Caro direttore, sono passati due anni da quando un prete campano, della diocesi di don Peppino Diana, si rivolgeva a te e al giornale che dirigi, invocando aiuto per la sua terra, la sua gente. Lo faceva dopo aver passato l’ennesima notte insonne per il fetore che entrava nella sua casa e in quella dei vicini. «Direttore, aiutaci! Vieni in soccorso a questo popolo umiliato e bistrattato», ti scrivevo. E “Avvenire” scese in campo con i suoi inviati con i quali siamo diventati amici, fratelli. Due anni di lotte faticose. Una terra, la nostra, abbandonata da tutti. Nascosti ben bene dietro la camorra, come dietro un paravento, c’erano industriali disonesti e senza scrupoli e diversi politici o tecnici corrotti, collusi o ignavi. Dello scempio della bella, fertile terra campana sembrava che nessuno ne sapesse niente. Abbiamo cominciato così. Con la sola forza della disperazione, della fede, della volontà, del desiderio di bene. Due anni di cui “Avvenire” ha dato conto ai suoi lettori giorno per giorno. In parrocchia, a Caivano, si sono avvicendati ministri e parlamentari, scrittori e giornalisti proveniente da tutto il mondo. Siamo arrivati a Bruxelles, in Parlamento, alla Regione. Abbiamo messo assieme tavoli tecnici di avvocati, ingegneri, medici. Abbiamo raccolto il grido di dolore di tanta gente colpita da patologie tumorali. Siamo scesi in strada. Il 4 ottobre scorso, un corteo di 50mila persone sfilava da Orta di Atella a Caivano. Dietro la croce con il Cristo morto e risorto veniva un popolo intero con il vescovo di Aversa monsignor Angelo Spinillo e i sacerdoti di questa diocesi. Le gigantografie di bambini, adolescenti, giovani genitori morti per cancro si elevavano verso il cielo a invocar pietà. Un mese dopo, il 16 novembre – era un sabato uggioso e piovoso – a Napoli, un corteo di 100mila persone, per lo più giovani, giungeva in piazza Plebiscito. Il popolo campano, stanco di promesse mai mantenute, di bugie raccontate da tanti politici con la faccia di bronzo, diceva basta a una “incapacità”
trentennale di gestire rifiuti industriali e monnezze varie. Poi, come ben sai, sono arrivato al Quirinale con 13 giovanissime mamme che hanno accompagnato al camposanto i loro bambini. Davanti al loro dolore, il nostro Presidente della Repubblica si è commosso fino alle lacrime. Ed è finalmente arrivata una “legge sulla
“terra dei fuochi”. Anche se difetta in tanti punti, c’è, ed è la prova che la “
terra dei fuochi” è un dramma nazionale. Nel giro di un anno i vescovi campani hanno firmato ben due severi documenti a riguardo. Un cammino, insomma, faticoso e nobilissimo è stato fatto. I nostri volontari sono stati stupendi. Hanno lavorato tantissimo, sottraendo tempo e soldi alle famiglie. Tutto hanno fatto con gratuità. Hanno sopportato mortificazioni, subito insulti; hanno corso seri rischi per la loro vita, perché quando si vanno a toccare gli interessi di “qualcuno” quel “qualcuno” si fa pericoloso. Debbo, per amore di onestà, dire che tanti giornalisti hanno svolto la loro missione in modo ineccepibile. Sono venuti nelle campagne con noi, hanno visto con i propri occhi e fotografato personalmente lo scempio inumano che siamo costretti a subire. Altri, purtroppo, non si sono mossi dalle loro poltrone e dai loro uffici e, per motivi che solo la loro coscienza può sapere, sono stati afoni fino a qualche giorno fa, quando dal governo è giunta la notizia che «solo il 2%» della nostra terra sarebbe avvelenato. Come lupi rapaci allora sono scesi in campo per ridicolizzare il lavoro immane che è stato fatto. Qualche giornale ha addirittura scritto che la «Terra dei fuochi è una bufala». Incredibile. Intanto fosse anche
«solo il 2% », fossero anche
