Papa Francesco ha iniziato la sua terza e ultima giornata in Kenya – dopo aver celebrato la Messa in privato nella nunziatura apostolica di Nairobi – nel quartiere povero di Kangemi, una baraccopoli dove mancano i servizi essenziali, nel cuore della capitale kenyana, circondata da zone residenziali.
La popolazione di oltre 100mila abitanti è multietnica. Il Papa ha percorso le stradine in terra battuta fino alla parrocchia cattolica di san Giuseppe Lavoratore retta dai gesuiti che dirigono anche un ambulatorio, un istituto tecnico superiore, un centro di assistenza alle madri in difficoltà. Nella chiesa parrocchiale il Papa Francesco ha rivolto le sue parole ai presenti.
Grazie per la vostra ospitalità. (in inglese: grazie tante per la vostra ospitalità)
Grazie per avermi accolto nel vostro quartiere. Grazie al Signor Arcivescovo Kivuva e a padre Pascal per le loro parole. In realtà, mi sento a casa condividendo questo momento con fratelli e sorelle che, non mi vergogno a dire, hanno un posto speciale nella mia vita e nelle mie scelte. Sono qui perché voglio che sappiate che le vostre gioie e speranze, le vostre angosce e i vostri dolori non mi sono indifferenti. Conosco le difficoltà che incontrate giorno per giorno! Come possiamo non denunciare le ingiustizie subite?
Ma prima di tutto vorrei soffermarmi su un aspetto che i discorsi di esclusione non riescono a riconoscere o sembrano ignorare. Voglio fare riferimento alla saggezza dei quartieri popolari. Una saggezza che scaturisce da «un’ostinata resistenza di ciò che è autentico» (Enc. Laudato si’, 112), da valori evangelici che la società del benessere, intorpidita dal consumo sfrenato, sembrerebbe aver dimenticato.
Voi siete in grado di tessere «legami di appartenenza e di convivenza che trasformano l’affollamento in un’esperienza comunitaria in cui si infrangono le pareti dell’io e si superano le barriere dell’egoismo» (ibid., 149).
La cultura dei quartieri popolari impregnati di questa particolare saggezza, «ha caratteristiche molto positive, che sono un contributo al tempo in cui viviamo, si esprime in valori come la solidarietà, dare la propria vita per l’altro, preferire la nascita alla morte; dare una sepoltura cristiana ai propri morti. Offrire un posto per i malati nella propria casa, condividere il pane con l’affamato: “dove mangiano 10 mangiano in 12”, dicono; la pazienza e la forza d’animo di fronte alle grandi avversità, ecc.» (Gruppo di Sacerdoti per le Zone di Emergenza, Argentina, Reflexiones sobre la urbanización y la cultura villera, 2010). Valori che si fondano sul fatto che ogni essere umano è più importante del dio denaro. Grazie per averci ricordato che esiste un altro tipo di cultura possibile.
Vorrei rivendicare in primo luogo questi valori che voi praticate, valori che non si quotano in Borsa, valori con i quali non si specula né hanno prezzo di mercato. Mi congratulo con voi, vi accompagno e voglio che sappiate che il Signore non si dimentica mai di voi. Il cammino di Gesù è iniziato in periferia, va dai poveri e con i poveri verso tutti.
Riconoscere queste manifestazioni di vita buona che crescono ogni giorno tra voi, non significa in alcun modo ignorare la terribile ingiustizia della emarginazione urbana. Sono le ferite provocate dalle minoranze che concentrano il potere, la ricchezza e sperperano egoisticamente mentre la crescente maggioranza deve rifugiarsi in periferie abbandonate, inquinate, scartate.
Questo si aggrava quando vediamo l’ingiusta distribuzione del terreno (forse non in questo quartiere, ma in altri) che porta in molti casi intere famiglie a pagare affitti abusivi per alloggi in condizioni edilizie per niente adeguate. Ho saputo anche del grave problema dell’accaparramento delle terre da parte di “imprenditori privati” senza volto, che pretendono perfino di appropriarsi del cortile della scuola dei propri figli. Questo accade perché si dimentica che «Dio ha dato la terra a tutto il genere umano, perché essa sostenti tutti i suoi membri, senza escludere né privilegiare nessuno» (Giovanni Paolo II, Enc. Centesimus annus, 31).
