ad opera di un gruppo di sostenitori del regime di Gheddafi. Con lui erano stati prelevati altri due giornalisti, l’americana Clare Gillis e lo spagnolo Manu Brabo, mentre un quarto, il sudafricano Anton Hammerl, era stato ucciso.
I tre avevano passato 44 giorni in prigionia prima di essere liberati. Dopo il suo rapimento, la famiglia Foley ha creato un sito web (www.freejamesfoley.com) per chiedere il suo rilascio e sensibilizzare l’opinione pubblica. Oggi, quel sito, in cui sono pubblicate molte notizie del giornalista, è stato rapidamente inondato di messaggi di cordoglio, diffusi via Twitter da tutto il mondo.
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