Don Gaetano perché hai deciso di emigrare in Italia?
Non sono stato io a decidere di venire in Italia, è stato il Signore. Volevo diventare sacerdote nel mio paese e tra la mia gente. Dopo il quinto anno nel seminario minore di San Pietro Claver nella Arcidiocesi di Owerri che era la mia diocesi prima che l’attule Ahiara venisse creata nel 1988 da Papa Giovanni Paolo II, volevo continuare il mio percorso in uno dei Seminari Maggiori del mio paese ma dopo tre tentativi falliti, capii che il Signore aveva un’altro piano per me. Infatti, il Signore sconvolse il sacerdozio che volevo io, per donarmi il Suo sacerdozio; quello che Lui stesso ha progettato per me.
Entro in corrispondenza con Don Ludovico Caputo: un sacerdote italiano dei Padri Vocazionisti che era ed è tutt’ora missionario negli Stati Uniti di America. Questo bravo e santo sacerdote venne a trovarmi nel mio paese nel 1987, conobbe la mia famiglia e decise di accogliermi nella sua congregazione religiosa ma a cause delle difficoltà nell’ acquisto del passaporto e del visto d’ingresso in Italia, sono riuscito a venire in due anni dopo il nostro primo incontro praticamente il 15 Marzo 1989.
Come e quando hai capito che il Signore voleva che diventassi sacerdote?
Era una Domenica ed avevo solo 14 anni. Nel corso della celebrazione della Santa Messa, l’allora Parroco Don Domenic Amadi mostrò a tutti il modulo da riempire per chi intendesse entrare nel seminario minore. Ero un chierichetto e assistevo la Messa davanti all’Altare come era da consuetudine nostra. Vedendo il modulo, sentii nel mio cuore che era per me quel modulo, andai nella sagrestia e presi questo modulo dal Parroco senza dire niente ai miei genitori. Lo riempii di nascosto e la consegnai al Parroco poi lo disse a Mamma che poi lo raccontò a Papà ed erano felicissimi della mia scelta.
Per rafforzare la mia scelta, mia mamma mi raccontò che quando ero piccolo, mi vestivo ed uscivo e quando le persone mi chiedevano dove andavo rispondevo: “vado alla Messa mattutina.”
Ci sono stati dei momenti in Italia, in cui ti è venuto difficile essere accettato ed accolto?
Sono venuto in Italia con il visto d’ingresso e avevo anche un permesso di soggiorno. Non sono venuto per cercare la fortuna qui in Italia come era il caso degli altri miei connazionali clandestini e non. La mia situazione era chiara perchè venivo per diventare sacerdote religioso dei Padri Vocazionisti. Dunque avevo una casa e una comunità di riferimento. Posso dire che il mio arrivo è stato accolto, salutato e festeggiato. I problemi sono iniziati nel corso della convivenza che davvero non è stata facile. Ci siamo accorti che essere diverso e proveniente da un paese dell’Africa sia per me che per gli altri miei connazionali, era un motivo di vergogna e di disprezzo non solo agli occhi della gente ma anche degli stessi membri della comunità religiosa dove vivevamo. Infatti, a tavola, venivamo considerati morti di fame e le parole dette in nostra presenza e dietro le quinte, erano davvero umilianti al punto tale da creare nel nostro cuore una sorte di rabbia e chiusura. Nonostante ciò abbiamo vissuto anche momenti belli, come quelli passati con gli amici universitari che ci amavano e ci aiutavano nel prestarci gli appunti per lo studio o quelli vissuti con i professori che erano pazienti e tolleranti con noi visto che non capivamo l’italiano e che ci consigliavano tra l’altro di studiare gli argomenti utilizzando la lingua italiana e non l’inglese, sia per imparare la lingua stessa che per superare gli esami, ma sopratutto per una buona e fruttuosa integrazione e conoscenza degli usi e costumi italiani. Anche se all’inizio accettare il consiglio dei professori i quali parlavano in base alle loro esperienze, non è stato facile, ora mi rendo conto di doverli ringraziare per il risultato ottimo ed eccellente.
