Categorie: Italiae et Ecclesia

Tra quei sacchi gialli si rovistano anche le coscienze

RIMINI MISSIONARIA – L’iniziativa, nata nel 1980, oggi vede attivi sei campi missionari: oltre a Riccione, si lavora contemporaneamente a Rimini, Verucchio, Bellaria, Cattolica e, per la prima volta, anche a Santarcangelo. Una forma intelligente e partecipata di raccolta fondi attraverso il recupero. Quest’anno, vista la crisi, parte del ricavato andrà anche ai poveri ”della porta accanto”, tramite la Caritas diocesana

I sacchi gialli ricolmi, ai bordi della strada, indicano che siamo quasi arrivati alla meta. I campo-lavoratori ne hanno distribuiti 160mila in tutta la diocesi di Rimini grazie alle parrocchie che hanno mobilitato centinaia di volontari per distribuirli casa per casa. Quei sacchi, in trentaquattro anni, sono diventati il simbolo del Campo Lavoro Missionario, la raccolta organizzata dalla diocesi riminese per finanziare, con il ricavato dei materiali di scarto destinati al recupero e ai mercatini dell’usato, diversi progetti umanitari. Martina Semprini, vent’anni, è uno degli incaricati allo smistamento dei sacchi e scatoloni confluiti tra sabato e domenica nel punto di raccolta di Riccione, a pochi passi dal Centro missionario “Daniele Comboni”. Qui è nata, nel 1980, un’iniziativa che oggi vede attivi sei campi durante l’intensa due-giorni: oltre a Riccione, si lavora contemporaneamente a Rimini, Verucchio, Bellaria, Cattolica e, per la prima volta, anche a Santarcangelo.
Duemila volontari. Come Martina, altri duemila volontari dedicano il loro tempo a un’esperienza che il vescovo di Rimini, monsignor Francesco Lambiasi, definisce “una delle Rimini più belle, che non finisce mai di stupire”. Suscita stupore il vedere tante persone di diversa nazionalità, dai quindici agli ottant’anni, credenti e non credenti, riunirsi per una buona causa, non solo economica: “Il principale obiettivo – spiega Gabriele Valentini, fedelissimo del Campo – è la sensibilizzazione ad uno stile di vita più essenziale, a cominciare da noi stessi e dai bambini che, in più di seimila, sono stati coinvolti in un progetto educativo nelle scuole”. “Cambiare noi per cambiare il mondo” è il motto.
Non si rovista solo tra i rifiuti, ma anche nelle coscienze. “È l’evento che mi fa sentire più utile, mi aiuta a cogliere il valore delle cose” commenta Martina mentre estrae da una montagna appena scaricata dai furgoni, un mucchio di vestiti, borse e scarpe. “Chi butta scarpe senza suole, abiti ridotti a immondizia – prosegue la giovane, al suo terzo anno di Campo – chi cose ancora nuove, anche se quest’anno ne vediamo meno. Forse la gente non ha più così tanto da buttare via”. È uno degli effetti della crisi, osserva Gabriele sottolineando il risvolto etico positivo. “Si spreca di meno o si compra più consapevolmente” aggiunge Mike Semprini dal mercatino dei giochi usati dove l’anno scorso arrivavano perfino giocattoli ancora inscatolati. Qui, come nelle altre bancarelle, dall’abbigliamento ai libri, fino all’elettronica, l’afflusso è tutt’altro che in calo: intere famiglie arabe, dall’Est Europa, nordafricane e italiane, “in aumento negli ultimi anni”, cercano l’affare. “Ti apre il cuore vedere i bambini estasiati tra tutti questi giocattoli – commenta -. E alla fine possono permettersi di comprare anche un sacco di peluche a 5 euro”. Poco più in là, nell’affollata bancarella dei vestiti, i prezzi vanno dai 50 centesimi ai 5 euro per le giacche. Molta gente si dirige anche all’angolo delle occasioni, dove si trova di tutto, dalla poltrona al passeggino. Magda
(nome di fantasia) cerca una bombola a gas. “Mi serve per cucinare qualcosa dopo che mi hanno staccato il gas perché non riuscivo più a pagare le bollette”. Rumena, in Italia da quindici anni, vive da sola con i due figli adolescenti. Con 7 euro all’ora, cifra che prende per tre giorni di pulizie a settimana, è difficile andare avanti. Di storie come la sua ne passano numerose ai Centri Caritas riminesi, 1.500 – in crescita – le famiglie di migranti aiutate nel 2013. Anche ai poveri “della porta accanto” – tramite la Caritas diocesana – andrà parte del ricavato della raccolta tradizionalmente destinata alle missioni all’estero.
Lo spirito di squadra. La giornata, iniziata con la preghiera, prosegue in un clima di festa. Stupisce il forte senso di squadra, uno spirito che contagia, come racconta Balil Gjikondi, albanese da dodici anni in Italia, al suo quinto Campo Lavoro. Il titolare dell’impresa edile dove lavora gli ha permesso di utilizzare il furgone aziendale per andare a prendere i tendoni e tutte le attrezzature servite all’allestimento del campo. “Qui siamo tutti amici – commenta-, prima di iniziare pensavo solo a me, adesso conosco tutti, stanno per raggiungermi anche i miei due figli di 22 e 23 anni”. Tra i nuovi “arruolati” ci sono anche un giovane senegalese, Niang Mayacine, arrivato con un furgone e tanta voglia di fare, e alcuni ragazzi che scontano la pena alternativa alla Casa del Perdono della Comunità Papa Giovanni XXIII. “Per loro è un modo per tornare tra la gente” spiega Gabriele. La giornata finirà con una cena comunitaria. In tavola, i prodotti donati dai clienti dei supermercati vicini, cucinati da Mariella Migani, la capo-cuoca, aiutata da altre sette persone. Un signore, sull’ottantina, affetta il pane mentre Mariella svela il menù: “Maccheroni al ragù, cotoletta e patate. L’anno scorso abbiamo raggiunto il record di 360 persone”. Tra i rottami cresce una famiglia. di Alessandra Leardini*
*Fonte: Agenzia Sir

 

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