Papa Francesco è da poco rientrato dalla Terra Santa, dove ha costruito “ponti di pace”, dove ha portato la speranza con il suo calore, il suo affetto, i suoi gesti apparentemente così semplici, ma così profondi e densi di significato. Abbiamo ancora tutti vivo il ricordo degli storici abbracci: quello tra Francesco e Bartolomeo al Santo Sepolcro, per ricomporre le divisioni tra cristiani; quello a sei braccia tra Papa Francesco, il rabbino Abraham Skorka e l‘islamico Omar Abboud davanti al Muro del Pianto, per dire no all’odio religioso; quelli tra Papa Francesco ed il presidente palestinese Abu Mazen e Papa Francesco ed il presidente israeliano Shimon Peres per favorire il dialogo, la distensione e la pace in Medio Oriente; quello con gli abitanti tutti della Terra Santa, cristiani, ebrei, musulmani, che Papa Francesco ha voluto stringere a sè per portare speranza in un luogo dove la convivenza è davvero difficile.
Un altro Francesco, 795 anni prima, aveva percorso quelle stesse strade come missionario di pace. San Francesco d’Assisi che, all’inizio del secolo XIII, mosso dall’amore per Cristo Povero e Crocifisso si recò in Medio Oriente per “toccare” quei luoghi che fino ad oggi costituiscono una testimonianza insostituibile della rivelazione di Dio e del suo amore per l’uomo. Quando, nel 1217, ad Assisi si celebrò il primo Capitolo Generale dell’ordine, San Francesco invitò “i seguaci ad essere ovunque presenti nel mondo conosciuto“, e distribuì i territori in “Provincie” tra le quali venne inclusa, per la prima volta, quella di “Terra Santa“. Proprio da qui nacque la tradizione della presenza francescana evolutasi poi nella attuale Custodia Della Terra Santa.
San Francesco d’Assisi aveva manifestato il desiderio di potersi recare in Terra Santa fin dal 1212, ma riuscì a raggiungerla soltanto al terzo tentativo, dopo che un naufragio ed una malattia fermarono i primi due viaggi. Nel 1219 San Francesco, che all’epoca aveva 38 anni, si recò con un gruppo di dodici compagni ad Ancona, per imbarcarsi e raggiungere la Terra Santa, dove da due anni era in corso la quinta crociata. San Francesco però, che non viaggiava come uomo d’armi, ma come messaggero di pace, riscontrò molte difficoltà a trovare un armatore disposto a “caricare sui propri natanti quel gruppo di mistici dalle braccia molli e dalle tasche vuote“, così fu costretto a scegliere solo cinque compagni e lasciare a terra gli altri per fare bastare quel poco denaro che il cardinale Ugolino gli aveva affidato per il viaggio.
San Francesco raggiunse la città egiziana di Damietta nel settembre del 1219, proprio mentre era in corso un assedio. Egli era fermamente intenzionato ad incontrare il sultano d’Egitto al-Malik al-Kāmil, nipote del feroce Saladino, capo dell’esercito musulmano, l’avversario che i Crociati volevano combattere e vincere per entrare in possesso dei Luoghi Santi. San Francesco ottenne dal legato pontificio il permesso di passare, disaramto ed a proprio rischio e pericolo, nel campo saraceno ed incontrare il sultano per predicargli il Vangelo, al fine di convertire il sultano e i suoi soldati, e quindi mettere fine alle ostilità. San Francesco si presentò al sultano chiamandolo “fratello”. Al-Malik al-Kāmil trovò gran piacere ad ascoltare “quello strano monaco venuto dall’Italia“.
San Bonaventura da Bagnoregio nella Legenda Maior del 1263 scrive: “Quando il beato Francesco per la fede in Cristo volle entrare in un grande fuoco coi sacerdoti del Soldano[…]; ma nessuno di loro volle entrare con lui, e subito tutti fuggirono dalla sua vista“. L’episodio, che è stato ripreso da pittori come Giotto (immagine in alto, affresco databile tra il 1290 ed il 1295) e Domenico Ghirlandaio (foto in basso, databile tra il 1482 ed il 1485), narra la prova del fuoco alla quale la leggenda vuole che San Francesco si sottopose. Secondo la leggenda San Francesco propose al sultano anche un “giudizio di Dio” con i sufi islamici presenti: ovvero li sfidò ad affrontare i carboni ardenti per dimostrare la veridicità delle rispettive fedi. Ma quelli rifiutarono per paura. Sappiamo anche che a quel punto Francesco propose di affrontare da solo la prova del fuoco, ma il sultano si oppose. Il santo poté quindi predicare ai musulmani.
L’incontro colpì molto la fantasia dei contemporanei. Lo stesso Dante Alighieri ne parlò nella Divina Commedia (Paradiso, Canto XI):
…e poi che, per la sete del martirio,
ne la presenza del Soldan superba
predicò Cristo e li altri che ‘l seguiro,
e per trovare a conversione acerba
troppo la gente e per non stare indarno,
redissi al frutto de l’italica erba…
La conversazione tra il sultano Malek al-Kamel e Francesco d’Assisi avvenne in un clima di cortesia, rispetto e dialogo. A Damietta, il Vangelo si incontrò con il Corano e il Corano con il Vangelo. Francesco non ebbe paura di Maometto e il Sultano non ebbe paura di Cristo. Fu un profetico esempio di dialogo e una testimonianza di rispetto tra culture differenti, che ancora oggi ha tanto da dire all’uomo del nostro tempo.
Per il dialogo tra Islam e Occidente cristiano si riparte dal Poverello di Assisi.
Ora che abbiamo ravvivato nella nostra memoria, e soprattutto nel nostro cuore, il ricordo dello storico incontro di Damietta, uniamoci in preghiera affinchè il nuovo incontro che avverrà tra pochi giorni in Vaticano tra Peres ed Abu Mazen, possa davvero portare frutti di pace. Di Alessandro Ginotta