Ci sono alcune cose che l’uomo non ha inventato, le ha trovate e basta: pacchi già confezionati nel cofano della Creazione. Tra questi, certamente, il tempo: ci è stato messo, e nessuno può toglierlo.
Da sempre l’uomo si è lambiccato nel tentativo di misurarlo nella via più esatta possibile: scomodando clessidre, meridiane di volta in volta più affinate; la posizione del sole, spesso ingannevole, non consentiva una calcolo preciso e universalmente valido.
Oggi, invece siamo perfettamente padroni del tempo: lo abbiamo in pugno, si direbbe. Capaci di segmentarne all’infinito la durata, lo sfilacciamo a nostro piacimento, attestando record agonistici sull’esile bordo dei millesimi di secondo.
Siamo padroni del tempo, sì, certamente: non lo abbiamo creato – ne avremmo anche fatto a meno, probabilmente; e su questo punto si potrebbe aprire una parentesi infinita – ma sappiamo perfettamente come gestirlo, è nostro, è nelle nostre mani, è…
…ma allora perché ci manca sempre così tanto tempo?
Più che petrolio e pacchetti azionari, il bene più prezioso sembra essere quello esile e impalpabile inesorabilmente scandito dal ticchettio delle lancette; che del tempo, in fondo, sono solo la rappresentazione. Nessuno saprebbe descriverlo: colore, sapore, odore, apparenza: inesprimibile, più che invisibile, vagamente rappresentato dal nostro sistema numerico. “L’essenziale è invisibile agli occhi”.
Abbiamo ridotto i tempi di comunicazione e di trasporto: chiunque può facilmente interconnettersi con chi desidera e in poco tempo, in qualsivoglia recondito angolo della terra. E allora perché ci manca ancora tempo? Anzi, ci manca parecchio tempo! E nessuno potrebbe escludersi da questa cerchia.
Le giornate si sbriciolano rapidamente, come fossero ore, le ore come minuti, i minuti come i secondi. Il calendario accartoccia rapidamente le pagine, sino a diventare già vecchio, da cestinare: e un altro anno da accantonare.
Il secondo appena trascorso è appartiene già al passato, e nel mentre leggiamo, altri secondi sono venuti a fargli compagnia, travalicati dal presente: irrequieta lamina spartiacque tra passato e futuro.
Oggi tutto è più veloce, tutto più rapido, tutto, senza sosta. Ma nonostante ciò vorremo sempre fare altro, poter distendere la retta del tempo, rendere un po’ meno instabile quel presente che ci sfugge sempre, continuamente. Sono le cose a cui teniamo di più quelle a sfuggirci con maggio rapidità (forse proprio perché ci soffermiamo ad osservarle).
Da mesi desideriamo sentire quella persona a noi cara ma… non abbiamo tempo, un’altra volta. Ci piacerebbe coltivare un certo hobby, o un passatempo ma… “scherzi? non ho tempo, più tardi!”. I nostri familiari richiedono attenzione ma… “ho altro da fare, non ho tempo”. I nostri propositi di cambiamento e miglioramento vergano ogni pagina delle nostre agende ma… “oggi non posso, troppe cose da fare… domani, quando non avrò più questo impegno!”.
Un cortocircuito.
Non ci è concesso di allungare le ore delle nostre giornate, tali sono e tali restano; forse sarebbe tutto più facile, ma non serve cullarsi nel conforto del “magari”. Il nostro margine d’azione è differente, qualitativo più che quantitativo.
Non possiamo allungare le nostre giornate, è vero, ma possiamo impegnarci a riempirle, invece, evitando che qualcuna ci scorra davanti rimanendo vuota. Una per una, con costanza, senza il pensiero del “potrei fare…” ma dello “sto facendo”. Con calma, pazienza, colmando di vita i secondi della nostra giornata (cosa per nulla scontata).
Sempre pienamente consapevoli che la Felicità sia una meta che si può raggiungere esclusivamente alla velocità di sessanta minuti all’ora… di Francesco Iurato www.cogitoetvolo.it
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