Tornando alla esperienza nella comunità dove vivevo, la comunità situata in via Manzoni Possilipo di Napoli, posso dire oggi, che la colpa era sia nostra che degli italiani in quanto a causa dell’ inesperienza, nessuno riusciva a capire a cosa si andava incontro. Noi eravamo coscienti di andare a Napoli per studiare ed eravamo contenti di condividere la comunità insieme con gli studenti religiosi italiani, ma avevamo il nostro modo di vivere, la nostra cultura e mentalità, gli usi e costumi ovviamente erano completamente diversi da quelli italiani. A questo punto, a chiunque, potrebbe venire in mente questa domanda “ma voi siete tutti religiosi e dovevate essere buoni senza dare cattivo esempio” ciò è vero, ma bisogna sapere che dove c’è l’uomo c’è anche il peccato. Anche nella casa di Dio si possono sperimentare cose che fanno davvero rabbrividire. Tutto ciò è superabile solo se l’uomo sapesse di essere sostenuto dalla grazia e dalla forza di Dio e non potevo capirlo in quel tempo, ero troppo giovane ed era difficile allora per me comprendere ciò che la Forza e la Potenza miracolosa della grazia di Dio può compiere nella mia vita. Pensavo troppo al male che subivo e mi chiudevo nella rabbia che mi faceva odiare e non salutare molte persone. Per fortuna adesso, ringraziando Dio, posso dire che era necessario quel momento di difficoltà per me, infatti, se non fossero accaduti quei momenti forti, non avrei l’idea della convivenza che Dio, passo dopo passo, faceva maturare in me, fino a convincermi di mettere l’amore al primo posto senza cercare alibi o fare la vittima.
Sono passati tanti anni dal lontano 1989, prima che tu diventassi sacerdote. Sei stato a Padova a fare il “vu cumprà”. In Italia c’è una vasta presenza di emigrati e clandestini. Cosa pensi di questa situazione attuale?
Si è vero, a Padova ho vissuto un esperienza molto forte insieme agli altri miei connazionali clandestini. Abitavamo in un ex edificio scolastico che si trovava in via Forcellini. Questa casa a due piani, se non vado errato, aveva soltanto due bagni e quattro docce, eravamo più di trecento ad alloggiare sia sopra che sotto. Da qui ogni giorno, andavamo a fare i “vu cumpra” in diverse città del Veneto e dell’Emilia Romagna e Friuli. L’esperienza di “vu cumpra” durò soltanto tre settimane per me, era umiliante e fastidiosa perchè dovevamo costringere le persone fino alla noia a comprare non perchè lo volevano ma per commiserare con noi.
Vivevo come tutti gli altri clandestini anche se avevo il mio permesso di soggiorno. Un clandestino, a mio avviso e secondo quello che ho visto e vissuto, è uno che è senza identità, senza una fissa dimora, senza diritti e doveri, uno che rischia di morire per una stupidaggine perchè a causa della sua situazione, è diventato un medico fai da te, quando si sente male va nella farmacia e compra le medicine senza la prescrizione del medico, insomma uno che si arrangia per vivere nella speranza della pietà del governo che lo grazierà con il permesso di soggiorno che è necessario per trovare lavoro e per acquisire altri diritti e doveri. Il clandestino vive nella paura e nel nascondimento perchè rischia di essere rimpatriato.
Per aiutare questo fenomeno ma anche per contrastarlo, è necessario evitare la sua politicizzazione, perchè rischia di fare solo danni a causa della propaganda che caratterizza la sua politicizzazione, crea più confusione, squilibri e paure e demagogie, che possono impedire e minare la conoscenza della ricchezza che può venire dall’essere diverso e la sua integrazione. Non bisogna fare neanche i bonisti che non aiutano nè gli immigrati clandestini nè i cittadini italiani. Bisogna affrontarlo con un umanità benevole, intelligente, coraggiosa, capace di misericordia ma allo stesso tempo di giustizia, applicando le leggi tenendo presente che non si diventa clandestino per scelta ma per necessità, perchè nessuno scappa dalla sua terra di provenienza se non sotto la spinta di una ricerca di una posto per migliorare la propria vita e quella dei suoi cari.
