Un vecchio baule aperto sotto l’altare da qualche domenica aspetta il suo tesoro, la sua ricchezza da custodire… Non raccoglie né cibo, né vestiti, né soldi, solo piccoli quadrati di stoffa accompagnati da un biglietto. Accade a Torino, a pochi passi dal centro, nella parrocchia di Sant’Alfonso: è il baule della carità.
Perché ogni pezzo di stoffa che vi viene deposto corrisponde ad un gesto, ad un’azione compiuta per il bene di un’altra persona. Quell’invito ad amare i poveri “con i fatti” scelto come slogan per la Giornata mondiale dei poveri lo scorso 19 novembre, diventa con il simbolo del baule, invito e impegno concreto di una intera comunità a mettersi in gioco.
«Dai piccoli agli anziani – sottolinea il parroco don Davide Chiaussa – nessuno è escluso, perché tutti sono chiamati e hanno possibilità di tradurre il comandamento dell’amore con chi si incontra nel quotidiano ». Incontro che può essere con il povero ma anche il familiare, il vicino, il collega, il compagno di banco perché la povertà ha tanti volti: «è mancanza di mezzi economici, ma spesso molto più di relazioni, è solitudine, è non sentirsi amati». Una tavola apparecchiata, la condivisione di un pasto, il perdono, una preghiera, il servizio in una mensa, una visita ad un malato… tutto può arricchire, tutto potrà essere simboleggiato da un semplice pezzo di stoffa e da qualche riga che lo spiega.
Ma perché il tessuto? «La speranza – prosegue il parroco – è che i gesti siano tanti da riempire il baule e che così già per la prossima Pasqua tutti i quadretti di stoffa cuciti insieme possano diventare un paramento liturgico, una veste di carità tessuta, anche con fatica, giorno dopo giorno. Sarà per tutti l’abito della festa, l’abito che permette di partecipare al banchetto di nozze che il Vangelo di Matteo descrive al capitolo 22. Sarà il nostro ‘sacramento della carità”: il nostro modo come comunità di rendere visibile e presente con i nostri gesti l’amore che Dio ha per ciascuno, per i poveri, gli ultimi, i lontani, che è l’unico vero tesoro da custodire».
Fonte avvenire.it