Betlemme e la Palestina vivono un momento, oltre che di emergenza sanitaria, di grave crisi economica…
Sarà un Natale senza pellegrini in Terra Santa, nessuno si fa illusioni, il Covid-19 ha fermato ciò che neanche il conflitto era riuscito a fermare del tutto. Betlemme e la Palestina intera vivono un momento, oltre che di emergenza sanitaria, di grave crisi economica, legata alla mancanza di turismo e pellegrinaggi. Betlemme, già ferita dall’occupazione israeliana, è svuotata dai visitatori, con i negozi di souvenir e articoli religiosi sbarrati e l’economia totalmente in fallimento.
La scommessa ora è però anche quella di riuscire a fare in modo che le celebrazioni natalizie possano avvenire lo stesso, nel pieno rispetto delle regole e delle restrizioni. Prova generale sarà oggi, 28 novembre, con l’ingresso solenne a Betlemme, alla viglia dell’Avvento, di padre Francesco Patton, Custode di Terra Santa:
R. – È sempre una entrata molto solenne, con la comunità di Betlemme che accoglie, facciamo un tratto anche a piedi per arrivare fino alla Basilica (della Natività ndr), per salutare le autorità e poi per cominciare, in modo solenne, la celebrazione proprio del tempo di Avvento. Accendiamo anche la prima candela, andando a prender la luce della candela nella grotta della Natività. Quindi, è un qualcosa di particolarmente solenne per noi. Sarà un po’ anche un banco di prova per il Natale, perché non ci sono pellegrini, ma c’è la comunità cristiana locale, la parrocchia di Betlemme è una parrocchia per noi abbastanza grande, di circa 5000 fedeli latini, ma oltre ai latini a Betlemme ci sono anche i cristiani di altre Chiese e, in queste occasioni, è facile anche vedere qualcuno di loro che partecipa, perché il clima, in genere, in Terra Santa, è anche abbastanza ecumenico, nel senso che ci si sente prima cristiani che non altro. Vedremo quello che si riesce a fare, perché in Israele ci sono ancora delle restrizioni legate al numero di persone che possono partecipare alle celebrazioni all’interno o all’aperto, mentre in Palestina, di fatto, non ci sono più restrizioni, questo non vuol dire che non ci sia il virus e dovremmo anche vedere di far tutto cercando anche di aiutare la gente per evitare che un giorno di festa poi diventi causa, dopo, anche di lacrime. Poi avremo un momento molto importante ad inizio dicembre, il 4 e il 5, perché ci sarà l’ingresso solenne del nuovo Patriarca, Mons. Pierbattista Pizzaballa, questo ingresso solenne sarà a Gerusalemme, sarà la sua prima entrata da Patriarca al Santo Sepolcro, è una celebrazione molto bella, significativa, lui viene accolto nel luogo più santo di tutta la cristianità, il giorno dopo celebrerà la messa al Santo Sepolcro e dopo, anche lui, avrà il suo ingresso solenne (a Betlemme ndr) alla vigilia di Natale, il 24, e celebrerà nella chiesa di Santa Caterina la messa di mezzanotte. Ecco, anche lì dobbiamo ancora vedere come fare, per questo dicevo che la celebrazione di domani sarà anche un po’ un banco di prova, per vedere quello che si può e quello che non si può fare, e quello che è opportuno e quello che invece non lo è. Noi cerchiamo di chiedere alla gente che rispetti almeno le norme fondamentali come la mascherina, l’uso del disinfettante per le mani, almeno un po’ di distanza, ma è un po’ tutto da vedere.
Tutto quanto è sottoposto alle ripercussioni del Covid, ma ad oggi sembra sia chiaro, purtroppo che è stata posta in ginocchio l’economia della Terra santa, il Covid ha azzerato totalmente i pellegrinaggi. Com’è la situazione attualmente?
R. – Per noi è una situazione molto difficile e, di fatto, la condividiamo soprattutto con la gente che vive nella zona di Betlemme, perché chi vive in Israele ha la fortuna di beneficiare di un sistema di welfare, di una specie di cassa integrazione, ma chi vive nei territori palestinesi non ha questa fortuna, perché le capacità economiche della Palestina sono molto più ridotte e i nostri cristiani vivevano soprattutto dell’indotto del pellegrinaggio. Nella zona di Betlemme è una cosa tristissima, così come qui nella città vecchia di Gerusalemme, camminare e vedere che non c’è nessuno e vedere anche che tutte le attività economiche dei nostri fedeli sono chiuse, e non è che hanno il supermercato, hanno una piccola bottega dove vendono oggetti religiosi, tutto qui. Sono chiusi tutti gli hotel che ricevevano i pellegrini e per molti dei nostri fedeli la situazione è estremamente dolorosa. Lo è anche per noi come Custodia di Terra Santa, perché praticamente dalla fine di febbraio non abbiamo più entrate ma solo uscite, e anche la stessa Colletta Pro Terra Santa, il Venerdì Santo è stato impossibile farla perché eravamo nell’occhio del ciclone della prima ondata di pandemia; il 13 settembre, in molte diocesi e in molte parrocchie, non è stata fatta, quindi anche noi, in questi mesi, stiamo cercando veramente di economizzare tutto quello che si può economizzare, sapendo che dobbiamo resistere almeno fino alla prossima Pasqua, io penso fino a giugno, non penso che prima vedremo i pellegrini ritornare, ovviamente, ripeto, questo incide sulla nostra vita, incide sulla vita anche dei tanti che sono legati a noi e anche all’indotto economico del pellegrinaggio e dei santuari. Noi continuiamo a vivere nei santuari, continuiamo a pregare, anzi abbiamo intensificato anche la preghiera, siamo una fraternità internazionale, quindi sentiamo, in questo tempo, come nostra vocazione, quella di pregare per il mondo intero, perché tutti i nostri Paesi sono stati colpiti, in alcuni l’impatto è stato più duro che in altri, ma è tutto il mondo che piange ed è in ginocchio e che ha bisogno di ritrovare serenità.
Lei ha sottolineato come la situazione in Palestina sia molto più drammatica rispetto al Israele, dove il sistema di welfare è a sostegno delle persone che in questo momento vivono gravi emergenze lavorative e salariali. E invece dal punto di vista sanitario com’è la situazione? Anche in questo caso non è difficile immaginare che ci sia una differenza notevole…
R. – Evidentemente, in Israele c’è un servizio sanitario ottimo, direi proprio di prima qualità, in Palestina sono poche anche le strutture ospedaliere, non è che non siano buone, sono buone, ma sono poche, insufficienti, e a Betlemme, ad esempio, la nostra attività caritativa, a livello di parrocchia, nel corso di questi mesi si è svolta molto anche nell’aiutare economicamente per l’acquisto di medicine e di alimentari. Praticamente, queste sono diventate le due voci più importanti di spesa della Caritas parrocchiale di Betlemme, perché molte persone non sono in grado neanche di pagarsi le medicine e in molti casi ormai, dopo mesi che non c’è lavoro, c’è la difficoltà anche di acquistare il cibo. Noi ad esempio, in Palestina, abbiamo fatto la scelta di garantire il 50% dello stipendio ai nostri dipendenti, e questo è tanto perché vuol dire anche per noi uno sforzo economico enorme, perché, ripeto, in Israele è lo Stato stesso a garantire ai dipendenti che stanno a casa il 70% del salario, è evidente che è qualcosa di importante per la vita delle persone. Noi speriamo che, finita la pandemia, possano anche tornare i pellegrini e che la gente possa tornare anche a vivere, con dignità, del proprio lavoro.
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