Terra Santa, sradicati gli ulivi per il muro al Cremisan

Sono arrivati i bulldozer ad abbattere i primi ulivi nella Valle del Cremisan.Dopo che all’inizio di luglio – con un clamoroso dietrofront rispetto a una sua sentenza di appena tre mesi prima – la Corte suprema israeliana ha dato il via libera, ieri l’esercito israeliano ha cominciato a sradicare gli ulivi di cinque famiglie cristiane palestinesi per la costruzione della «barriera di separazione» nella zona di Beit Jala, poco lontana da Betlemme. Sembra dunque vicina a un epilogo amaro la battaglia giudiziaria che da nove anni ormai vede 58 famiglie cristiane della Terra Santa – con il sostegno aperto del patriarca latino di Gerusalemme Fouad Twal – cercare di difendere i loro terreni minacciati dal tracciato scelto dalle autorità israeliane per l’alto muro di cemento che divide Israele dai Territori abitati dai palestinesi.

Quanto accaduto negli ultimi mesi ha davvero il sapore di una beffa per i palestinesi di Beit Jala: l’Alta Corte di Giustizia israeliana, infatti, il 2 aprile, aveva accolto le obiezioni presentate dalla Società di Sant’Yves, un organismo cattolico di Gerusalemme, secondo cui il tracciato scelto fin dal 2006 dal Ministero della Difesa per la costruzione del muro nella Valle del Cremisan non era affatto l’unico possibile. L’accusa è che sia stato scelto deliberatamente per permettere un possibile futuro ampliamento del vicini insediamenti israeliani di Gilo e Har Gilo, privando contemporaneamente 58 famiglie palestinesi della proprietà sugli ulivi che coltivano da sempre. Ad aggravare le cose c’era inoltre il problema dei due conventi salesiani che – nel progetto originario – sarebbero stati addirittura divisi e inaccessibili ai 450 ragazzi palestinesi che frequentano le loro scuole. Per questi motivi l’Alta Corte aveva invitato espressamente il Ministero della Difesa a presentare un tracciato alternativo che recasse meno danni possibili alla popolazione locale. E il patriarca Twal aveva salutato questa decisione come una «vittoria della stessa giustizia israeliana».

Lo scorso 6 luglio – però – c’è stato un clamoroso dietrofront: la medesima Corte suprema ha dato il via libera all’inizio dei lavori per la costruzione del muro nella valle del Cremisan, accontentandosi dell’assicurazione da parte del Ministero della Difesa che l’area dei due conventi non sarà toccata. Una posizione apparentemente contraddittoria, che non tiene più in alcuna considerazione i diritti delle 58 famiglie palestinesi e che – in un’intervista rilasciata all’agenzia Fides – il vicario del patriarca latino, monsignor William Shomali, ipotizzava poter essere «una reazione al recente riconoscimento ufficiale dello Stato di Palestina da parte della Santa Sede».

Contro questa decisione la Società di Sant’Yves il 30 luglio aveva presentato un nuovo ricorso d’urgenza all’Alta Corte di Giustizia, chiedendo che fosse bloccato l’inizio dei lavori almeno fino a quando non sia stato consegnato a tutte le parti l’intero nuovo tracciato del muro nella Valle del Cremisan, come richiesto dalla sentenza di aprile. Prima ancora della pronuncia della Corte suprema su quest’ultima richiesta – però – ieri il Ministero della Difesa ha inviato le ruspe ad abbattere i primi ulivi aprendo così il cantiere.

La notizia è stata accolta con sconcerto dalla comunità cristiana di Beit Jala che ha risposto con il gesto che da anni ormai accompagna questa battaglia: stamattina si sono recati insieme a pregare tra gli ulivi tagliati, esprimendo il proprio dolore ma anche la loro protesta per quanto sta accadendo.

Redazione Papaboys (Fonte vaticaninsider.lastampa.it/Giorgio Bernardelli)

 

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