Portarono il bambino a Gerusalemme. Il figlio è dato ai genitori e da loro è offerto ad un sogno più grande, intrecciato da subito alla sorte di Dio e della città dell’uomo.
Come quel Figlio, i nostri figli non sono nostri, appartengono al Signore, al mondo, alla loro vocazione, ai loro sogni. Ogni bambino è un punto abissale che apre sul futuro di Dio e sull’avvenire del mondo, una libertà che sta ad una profondità misteriosa alla quale non giungeremo mai.
Prima santità della famiglia: nella mia casa ognuno è fessura e varco di un amore più grande della mia casa, quello di Dio. Perché la vita fiorisca in tutta la sua densità e bellezza.
Presentano al Signore il Bambino. I due giovani genitori mostrano che in Gesù, e in ogni esistenza, c’è in gioco una forza più grande di noi, un bene grande che alimenta il nostro amore, una verità immensa che rende possibile la nostra ricerca, una vita piena che riempie la nostra piccola anfora, una fonte che non viene meno, è fedele, è sempre a disposizione, possiamo attingervi ad ogni istante.
Nel tempio il Bimbo passa dalle braccia di Maria a quelle di Simeone, in un gesto carico di fiducia. Simbolo grande, un gesto tenero e forte che invita a prendere fra le proprie braccia, con fiducia, la misteriosa presenza di Dio, che si incarna, che abita, che si offre nel volto, nei gesti, nello sguardo di ognuno dei miei cari.
Siamo tutti, come il vecchio profeta Simeone, occhi stanchi ma accesi di desiderio, piccoli profeti nelle nostre case, capaci di ripetere, a chi vive con noi, parole che sanno di grazia: io ti prendo fra le mie braccia, e stringendo te io stringo la presenza di Dio. Io ti accolgo fra le mie braccia, e abbracciando te, abbraccio la divina presenza.
E la profezia di ogni famiglia prosegue: i miei occhi hanno visto la salvezza del Signore. Parole come benedizione su ognuno che il Signore ha posto sulla mia strada: tu sei per me salvezza che mi cammina a fianco.
Tornarono quindi alla loro casa. E il Bambino cresceva e si fortificava e la grazia di Dio era su di lui. Profezia e magistero della famiglia sono i più grandi, molto più importanti ancora di quelli del tempio, sono quelli sempre necessari. Il volto di chi mi vuol bene è il primo sacramento (segno efficace e visibile) dell’amore di Dio.
Ogni tavola, in ogni casa, è un altare: primo altare dove la vita celebra la sua festa, le sue lacrime, le sue speranze. Ed è da questo altare che deriva poi quello della Chiesa. Al tempio Dio preferisce la casa: mi guarda, mi accarezza con gli occhi di chi vive con me. Mio primo profeta è colui che cammina al mio fianco, mia prima grazia colei che avanza nella vita con me.
di Padre Ermes Ronchi
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