I centri di accoglienza devono essere preparati e considerati già come centri di cultura e della conoscenza del diverso e della sua integrazione, per far si che chi accoglie e chi viene accolto in questi centri, abbiano la possibilità di fare non soltanto una cultura di emergenza e disaggi, ma cercare di essere spinti alla conoscenza della diversità, cosi che i centri diventino un laboratorio dell’esperimento della convivenza tra i diversi. Questi centri però, non devono essere visti come centri di disagi, di agitazione e contestazione, non bisogna puntare il dito soltanto su ciò che non va, bisogna con pazienza e perseveranza, aiutare a far si che ai volontari e agli impiegati vengano riconosciuti i loro sforzi nonostante i loro limiti, possono fare errori, ma questi errori possono essere corretti senza troppa politicizzazione della situazione e senza propaganda e chiacchiere varie. Chi deve impegnarsi in questi centri, non devono essere soltanto persone che hanno tempo da perdere o vogliono fare qualcosa per gli altri o persone che non sapendo cosa fare della loro disgrazia, vanno in questi centri per sentirsi qualcuno o impegnarsi in qualcosa, devono essere persone con l’obbiettivo di impegnarsi per una convivenza giusta e rispettosa dell’altro con la sua diversità di cultura e di mentalità.
Se si lavora cosi, i centri di accoglienza possono risultare centri di studi di storia e culture diverse, centri di socializzazione e della conoscenza, possono essere anche centri per l’istruzione del lavoro, possono essere centri pronti per una conoscenza approfondita dei paesi in via di sviluppo.
Successivamente andando di nuovo a Napoli, iniziasti a lavorare nei campi e così decidesti di avere il permesso di soggiorno cambiando la dicitura “da religioso a clandestino”. Quel giorno in questura successe qualcosa. Raccontaci.
Da Padova dove facevo il “vu cumpra” ritornai a Napoli e andai nel paese del litorale casertano e raccoglievo pomodori, pesche albicocche, zappavo la terra e facevo lavoro di carico e scarico quando capitava. Abitavamo in una casa abbandonata in campagna nei presi di Qualiano. Una casa con le porte e finestre rotte, senza bagni perchè facevamo i bisogni fisiologici in campagna e potevamo lavarci solo di notte all’aperto.
In quel periodo, accadde un episodio che segnò la mia vita: decisi di cambiare il mio permesso di soggiorno. Era ancora con la dicitura da religiosi, ma volevo che diventasse per lavoro. Mi procurai i documenti necessari e andai alla questura di Caserta per fare la modifica. Entrai nell’ufficio preposto insieme a due miei compagni nigeriani e consegnai i documenti richiesti all’impiegato di turno. Mentre lui stava trascrivendo tutto, dall’interno della questura uscì un agente donna che cominciò a urlare: “chi è quello che non vuole più diventare prete? Se non lo vuole diventare più, se ne deve tornare nel suo Paese!”. Poi puntò il dito contro di me dicendomi: “Tu, tu stai ridendo di me!”. Le urla di questa donna erano cosi forti che il questore usci e domandò cosa stesse succedendo. Lei riuscì a convincere anche il questore che all’inizio era favorevole per il cambiamento del permesso di soggiorno, e cosi mi diedero il foglio di via che mi intimava di lasciare l’Italia entro quindici giorni! Ero confuso e amareggiato, non sapevo in che cosa avessi sbagliato e il perchè di un trattamento cosi duro.
Tornai a casa davvero avvilito. Mentre raccontavo l’accaduto ai miei paesani, un signore, che si chiama Elia, mi trasse in disparte e mi disse: “Gaetano, quello che è successo oggi è colpa tua! Il Signore sa che ti perderà per sempre se tu cominci a lavorare, perderà uno che Lui vuole totalmente per sè. Torna in seminario, perchè sei chiamato ad essere sacerdote”.
Ringraziai questo signore e continuai a pensare a quanto era accaduto, soprattutto al trattamento duro che avevo ricevuto. Non capivo. Ora che sono sacerdote ho capito che quella donna della questura era la Madonna in persona. Era Lei a impedirmi di abbandonare la strada che Dio aveva riservato per me. Come una Mamma amorosa mi ha schiaffeggiato per riportarmi all’ovile da dove rischiavo di uscire per sempre. Ho tanto odiato quella donna! Ma oggi la ringrazio, perchè, attraverso di lei, Dio ha conservato il mio cammino sacerdotale.
Oggi sei parroco da quattordici anni e nutri una passione per la musica Gospel. Hai fondato anche un associazione?
