Inizia così la lettera che l’arcivescovo di Torino, Cesare Nosiglia, ha inviato alla comunità cristiana. Il tema è quello dell’accoglienza e l’obiettivo è duplice. Da una parte si vuole superare il “clima di tensione” che “non giova ad affrontare con equilibrio e generosità questa emergenza: cavalcare le paure e gli allarmismi ingenera atteggiamenti di rifiuto che chiudono il cuore e addormentano la responsabilità di fronte all’obbligo forte consegnatoci dal Signore e che deve risuonare nelle coscienze e nel cuore di credenti e cittadini: ero forestiero e mi avete ospitato”.
Il secondo obiettivo è “mettere al centro la persona bisognosa” e interrogarsi “sul senso vero che diamo alle parole solidarietà e giustizia”.
Dopo aver ringraziato tutti le realtà diocesane e parrocchiali che già sono impegnate nel fronte dell’accoglienza, monsignor Nosiglia chiede “ad ogni Unità Pastorale della nostra Diocesi di provare a definire un concreto programma di accoglienza straordinaria e di accompagnamento per alcuni fratelli e sorelle vittime della migrazione forzata”.
Si tratta, spiega il presule, di affrontare il bisogno urgente dell’alloggio, per poi promuovere un percorso di inclusione sociale. Finora in diverse strutture ecclesiali sono state accolte oltre 500 persone, senza contare i tanti singoli e famiglie ospitate nelle parrocchie.
La proposta è di ospitare 5 persone per ogni Unità pastorale nelle parrocchie, negli istituti religiosi, nelle case di risposo e nelle altre strutture ecclesiali del territorio. Un analogo invito è rivolto alle famiglie torinesi.
“Non si tratta di una accoglienza solo notturna, come per quella offerta ai senza dimora da alcune parrocchie, ma di ospitalità completa per alcuni mesi, in base alle necessità e alle indicazioni che le Istituzioni pubbliche potranno fornirci”, specifica l’arcivescovo.
La capillarità di tale operazione, oltre ad aumentare il numero delle persone accolte, “avvia un’azione di responsabilità da parte delle comunità cristiane e civili e di ogni cittadino, che rifiutano quella cultura dello scarto, di cui tanto ci ha parlato Papa Francesco”.
Si tratta di estendere il già concreto lavoro delle Caritas e delle altre associazioni caritative a favore delle altre emarginazioni, dai poveri ai disoccupati.
Nosiglia conclude la sua missiva firmandosi semplicemente “Cesare Vescovo, Padre e amico”.
Mons.Cesare Nosiglia con i profughi del Moi (ex villaggio olimpico di Torino)
Il testo integrale della lettera di Mons. Cesare Nosiglia:
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«Cari presbiteri, diaconi e religiosi, famiglie e fedeli della Diocesi di Torino e cari cittadini, in questo periodo estivo è emersa in tutta la sua gravità la problematica dell’accoglienza dei rifugiati che giungono numerosi nella nostra patria come in altre nazioni europee per fuggire da situazioni tragiche di guerre, violenze e povertà estreme. Ne sono derivate polemiche e contrapposizioni aspre. Tutti ci accorgiamo che un clima di tensione incentivato anche dai media non giova ad affrontare con equilibrio e generosità questa emergenza, che invece esige un supplemento di impegno da parte di ogni componente sociale, rifuggendo da cinici populismi o ingenui buonismi.
Cavalcare le paure e gli allarmismi ingenera atteggiamenti di rifiuto che chiudono il cuore e addormentano la responsabilità di fronte all’obbligo forte consegnatoci dal Signore e che deve risuonare nelle coscienze e nel cuore di credenti e cittadini: “ero forestiero e mi avete ospitato”. Il buonismo ingenuo, a sua volta, rischia di ostacolare una intelligente gestione dei vari problemi che l’accoglienza pone. Sono questioni che vanno affrontate con la volontà di mettere al centro la persona bisognosa e che interpellano ciascuno di noi, non solo le istituzioni, sul senso vero che diamo alle parole “solidarietà” e “giustizia”.
