Sul luogo del naufragio restano ora solo nafta e detriti. Ma quei tragici momenti sono scolpiti, in modo indelebile, nel doloroso ricordo e nelle disperate parole di un giovane del Bangladesh, sopravvissuto alla tragedia più grave del dopoguerra nel Canale di Sicilia. La traversata nel Mediterraneo è un racconto dell’orrore. Il barcone, partito da un porto a 50 km da Tripoli, si è capovolto a largo della Libia. Secondo quanto riferito, aveva a bordo almeno 950 migranti, molti dei quali, soprattutto donne e bambini, chiusi nella stiva. Questa nuova catastrofe interroga le coscienze di tutta comunità internazionale. Imminenti a livello europeo una serie di incontri straordinari. Anche le Nazioni Unite mettono in campo una serie di proposte. Sentiamo Carlotta Sami, portavoce dell’Alto Commissariato dell’Onu per i Rifugiati:
R. – Come Agenzia Onu per i Rifugiati abbiamo avanzato le nostre proposte, le abbiamo rese pubbliche. Sono proposte molto concrete, che vedono la priorità assoluta al salvataggio in mare e poi alla creazione di canali legali per poter far arrivare i rifugiati in modo sicuro in Europa. Molti di coloro che attraversano il Mediterraneo sono effettivamente persone che hanno diritto all’asilo: scappano dalla Siria, dall’Iraq, dall’Eritrea, dagli attacchi terroristici della Somalia e del Nord della Nigeria. E questo sostanzialmente bisogna fare: ristabilire una capacità di ricognizione e salvataggio permanente molto ampia nel Mar Mediterraneo e far sì che a livello europeo poi si condivida la responsabilità della vita dei rifugiati, che hanno diritto alla protezione in Europa. Si parla di qualche centinaio di migliaia di persone. Quindi una situazione che, pensiamo, possa essere assolutamente gestibile dall’Unione Europea.
D. – A proposito di Europa, secondo lei è facile mettere d’accordo tutti i Paesi, alcuni molto distanti dal Mediterraneo…
R. – Non è sicuramente facile, ma è qualche cosa che non è procrastinabile ed è anche inevitabile. Diciamo che lo stesso spirito che ha visto, e che vede, tante volte l’Unione Europea intervenire in grandi crisi umanitarie – pensiamo allo tsunami, ad Haiti, alle grandi inondazioni del Pakistan… – ebbene, quello stesso spirito deve essere utilizzato questa volta per intervenire sul proprio territorio. L’Unione Europea vede attorno a sé una serie di conflitti che non trovano una soluzione: quindi una parte di coloro che ne fuggono arrivano sul territorio europeo.
D. – Considerando le varie crisi che stanno vivendo i Paesi nordafricani che si affacciano sul Mediterraneo, è possibile creare degli accordi per il controllo delle partenze?
R. – La cosa più importante è avere un piano chiaro di quelle che sono le disponibilità dei membri dell’Unione Europea all’accoglienza di un certo numero di rifugiati. È possibile sicuramente, come già noi facciamo, registrare i richiedenti asilo già nei Paesi – diciamo – “terzi”, ma ci deve essere questa disponibilità, perché poi le persone hanno diritto di arrivare in Europa e per l’Europa è un obbligo dare accoglienza e protezione ai rifugiati. Fino a quando non ci sarà questo accordo preventivo, sarà estremamente difficoltoso fare qualsiasi altro passo.
A cura di Redazione Papaboys fonte: Radio Vaticana
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