I Nuova Civiltà, sono un gruppo di 7 persone di Reggio Emilia. Tutti sono accomunati dalla passione per la musica e la gente. Alcuni di loro, hanno preso parte attiva al mondo francescano, proprio perché vanno incontro alla gente nei luoghi dove c’è più bisogno. Utilizzano la musica per stare con le persone. Hanno alle spalle 26 anni di attività e vanno nei posti più impensabili della società come: nelle carceri, comunità per tossicodipendenti, comunità di recupero per giovani, ecc.
Massimo, che emozioni e sensazioni provate a condividere la vostra passione per la musica e il canto, in questi luoghi problematici?
Ti posso raccontare, a partire dall’ultimo concerto che abbiamo fatto sabato scorso, in un centro per malati di AIDS. Le emozioni sono esattamente le stesse che si provano quando si cerca di capire il mondo dal basso. Chi cerca di capire il mondo, guardando dall’alto in basso, direi che ha una visione parziale ma soprattutto superficiale. Quando invece, il mondo lo guardi dal basso, ti chini e ne raccogli anche le sue miserie, ed ecco che tutto cambia.
Le emozioni che si provano sono di un cambiamento. Sei tu il primo a cambiare, non loro. Questo andare incontro alle situazioni più difficili, in realtà sta mettendo in gioco te stesso.
La vostra band si può considerare cristiana?
Direi di si. Ormai da una quindicina di anni, facciamo parte di questa realtà di musica cristiana. Qua si apre un concetto molto più ampio, parlando di musica cristiana. Per molto tempo, esattamente dal Concilio in poi, quando si parlava di musica cristiana, si pensava alla musica con la chitarrina, da fare in chiesa per animare la messa che è un tipo di musica liturgica che ha un suo senso e un suo significato.
Noi ormai da una decina di anni, lavoriamo con un artista di musica cristiana internazionale che è Roberto Bignoli. La musica cristiana ha una predisposizione alla chiarezza ed un messaggio assolutamente inconfutabile, perché il testo esprime una fede molto evidente.
La nostra è stata una scelta un pochino diversa. Cantiamo con un linguaggio più aperto, più trasversale, perché quando vai a cantare in un carcere, hai a che fare con gente che arriva da storie, da culture e da paesi molto differenti.
Nel momento in cui tu parli del tuo Dio cristiano, rischi di creare un muro.
Noi non vogliamo creare un muro ma delle relazioni e quindi abbiamo bisogno di un linguaggio molto più aperto che punti su quelli che sono i punti fermi della vita e che guarda caso, sono anche quelli del vangelo.
Così riusciamo a raccontarci e testimoniare, quella che è una fede che nasce da dentro e da un percorso evangelico.
Nel vostro nuovo cd, ci sono due canzoni in particolare che amo ricordare: Emmaus e Saluto Te (cantata in coppia con Roberto Bignoli). Di cosa parlate esattamente nel brano “Emmaus”?
Il brano “Emmaus” è legato al brano evangelico dell’evangelista Luca, quando parla dei discepoli di Emmaus. Questi due personaggi che scappano da Gerusalemme, dopo che erano successi i fatti tragici della passione, crocifissione e morte di Gesù. Ancora, loro non avevano conosciuto la Resurrezione del Cristo, per cui scappano, delusi e impauriti. Ormai quasi allo sbando.
Lungo questo cammino si affianca Gesù (che all’inizio non viene riconosciuto da loro). Però li sorprende per la chiarezza che quest’uomo ha, nel parlare di Dio e delle sacre scritture. Giunta la sera, si fermano per dormire in un villaggio alle porte di Emmaus, e nel momento in cui Gesù spezza il pane, viene riconosciuto e sparisce.
La cosa bella di questo racconto, è che i discepoli non rimangono fermi, stupefatti e in contemplazione, anzi, ritornano a Gerusalemme per raccontare agli altri ciò che avevano visto, udito e sentito, con una gioia nuova nel cuore.
E’ un messaggio che deve dare ogni cristiano. Non possiamo soltanto, stare davanti al crocifisso e contemplare, dobbiamo uscire fuori. Questo lo dice anche Papa Francesco, dobbiamo andare in mezzo alla gente, perché chi incontra il Cristo, è un uomo pieno di gioia e non può fare altro che portarla agli altri.
La fede non si deve accontentare dei riti, in realtà Dio chiede molto di più. Dio non chiede riti, ma di cambiare se stessi e di buttarsi fiduciosamente nelle sue mani e poi diventare strumento di racconto, testimonianza della sua parola. La fede va accompagnata da opere. Le opere sono fondamentali. San Giacomo nella sua lettera, diceva di testimoniare la fede con le opere, perché è impensabile il fatto di testimoniare la fede senza le opere o viceversa. L’una ha bisogno dell’altra. Le opere hanno bisogno della fede, e la fede ha bisogno delle opere.
