Le prime sofferenze iniziano a farsi sentire, durante un concerto in cui cantavi. Ci puoi raccontare?
Dobbiamo fare un passo indietro. Nel 1989, avevo realizzato il mio primo album “Dentro il bosco”, con la casa editrice di Caterina Caselli, e avevo davanti a me un futuro promettente come cantautore. Apparentemente non avevo nessun sintomo di malessere, di depressione e di stanchezza. Però nel 1990, una notte di settembre, di colpo si dimezzò la mia capacità toracica, per cui cominciai a respirare malissimo. Passai la notte in bianco, senza riuscire a dormire. La mattina seguente, nel raccontare cosa mi era successo a mia nonna (in quel periodo vivevo con lei), c’impiegai un quarto d’ora.
Non avevo respiro neanche per parlare. Da un ragazzo sportivo, pieno di vita, pieno d’interessi, nel giro di pochi giorni diventai un vegetale che non uscivo di casa, non frequentavo più gli amici e né lavoravo più. Stavo davanti la televisione, tutto il giorno, e non parlavo, per cui ci fu questo repentino cambiamento, che preoccupò la mia famiglia d’origine.
I miei genitori, mi portarono a fare delle visite mediche centrate sul caso. La cosa strana era, che io fisicamente ero sano, ma avevo un sintomo forte d’insufficienza respiratoria. La prima conseguenza di questa malattia fu, che non potei più cantare. Ci fu anche un’altra conseguenza, a causa della malattia, non frequentavo più gli amici e nessuno riusciva a capirmi (neanche io riuscivo a farlo). Pian piano, nel giro di qualche mese, mi ritrovai solo con la mia malattia. Mi ritrovai in un momento di disperazione.
Come hai affrontato tutto questo?
Quando ho toccato il fondo, rimanendo da solo con la mia malattia, mi trovavo in un periodo che dal punto di vista spirituale, avevo abbandonato il mio cammino di fede, i sacramenti, la vita di fede, in una sola parola, avevo abbandonato Dio. In questa situazione spirituale, di abbandono del Signore, da parte mia, mi ammalai.
Quando restai completamente solo, con la mia malattia, cominciarono a fiorire nel mio intimo delle domande molto profonde. Mi chiedevo cosa il Signore volesse da me, quale sarebbe stato il mio progetto di vita, insomma mi chiedevo se il Signore voleva che io cantassi o che diventassi frate o che mi sposassi, ecc.. Cominciai il mio cammino vocazionale, con Padre Emilio, è un frate che a quel tempo, stava a Milano e adesso è a Brescia. Cercavo di capire, con suo aiuto, quale fosse il progetto di Dio sulla mia vita.
Cercavo di spronare Padre Emilio, per farmi entrare in convento, ma lui mi diceva di stare calmo, perché prima bisognava fare una serie di verifiche, non è detto che avevo la vocazione. Ci vuole un buon discernimento ma soprattutto cercava di farmi capire che la vocazione non deve essere una fuga dal mondo, ma deve essere una rinuncia al mondo per amore di Dio.
Mi ricordo che lui mi faceva spesso questa domanda: “Giacomo se tu potessi cantare, vorresti lo stesso entrare in convento?”. Questa domanda, mi metteva in crisi, rispondevo a Padre Emilio che se io potessi cantare, forse non cercherei di entrare in convento. Infatti, lui aveva la conferma che la mia non era una vocazione per la vita consacrata, ma io ero chiamato dal Signore tramite la sofferenza. Questo l’ho capito grazie a Padre Emilio e ad un mio discernimento personale.
Io sono convinto che il Signore, nel momento in cui l’avevo abbandonato, ha permesso questa mia sofferenza affinchè io, mi riavvicinassi a Lui. Questo è avvenuto perché nella mia sofferenza, cominciai pian piano ad andare alla messa domenicale, a ricevere i sacramenti. Mi riavvicinai al Signore e cominciai a frequentare dei sacerdoti e a leggere libri spirituali.
Ci fu una risposta da parte mia, la stessa risposta che il Signore si aspettava cioè che io ritornassi fra le Sue braccia. Il rapporto con Gesù è personale. Ognuno di noi, ha la sua vocazione e il suo compito sulla terra, che Dio gli dà. Nel mio caso, Gesù mi ha chiamato tramite la sofferenza.
Ad esempio mio papà, a differenza mia, a volte ci racconta che lui ha scoperto Gesù nel pieno della sua gioia. Mio papà aveva tutto: il successo, una bella famiglia, era felice. Lui voleva ringraziare qualcuno, ed ha iniziato a cercare Gesù.
Tu hai scritto la tua storia, in un libro dal titolo “La luce oltre il buio”. Perché hai deciso di scriverla e di condividerla?
Intanto questo libro, l’ho scritto insieme ad un coautore. Quindi è stato scritto a 4 mani, è stato un lavoro di equipe. La mia casa editrice, la Piemme, l’ha rivisto e revisionato, ed è uscito fuori un lavoro gradevole.
