La vita è bella e acquista un senso anche nella malattia, se doni te stesso agli altri, a un figlio, a un fratello, a un amico. Se sei riconoscente per quello che hai e non rimugini su ciò che ti manca.
Per la mia riflessione prendo spunto da “La vita è bella” di Roberto Benigni, un film che ho rivisto con grande piacere perché, oltre a ritenerlo un capolavoro, ha una morale incredibilmente positiva già dal titolo.
“La vita è bella”:
questa frase apparentemente semplice, per molti addirittura quasi banale, per me rappresenta l’essenza della nostra esistenza. In particolare mi ha colpito, da uomo e da padre, la capacità di Guido di rendere edulcorato e comprensibile agli occhi innocenti del figlio, ciò che era assolutamente inconcepibile nella realtà, l’immane tragedia della Shoah, fino a sacrificare la propria vita per salvare il bambino internato nel campo di concentramento.
Dal film arriva il messaggio preciso della necessità di un approccio positivo anche davanti alle più estreme e imprevedibili difficoltà, da cui anch’io ho tratto beneficio. Un atteggiamento che mi sono imposto in quella cupa stanza d’ospedale quando mi è stata diagnosticata la Sclerosi laterale amiotrofica. Dopo una settimana di ricovero, avevo il forte desiderio di vedere mio figlio, la mia famiglia, gli amici. Volevo rivivere la quotidianità, riprendere i contatti con il mondo esterno, riappropriarmi di quel palcoscenico che è la vita.
Lasciando l’ospedale, quel giorno ho iniziato la mia seconda esistenza.
Proprio come dopo il parto, la madre esce con il neonato per tornare a casa, a me è successo per la seconda volta, a 42 anni, con un passato ben definito e un futuro da riprogrammare.
In principio è stato faticoso. Ricordo le molte giornate intrise di tristezza e malinconia, nonché le tante notti passate con le lacrime agli occhi. Nonostante avessi la consapevolezza che, a poco a poco, i muscoli volontari mi avrebbero abbandonato e che avrei assistito inerme a questo inesorabile declino, chi mi conosceva ha potuto constatare che la mia personalità non ha subito metamorfosi: la radice (per fortuna), è rimasta intatta.
Nel mio piccolo-grande dramma, il dispiacere più grande non è stato quello di non riuscire più ad espletare anche le funzioni più semplici, come prendere in mano un bicchiere o una penna, ma di non poter più fare queste e tante altre cose insieme a mio figlio.
Malgrado ciò ho sempre fatto e sempre farò sentire la mia presenza ogni qualvolta lui ne sentirà la necessità, sperando di essere sempre un punto di riferimento.
La vita è bella e acquista un senso anche nella malattia, se doni te stesso agli altri, a un figlio, a un fratello, a un amico. Se sei riconoscente per quello che hai e non rimugini su ciò che ti manca.
Concludo con la frase di un grandissimo scienziato, Stephen Hawking, malato di Sla: “Abbiamo una sola vita per apprezzare il grande disegno dell’universo, e io di questa vita sono estremamente grato”.
Fonte: agensir.it
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