Si possono fare anche delle buone opere senza fede, ma sono solo buone opere, cose che finiscono lì. Invece, le buone opere con la fede, diventano testimonianza che seminano nel mondo un seme di speranza e quest’ultima, è l’unica cosa che ci può portare in prospettiva, ovvero nella prospettiva di un eternità.
Invece il brano “Saluto te”?
Questo brano è tratto da una lode di San Francesco, una delle poche preghiere scritte dal Santo o quanto meno che sono giunte a noi. Ho deciso di provare a fare una canzone. Quando scrivo un testo esplicitamente religioso con l’intento di testimoniare la mia fede, ho sempre un po’ il timore di cadere nel banale e di correre nella sciocchezza. Per cui preferisco, andare alla radice della mia storia di francescano.
In questo caso, sono andato proprio alla radice della fede mariana che è in San Francesco, attingendo a questa preghiera. Ovviamente è stata aggiunta qualche parola, infatti nel cd c’è scritto che è stata liberamente inspirata alla preghiera di San Francesco. Per me San Francesco, è stata un ulteriore scelta per il mio cammino, è il sentiero su cui muovo i miei passi per giungere a Dio o quanto meno, per cercare di testimoniare anche oggi la mia fede.
Due giorni fa, ero in una scuola a fare un incontro sul volontariato. In questa scuola vige ancora forte, il legame con la tradizione politica ferma ancora agli anni 60.
Dopo aver presentato l’aspetto del volontariato, ho chiesto ai ragazzi, se c’era una parola che secondo loro riassumeva l’aspetto del volontariato. Alla fine, dopo aver fatto con loro anche un gioco, mi hanno detto che secondo loro, l’unica parola oggi rivoluzionaria è la carità.
Nella carità raggruppi: la fede, la speranza, e l’amore.
La fede in un Dio che per te significa una prospettiva infinita di eternità, una speranza che tu sia (come diceva Madre Teresa di Calcutta), una matita nelle mani di Dio, e un amore incondizionato anche a chi non conosce e che non ama, ed ha il diritto paradossalmente d’ingannarvi. Perché tu ami, ma l’altro potrebbe anche non amarti. Ma noi siamo chiamati a tener conto anche di questo.
Siete stati sempre degli uomini pieni di fede, oppure c’è stato un momento in cui eravate lontani dalla fede in Dio?
Non si è mai pieni di fede. La fede è sempre un cammino. Però posso dirti che io per primo, se mi guardo dietro circa vent’anni fa, avevo una fede diversa. Con la fede, se uno vuole può crescere e camminare, man mano che cammina scopre cose sempre nuove.
In qualche modo aumenta la conoscenza che non è di tipo culturale, ma la conoscenza del cuore e dell’anima.
Quali sono i vostri progetti futuri?
Per quando riguarda la musica, è quello di continuare con l’attività. Per adesso viviamo in tempi difficili e quindi, anche chi organizza concerti, non ha più le risorse disponibili di un tempo, però noi continuiamo con tranquillità e serenità a fare quello che il buon Dio ci manda.
Abbiamo già alcuni impegni per i prossimi mesi. Viviamo di speranza. Ci muoviamo anche all’estero oltre che in Italia. Siamo stati in Portogallo e Bulgaria. Come dicevo prima, collaboriamo con Roberto Bignoli da dieci anni, siamo la sua band ufficiale, che lo accompagna nelle varie tappe.
Il nostro incontro è stato casuale, ci siamo incontrati in Sicilia. Sono passati circa 9 anni dal nostro incontro che è avvenuto a Ravanusa. Venimmo a fare un concerto, durante la sagra del paese. Noi suonammo il venerdì sera e Roberto suonò il sabato sera, come star principale.
Noi eravamo ancora lontani dall’essere conosciuti, e lui arrivò in una condizione di stanchezza fisica molto alta perché aveva fatto già, un concerto la sera prima e ci chiese se in qualche modo potevamo dargli una mano.
Noi volentieri lo facemmo.
Poi alla fine del concerto, ci portarono a mangiare in un altro paese, e lì con Roberto, cominciò una lunga chiacchierata che ancora continua da parecchi anni.
Quello che voglio dire ai radioascoltatori è che a questo mondo ci sono troppi parlatori e pochi pensatori. Tutti noi siamo chiamati ad essere pensatori che testimoniano.
Rita Sberna
L’INTERVISTA AI NUOVA CIVILTA’ IN FORMATO AUDIO SUL CANALE YOU TUBE
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