Sono stato ordinato sacerdote il 6 Gennaio 1997 e sono Parroco da quindici anni e ringrazio il Signore per il piccolo paese che mi ha affidato. E’ la porta stretta e la cruna dell’ago, quella di cui parla il vangelo, attraverso cui devo passare per trovare il pascolo che Lui mi ha preparato per rinfrancarmi l’anima.
Ho anche un gruppo musicale : “The Mosaic Gospel Boat”, un gruppo musicale di ispirazione cristiana che attraverso la musica gospel, testimonia che le differenze personali e culturali non impediscono agli uomini di vivere felicemente la vita su questa terra, ma anzi ne esaltano la ricchezza e bellezza. Questo gruppo musicale è formato da sei musicisti e cinque cantanti aquilani e d’intorni.
Papa Francesco, nell’attesissima visita ai clandestini di Lampedusa, disse durante l’omelia: “No a globalizzazione dell’indifferenza”. Cosa pensi di Papa Francesco?
Papa Francesco è uno che sa usare bene i suoi occhi. Egli guarda non soltanto per guardare, ma fissa per ascoltare e per conoscere. Possiamo dire che il Papa ascolta non soltanto con le orecchie ma sopratutto con gli occhi. I Suoi gesti e le Sue parole, mostrano che egli guarda e parla da innamorato che non ha nulla da nascondere al Suo amato che è Cristo e la Chiesa.
Quando egli uscì per incontrare e per abbracciare la gente dopo la Sua prima Messa da Pontefice nella Chiesa di Sant’Anna in Vaticano, con tutti i paramenti sacri addosso, la mia anima ha esultato di gioia ed emozione, ho detto: “Ora l’Eucarestia verrà sdoganata”.
L’ ho fissato e l’ ho contemplato, quando salì su quella macchinina dopo l’atterraggio all’aeroporto di Rio de Janeiro in Brazile. Con quel gesto e attraverso quel gesto, il Papa mi faceva vedere il Suo grande amore per Cristo. Per Cristo, il Papa ha donato tutto se stesso e non ha nessunissima intenzione di modificare il Suo si a Cristo. Mostrava a tutti la Sua profonda libertà e il Suo amore per la gente che non ha paura di incontrare ed abbracciare. Quella macchina piccola che il Papa ha usato, era un richiamo ai grandi di non dimenticare e abbandonare i piccoli. Era anche un ammonimento ai piccoli a nutrire una grande stima di se stessi, perchè non si può crescere e diventare grandi se non si ama la propria piccolezza. Era anche un invito alla semplificazione della vita che deve essere vivibile per tutti. Era una bella e forte proposta per far ripartire l’economia e introdurre un socialismo più vicino e più familiare alla gente. Era un forte invito che può essere interpretato cosi: Se volete essere grandi, siate piccoli, semplici e umili di cuore.
Papa Francesco, essendo uno che non fa demagogia, nè propaganda e nè chiacchiere, andò a Lampedusa per cercare di aprire i cuori e la mente del mondo intero alla conoscenza della verità che le guerre, le false globalizzazioni, lo sfruttamento dell’ ambiente e della natura, la mal gestione e mal distribuzione delle risorse, causano miseria e fanno fuggire la gente che nella ricerca di un posto migliore per vivere, perde la propria vita in maniera disumana ed infelice. Chiede agli uomini e donne di buona volontà, soprattutto a chi governa le nazioni e, di impegnarsi affinchè generazioni giovani, non perdano la loro identità e dignità e per fino la propria vita nel tentativo di trovare il meglio per sè e per i propri cari. Quando ha parlato della globalizzazione dell’indifferenza, vuole invitare tutti a riflettere sulle tragedie dei paesi poveri e dei loro figli.
Va per abbracciare ed incoraggiare e ringraziare innanzitutto i lampedusani e gli altri volontari per la loro accoglienza e solidarietà. Il Papa vuole aiutare tutti a lottare affinchè il male non vinca il bene ma che da queste esperienze, ci si può impegnare per una ricostruzione ed una convivenza basata sull’amore e sulla conoscenza e nel rispetto reciproco. Colpisce molto come l’altare usato per la celebrazione eucaristica è stato costruito dai resti di una barca con cui i poveri clandestini sono approdati a Lampedusa. Papa Francesco ha voluto dare dignità all’uomo sfortunato, che nel tentativo di cercare un futuro migliore, è diventato clandestino o ha perso la vita. Speriamo che la Sua Voce venga sentita ed ascoltata.