In questo senso, un grave problema è la mancanza di accesso alle infrastrutture e servizi di base. Mi riferisco a bagni, fognature, scarichi, raccolta dei rifiuti, luce, strade, ma anche scuole, ospedali, centri ricreativi e sportivi, laboratori artistici. Voglio riferirmi in particolare all’acqua potabile. «L’accesso all’acqua potabile e sicura è un diritto umano essenziale, fondamentale e universale, perché determina la sopravvivenza delle persone, e per questo è condizione per l’esercizio degli altri diritti umani. Questo mondo ha un grave debito sociale verso i poveri che non hanno accesso all’acqua potabile, perché ciò significa negare ad essi il diritto alla vita radicato nella loro inalienabile dignità» (Enc. Laudato si’, 30). Negare l’acqua ad una famiglia, attraverso qualche pretesto burocratico, è una grande ingiustizia, soprattutto quando si lucra su questo bisogno.
Questo contesto di indifferenza e ostilità, di cui soffrono i quartieri popolari, si aggrava quando la violenza si diffonde e le organizzazioni criminali, al servizio di interessi economici o politici, utilizzano i bambini e i giovani come “carne da cannone” per i loro affari insanguinati. Conosco anche le sofferenze di donne che lottano eroicamente per proteggere i loro figli e figlie da questi pericoli. Chiedo a Dio che le autorità prendano insieme a voi la strada dell’inclusione sociale, la strada dell’istruzione, dello sport, dell’azione comunitaria e della tutela delle famiglie, perché questa è l’unica garanzia di una pace giusta, vera e duratura.
Queste realtà che ho elencato non sono una combinazione casuale di problemi isolati. Sono piuttosto una conseguenza di nuove forme di colonialismo, che pretende che i paesi africani siano «pezzi di un meccanismo, parti di un ingranaggio gigantesco» (Giovanni Paolo II, Esort. ap. postsin. Ecclesia in Africa, 32-33). Non mancano di fatto, pressioni affinché si adottino politiche di scarto, come – ad esempio – quella della riduzione della natalità che pretende «legittimare l’attuale modello distributivo, in cui una minoranza si crede in diritto di consumare in una proporzione che sarebbe impossibile generalizzare» (Enc. Laudato si’, 50).
A questo proposito, propongo di riprendere l’idea di una rispettosa integrazione urbana. Né sradicamento, né paternalismo, né indifferenza, né semplice contenimento. Abbiamo bisogno di città integrate e per tutti. Abbiamo bisogno di andare oltre la mera declamazione di diritti che, in pratica, non sono rispettati, e attuare azioni sistematiche che migliorino l’habitat popolare e progettare nuove urbanizzazioni di qualità per ospitare le generazioni future. Il debito sociale, il debito ambientale con i poveri delle città si paga concretizzando il sacro diritto alla terra, alla casa e al lavoro [le tre “t”: tierra, techo, trabajo]. Questo non è filantropia, è un dovere morale di tutti.
Faccio appello a tutti i cristiani, in particolare ai Pastori, a rinnovare lo slancio missionario, a prendere l’iniziativa contro tante ingiustizie, a coinvolgersi nei problemi dei cittadini, ad accompagnarli nelle loro lotte, a custodire i frutti del loro lavoro collettivo e a celebrare insieme ogni piccola o grande vittoria. So che fate molto, ma vi chiedo di ricordare che non è un compito in più, ma forse il più importante, perché «i poveri sono i destinatari privilegiati del Vangelo» (Benedetto XVI, Discorso ai Vescovi del Brasile, 11 maggio 2007, 3).
Cari cittadini, cari fratelli. Preghiamo, lavoriamo e impegniamoci insieme perché ogni famiglia abbia una casa decente, abbia accesso all’acqua potabile, abbia un bagno, abbia energia sicura per illuminare, per cucinare, per migliorare le proprie abitazioni… perché ogni quartiere abbia strade, piazze, scuole, ospedali, spazi sportivi, ricreativi e artistici; perché i servizi essenziali arrivino ad ognuno di voi; perché siano ascoltati i vostri appelli e il vostro grido che chiede opportunità; perché tutti possiate godere della pace e della sicurezza che meritate secondo la vostra infinita dignità umana.
Mungu awabariki! (Dio vi benedica!) E, per favore, vi chiedo, di pregare per me.
di Redazione Papaboys
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