«Sentire con Cristo è la sorgente di una cultura, capace di promuovere tutto l’umano, cioè l’uomo nella sua integralità, e tutti gli uomini, senza esclusione alcuna…Usciamo ad annunciare Gesù come fecero i primi. Percorriamo con umile franchezza e coraggio le vie del mondo, ricchi solo della quotidiana compagnia di Gesù e della sua Chiesa. Senza pretese, liberi dall’esito». L’arcivescovo di Milano Angelo Scola, aprendo in Duomo il nuovo anno pastorale nella festa di Maria nascente, ha pubblicato la sua nuova lettera pastorale, intitolata «Educarsi al pensiero di Cristo».
Nella lettera annuncia anche la visita pastorale alla diocesi, che inizia oggi e si concluderà nel maggio 2017.
Il testo è suddiviso in cinque capitoli: Eventi; Pietro e i discepoli alla scuola di Gesù; Educarsi al «pensiero di Cristo»; Educarsi al «pensiero di Cristo» nella Chiesa ambrosiana di oggi; Il coraggio e la franchezza della testimonianza.
Il cardinale parte da alcuni eventi accaduti di recente, e cita il suo recente viaggio tra i cristiani profughi fuggiti dalla guerra e dalla persecuzione: «Voglio invece sottolineare la fede profonda di quei nostri fratelli e sorelle cristiani, sottoposti a prove per noi inimmaginabili: non solo taluni hanno perso la vita e moltissimi i beni essenziali, ma tutti vivono nell’incertezza più radicale circa il loro futuro. Ciò nonostante sono assidui nella preghiera e nella condivisione reciproca. Oserei dire, nel dolore, sono lietamente abbandonati a Dio». «Come possiamo – continua Scola – noi cristiani del Nord Occidentale del pianeta “girare la faccia dall’altra parte”, ignorando le terre benedette in cui la storia del popolo ebraico e quella del popolo cristiano affondano le loro radici?».
Entrando più direttamente nel tema, il cardinale ricorda che «il pensiero di Cristo» di cui parla l’apostolo Paolo è un dono della Pasqua che i cristiani ricevono con il battesimo. «È la grazia di una “sapienza” nuova. Non un pacchetto ben confezionato di buone idee cui fare ricorso alla bisogna. Come ogni vero dono (pensiamo ai talenti con cui ogni uomo viene al mondo), anche la fede domanda di maturare, di fiorire e fruttificare in noi fino a diventare “pensiero e sentimenti di Cristo Gesù”. Non perciò una conquista di cui vantarsi, ma un dono dello Spirito Santo di cui essere grati. È la sorpresa di uno sguardo (una mentalità: nous) che urge al paragone con se stessi, con gli altri, con tutta la realtà e con Dio».
Commentando vari passi del Vangelo, Scola sottolinea come per gli apostoli seguire Gesù era «un’ “avventura” sempre aperta. Essi non la possono mai tenere sotto controllo. Quante volte si devono rendere conto di non aver compreso! Quante volte cercano di ridurre la novità di Cristo ad un loro “pensiero”, invece di aprirsi al “pensiero di Cristo”!». Un modo per suggerire come l’autentica esperienza cristiana si lascia sempre spiazzare, mettere in discussione, ed esce da schemi e pregiudizi. All’origine non c’è l’iniziativa o la bravura dell’uomo, ma il «lasciarsi abbracciare da questo amore è la prima mossa per quella conversione, che consenta di assumere il pensare ed il sentire di Cristo».
E lo stesso cammino di condivisione che Pietro e i discepoli hanno vissuto con Gesù «è oggi possibile per ciascuno di noi se affrontiamo l’esistenza a partire dall’incontro con Cristo presente e vivo nella comunità cristiana. Nella Chiesa attraverso la comunione, alla scuola della Scrittura, della Tradizione e del Magistero, facciamo nostri il pensiero e i sentimenti di Cristo che crescono progressivamente in noi generando una mentalità».
Scola spiega che «riconoscere nella persona di Gesù il criterio per guardare, leggere e abbracciare tutta la realtà» non significa mettere in fila «anzitutto un insieme di conoscenze intellettuali» ma piuttosto assumere «una “mentalità”, un modo di sentire ed intendere la realtà che scaturisce dall’aver parte con Cristo», il quale a sua volta «guarda e legge gli avvenimenti nella prospettiva del Padre».
E «sentire con Cristo è la sorgente di una cultura, capace di promuovere tutto l’umano, cioè l’uomo nella sua integralità, e tutti gli uomini, senza esclusione alcuna», spiega il cardinale, che chiede alla diocesi di «riscoprire la dimensione culturale della fede, per vincere l’estraneità tra la nostra pratica cristiana e il concreto quotidiano». Questa dimensione culturale della fede «spalanca i credenti all’universale confronto con tutti e con tutto. Il discepolo di Cristo è pronto ad imparare da chiunque e da ogni situazione» e dunque non si manifesta in «sterile e spesso narcisistica opposizione, ma indefesso tentativo di cogliere il bene, ovunque e comunque si presenti, lasciando cadere ciò che non è tale».
Dopo aver invitato a praticare le opere di misericordia corporali e spirituali, che «generano atteggiamenti e gesti» i quali, «vissuti con fedele regolarità, lentamente rinnovano i nostri cuori», Scola insiste sulla «centralità del matrimonio e della famiglia». La famiglia è l’ambito in cui si viene educati, come per osmosi, al pensiero di Cristo, imparando a pregare, con l’attenzione ad affrontare «fatiche e contraddizioni senza lasciarle diventare ferite», l’equilibrio nel rapporto tenerezza-correzione; l’uso adeguato dei soldi e dei beni.
Anche l’impegno nelle opere di carità e negli ambiti in cui l’uomo si trova a fare i conti con la sofferenza, con il dolore e con la morte «riveste un ruolo centrale per l’educazione al pensiero di Cristo e ad avere il suo stesso “sentire”», spiega l’arcivescovo di Milano.
Infine, Scola spiega che il martirio non è solo quello del sangue. «Ogni genere di santità, ogni autentica vita spesa nella fede e nella comunione implica il martirio dell’offerta quotidiana di sé a Cristo per il bene di ogni fratello uomo. Anche ai cristiani della nostra generazione è chiesto almeno questo genere di martirio. Dal nostro cuore sgorghi, decisa, la domanda del coraggio dell’animo umile, della testimonianza autentica».
Di Andrea Tornielli per Vatican Insider (La Stampa)
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