Ringrazio l’Ufficio diocesano di Pastorale dei Migranti, la Caritas diocesana e le tante realtà parrocchiali o religiose e civili che, insieme a diverse famiglie hanno già offerto nei mesi scorsi a molti rifugiati alloggio o assistenza degna, attenta alle loro necessità primarie. Ritengo tuttavia che il Signore, attraverso questi “segni dei tempi” ci chiami ancora ad un di più di sforzo comune che, pur esigendo sacrificio, ottiene una forte, significativa e concreta testimonianza ecclesiale al Vangelo della carità che come comunità cristiana siamo chiamati ad offrire andando oltre le parole spesso vacue o inutili.
Per questo, pur consapevole dell’impegno che comporta la proposta, chiedo ad ogni Unità Pastorale della nostra Diocesi di provare a definire un concreto programma di accoglienza straordinaria e di accompagnamento per alcuni fratelli e sorelle vittime della migrazione forzata. Si tratta in partenza di affrontare il bisogno urgente dell’alloggio per poi promuovere insieme alle altre realtà ecclesiali e civili un sostegno effettivo al percorso di inclusione sociale di cui avranno
bisogno.
Finora abbiamo messo a disposizione in diverse strutture ecclesiali capaci di accogliere decine e decine di persone – oltre 500 posti, senza contare tanti piccoli nuclei di singole persone o famiglie accolte nelle parrocchie. L’acuirsi dell’emergenza esige ora un intervento diverso, per favorire l’accoglienza capillare di gruppi numericamente più piccoli, ma geograficamente più diffusi sul territorio.
Chiedo in particolare ai moderatori e referenti territoriali della Caritas, San Vincenzo e altre realtà che operano nel sociale, di promuovere in ogni Unità Pastorale uno o più luoghi di accoglienza temporanea capaci di ospitare 5 persone ciascuno, cercando la disponibilità presso le parrocchie, gli istituti religiosi, le case di risposo, altre strutture ecclesiali presenti sul territorio. Le comunità siano coinvolte in questa iniziativa sentendosene responsabili e offrendo il loro sostegno.
Non si tratta di una accoglienza solo notturna, come per quella offerta ai senza dimora da alcune parrocchie, ma di ospitalità completa per alcuni mesi, in base alle necessità e alle indicazioni che le Istituzioni pubbliche potranno fornirci.
La capillarità di tale operazione, unita all’invito affinché anche alcune famiglie siano disponibili ad accogliere un rifugiato in casa, può produrre un frutto molto positivo: oltre all’estensione del numero di persone che ne usufruiscono, avvia un’azione di responsabilità da parte delle comunità cristiane e civili e di ogni cittadino, che rifiutano quella cultura dello scarto, di cui tanto ci ha parlato Papa Francesco in riferimento anche agli anziani, poveri, malati e disabili, disoccupati o in cerca di lavoro, famiglie soggette a sfratto incolpevole…. Essi sono ogni giorno destinatari della solidale azione delle nostre comunità mediante la Caritas e tante realtà associative religiose e laicali per cui non si tratta di togliere o diminuire questa concreta azione di sostegno, ma di estenderla anche a chi si trova in una particolare situazione di miseria e di abbandono. Dio, che non si lascia vincere in generosità e ama chi dona con gioia, saprà moltiplicare il bene fatto anche a vantaggio di chi lo fa. Siccome l’iniziativa presenta anche aspetti delicati, per rendere ordinato il progetto e per attuarlo davvero in rete chiedo ad ogni Unità Pastorale di riferirsi all’Ufficio Pastorale dei Migranti che – in stretta collaborazione con la Caritas diocesana – offrirà un supporto di indirizzo, di coordinamento, di informazione, di elaborazione progettuale.
Maria Santissima Consolata e i nostri grandi Santi sociali ci aiutino e sostengano nel compiere fino in fondo questo dovere primario della carità, fonte prima di fede e di pace per tutti.
Vi benedico di cuore.
+ Cesare Vescovo, Padre e amico».
Torino 29 agosto 2015
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A cura di Alessandro Ginotta per PAPABOYS 3.0
fonti: Avvenire, Diocesi di Torino
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