Sei molto legato a Medjugorje. Ci parli di questa esperienza?
La Madonna ha sempre vegliato sulla mia vita e sulla mia vocazione. Lei vuole che arrivi a conoscere e fare ciò che Suo Figlio e nostro Signore Gesù vuole che si realizzi nella mia vita, ci tiene con tutto il Suo amore e la sua sensibilità materna, affichè possa fare la volontà di Gesù. Basta riandare all’episodio casertano per capire il Suo sguardo materno verso di me. Sono stato riordinato sacerdote per custodire il Suo Santuario. La Madonna ha sempre voluto che Gesù sia tutto per me. Dovevo essere ordinato diacono l’8 Dicembre 1996, ma ha preferito che venissi ordinato il giorno di Tutti Santi. Dovevo essere ordinato sacerdote nel mese di Maggio (I Maggio 1997), ma Lei ha voluto che venissi ordinato il 6 Gennaio 1997, Festa dell’Epifania di Gesù: Luce delle Genti.
Ho conosciuto Medjugorje, per mezzo di una chiamata interiore ad andare a Loreto. A Loreto incontrai Daniela, una ragazza di Civitanova Marche che conoscevo. Attraverso Daniela, conobbi Lirio che era suo ragazzo. Quando Lirio e Stefano fratello di Daniela vennero nella mia Parrocchia a trovarmi, Lirio guardandomi disse, “dobbiamo portare don Gaetano a Medjugorje”. Accettai la proposta pensando che il Signore stava chiamando il ragazzo attraverso di me, andai per la prima volta a Medjugorje per questo ragazzo senza sapere che la Madonna voleva proprio me. Era nel mese di Maggio 2008, un anno prima del sisma che ha colpito L’Aquila e d’intorni.
Cercavo un segno dalla Madonna senza sapere che il segno me lo ha dato con la mia vita, che Lei aveva deciso di far conoscere alle persone. Quando perdetti misteriosamente il mio Breviario che poi ritrovai, capii che la Madonna voleva che diventassi una guida spirituale perché pensavo troppo a me stesso. Dopo un rosario detto e commentato nel pullman, le persone erano gioiose e si sentivano toccati da quello che lo Spirito Santo mi suggeriva, ero infatti meravigliato da questa loro gioia, emozione e felicità, e capii che la Madonna mi aveva dato tutto con la vita che vivevo. Dovevo solo condividerlo con gli altri fratelli e sorelle che Essa ha messo sulla mia strada. Mi innamorai davvero di Medjugorje e ci andavo una volta all’anno se non l’anno scorso quando la Madonna mi fece andare per tre volte. Tante cose succedono a Medjugorje, miracoli di conversioni del cuore. Io ricordo un amico mio Vittorio Vecchi, conosciuto là, appena arrivammo a Medjugorje, si mise a piangere dicendomi: “Don, non faccio altro che piangere perchè non ho mai visto e ricevuto una pace come la sto vivendo e ricevendo ora” era felice e la sua vita insieme a quella della moglie e dei figli è cambiata davvero in meglio. Ricordo un incontro sulla nave al ritorno, un signore mi fermò e mi disse piangendo: “Padre, mi hai dato la comunione dopo trent’anni. Un ragazzo di Teramo, grande bestemmiatore, in vacanza in Croazia con la moglie e il figlio, non potendo più sentire la moglie che insistentemente voleva andare a Medjugorje visto che erano a tre ore dalla Croazia, questo ragazzo, dalla Croazia Medjugorje, bestemmiò per tutto il viaggio. Ma quando entrò nella Chiesa di San Giacomo, poche ore dopo, con tutte le bestemmie aggiunte, cominciò a piangere. Il figlio disse alla mamma, “guarda papà sta piangendo”! La moglie si girò e vide che il marito piangeva davvero, gli domandò del perchè e lui rispose: Quella Donna (la Madonna), mi ha fulminato!
Io vado a Medjugorje perchè credo che è il Segno del tempo che la Madonna ha voluto dare per i credenti ma sopratutto per i non credenti. Colpisce molto la pace e la serenità che si sperimenta, ma sopratutto la conversione del cuore di chi è andato e ha capito davvero che Dio è Buono perchè è davvero Grande nell’amore.
Rita Sberna
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