La mia unica motivazione di averlo scritto, è che volevo mettere a disposizione la mia storia, per far capire a tutti quelli che sono nel buio, (il mio buio era l’ansia, la depressione e gli attacchi di panico) che dal buio si può uscire cercando Gesù. Lui è il vero medico del corpo e dell’anima. Prima bisogna cercare Gesù (questo è il primo passo) e poi rivolgersi ai medici, che sono strumenti del Signore.
Adriano Celentano, in un famoso Sanremo di qualche anno fa, si trovò ad essere criticato per aver fatto cadere l’attenzione, con un richiamo, sulla vita eterna. Ti capita di pensare al giudizio eterno, al Paradiso, all’inferno e al Purgatorio?
Io ci penso molto spesso, se non addirittura tutti i giorni. Io non mi sento un convertito, mi sento un anima in cammino. Sto facendo un cammino di conversione che è diviso in 3 tappe: la prima tappa, è quella in cui l’anima scopre Dio, la seconda tappa è la più lunga, può durare anche anni, ed è quando l’anima si purifica dai suoi difetti, dai suoi vizi e peccati, infine c’è la terza tappa che avviene quando l’anima sposa, vive l’unione con il suo Sposo cioè con Cristo.
Io mi sento nella seconda tappa, nel momento della purificazione. E’ una tappa molto lunga, bisogna avere molta pazienza con se stessi, perché il Signore permette delle cadute per farsì che noi diventiamo umili. Bisogna perseverare, perché quando poi il Signore, riterrà opportuno, finalmente comincerà a concedere delle vittorie a quest’anima che si purifica.
Giacomo, sei sposato con Katia e avete un bellissimo bambino di 8 anni, Samuele. Da fidanzati, avete praticato 5 anni di castità. Oggi la castità, sembra essere persa o dimenticata. Viviamo in una società in cui tutto sembra essere concesso…
Da fidanzati, io e Katia, abbiamo fatto la scelta della castità. Non ce ne siamo mai pentiti, anche se personalmente, una volta sono caduto, perché siamo uomini fragili, ma al Signore importa che ci sia l’impegno.
Però prima di sposarci, io e Katia, non abbiamo mai fatto l’amore insieme e questo passo è molto bello, perché la sessualità vissuta all’interno del matrimonio, è un qualcosa che edifica il matrimonio stesso e gli sposi, unendoli.
Tutto questo si può sperimentare solo se prima si è vissuta la castità prematrimoniale, perché è bello sposarsi e donarsi completamente e interamente all’altro, e poi perché la castità oggi, è un valore da riscoprire. Gesù diceva: “Ciò che io dico alle vostre orecchie sussurrandovelo, voi gridatelo sui tetti”. Gesù voleva farci capire, che non c’è niente che non debba essere manifestato. Penso che dobbiamo riscoprire il Vangelo e capire che Gesù è il Salvatore dell’uomo, anche oggi nel terzo millennio.
Che cos’è per te Medjugorje?
Io sono stato a Medjugorje nel 2010 con un gruppo di amici. Ho vissuto un momento molto toccante, quando di sera, siamo saliti sul monte dell’apparizione, m’inginocchiai davanti la statua della Madonna bianca, e cominciai a pregare fervorosamente.
Poi arrivarono altri pellegrini, ci prendemmo tutti per mano e cominciammo a pregare tutti insieme. E’ stato veramente un bel momento. Io sono stato anche a Lourdes. La differenza che c’è tra questi due luoghi santi è che a Lourdes, si va per chiedere una guarigione, a Medjugorje si va per pregare. A Medjugorje si scopre Maria come Mamma, e sempre lì, la Regina della Pace è essenzialmente maestra di preghiera.
Questo lo si vede anche dai suoi messaggi. Spero di tornarci con la mia famiglia, con Katia e Samuele. Una cosa che mi ricordo è che, quando tornai da Medjugorje, mi sentivo molto carico spiritualmente, per diversi giorni.
Uno dei brani che hai scritto s’intitola “Fine del mondo”. E’ una provocazione che hai voluto fare, per la profezia dei Maja…
Affronto questa tematica della fine del mondo (che ovviamente ci sarà), ma nessuno sa, quando avverrà. Solo il Padre Celeste sa quando sarà. Addirittura nel Vangelo, c’è scritto che neanche il Figlio sa quando la fine avverrà. Io ho voluto affrontare questa profezia dei Maja, sulla fine del mondo, in maniera evangelica. Per far capire che, l’importante è la sequela di Cristo ogni giorno che deve essere il nostro impegno quotidiano.
Pregando, passano anche le paure del futuro. L’importante è vivere bene l’oggi. Vivere da cristiano, da Santo, perché Dio ci chiama tutti alla santità, anche se non è facile, però dobbiamo tendere alla santità.
Rita Sberna
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L’INTERVISTA DI RITA SBERNA A GIACOMO CELENTANO LA PUOI ASCOLTARE QUI!
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