«solo 51» i siti avvelenati, sarebbe già tantissimo. Costoro invece di gioire per la possibilità di separare quanto prima le terre buone da quelle avvelenate e ridare ai campani e agli italiani un poco di serenità, irridono quanti hanno avuto il merito di richiamare l’attenzione su questo terribile e assurdo dramma umanitario. Pazzesco. Immagino che cosa mai avranno potuto pensare i lettori di quelle testate. Ma questa è informazione? E, soprattutto, è un modo di fare onesto e rispettoso? Non mi sembra. I ministri Orlando e Martina, intervenendo a una tavola rotonda a Castelvolturno, giovedì 13 marzo, hanno ribadito a chiare lettere che quelle percentuali sono da considerarsi solo un inizio e non la fine delle indagini e dei lavori. Questa è la verità. Verità a confronto di menzogne interessate. Il dramma che ha sconvolto le nostre vite è destinato a crescere e ad allargarsi se non si corre ai ripari in fretta, con onestà e umiltà. Gli scarti industriali altamente tossici e nocivi per la salute debbono essere smaltiti legalmente e secondo le più severe norme italiane ed europee. E occorre smetterla di “produrre” in regime di evasione fiscale. Il prezzo più alto di questo modo disonesto di arricchirsi sinora lo abbiamo pagato noi in Campania, ma se dovesse continuare è chiaro che anche altre regioni debbono prepararsi a diventare ” terra dei fuochi”. Dio non voglia. Grazie, direttore. A te, ai tuoi collaboratori e ai giornalisti onesti. Grazie ai volontari, ai medici per l’ambiente, ai vescovi campani. Grazie a tutti coloro che sono stati solidali con noi. La forza di “combattere” non ci ha di certo abbandonato. Noi andiamo avanti continuando a chiamare a raccolta i buoni, ovunque si trovino, per meglio isolare coloro che, per interessi personali o di cordate politiche, non hanno a cuore l’uomo e la sua dignità. Se i buoni fanno corpo è più facile scovare quegli altri. Dovunque si nascondano.
Padre Maurizio PATRICIELLO Al vostro fianco con gli occhi aperti: risposta del direttore di Avvenire, Marco Tarquinio, a Padre Maurizio: Siamo stati, siamo e saremo al vostro fianco, caro don Maurizio. Con civile e cristiano sguardo di cronisti, cioè con il lavoro di informazione in cui crediamo e che cerchiamo di fare: onesto e partecipe, sereno e indagatore, rispettoso di fatti e dati, ma soprattutto e sempre delle persone. Per questo siamo stati, siamo e saremo ancora attenti a non strillare esagerazioni e, al tempo stesso, a lanciare ogni necessario allarme sulla “terra dei fuochi” e su ogni altro criminale avvelenamento dell’ambiente e della vita della nostra gente. Hai proprio ragione: questi due anni di iniziative e cronache serrate, di sofferenza e di speranza non sono passati invano: sono davvero forti, persino indelebili, i segni del coraggio e della santa impazienza di un popolo che per dolore e amore, alla scuola di don Peppino Diana, sostenuto dal suo vescovo e da tutte le Chiese locali della Campania, non intende più tacere, e subire. Ma hai anche ragione a dire chiaro e tondo che la reazione contraria e opposta che si sta manifestando è brutta e dura: schiumano, infatti, onde politico-mediatiche gonfie di cinismo e, più ancora, di smanie auto-assolutorie per i silenzi, le distrazioni, le pavidità e le connivenze accumulatisi per più di due decenni sulla pelle di un’intera generazione di “cittadini dimenticati” che vivono nella splendida e martoriata fascia di territorio tra Napoli e Caserta. La verità, però, è che voi non siete – e noi non siamo – più così soli come appena due anni fa nella quotidiana, disarmata battaglia per tenere gli occhi aperti, la coscienza viva, la schiena diritta. Anche se la strada è ancora lunga, più soli e meno tracotanti hanno cominciato a diventare i malfattori e gli intossicatori, camorristi o colletti bianchi che siano. È vero: non è un’illusione dire che quando i “buoni” sanno essere uniti “quelli lì” sono più soli e meno nascosti. Diventano vulnerabili anche loro, e fuori dal delirio del potere e del profitto cominciano – qualcuno lo ha già fatto – a misurarsi con la propria coscienza. E queste sono gran belle notizie. Di quelle che a noi di “Avvenire” piace dare, ascoltando la gente e raccontando la realtà. Non mi stanco di ripeterlo: siamo giornalisti a cui non importa di fare “titoli a effetto”, ci importa di contribuire a “fare effetto”, dare una mano a cambiare le cose e a liberare le persone, a scoprire e impedire l’ingiustizia, a difendere i più deboli, sostenere chi lavora per rendere il mondo un posto migliore. Meno male, caro padre, che ci sono uomini e donne, vescovi e preti, medici e politici, funzionari e volontari che con la forza e la povera bellezza che tu ci testimoni sanno fare la cosa giusta. Ci danno le parole giuste per servire, in modo giusto, una giusta causa.