Tre anni dal Terremoto: senza case (e senza speranza), Amatrice resta nella polvere…
Bottiglie. Qui nella piazzetta all’ingresso dell’ex paesino, sulla destra, c’era una farmacia, un bar, c’era un arco, poco più avanti c’era il palazzo antico del Comune, c’erano i bambini, gli anziani, quelli che se n’erano andati e tornavano felici per passare almeno l’estate. C’era. C’erano. Adesso si sente frinire. Si sente, spettrale, questo sì, il rumore dei propri passi dentro un deserto di rovine, cupo, immobile, senza neanche vento. In una nicchia del muro, che intorno aveva un negozio d’alimentari, negli anni passati si vedevano bottiglie d’acqua minerale, accantonate ancora incellofanate, stanotte s’intravedono appena, la vegetazione le ha coperte. Nascoste. Ingoiate.
Profondi rossi. Tre anni dopo, nulla è troppo diverso. Neanche la notte ad Amatrice, neanche a Pescara del Tronto o ad Arquata. E sono ancora troppi i profondi rossi. Come le zone, i centri storici spesso, che furono devastate e che stanno lì, tutte, come millenovantacinque giorni fa. Come gli occhi dei vecchi, che non si riaccendono. In Umbria, uno striscione scritto con lo spray è firmato dallo “Spi Valnerina”, che ha scritto «I terremotati pensionati vogliono ricostruire prima di morire».
Sommati, Retrosi e via via le altre frazioni di Amatrice sono vuote e abbandonate. Da qualche parte, qui e là, un po’ di macerie sono state portate via, ma nei 138 Comuni del cratere creato dalle tre grandi “botte” che sbranarono il Centro Italia (il 24 agosto e il 30 ottobre 2016 e il 18 gennaio 2017) il trenta, trentacinque per cento rimane dov’era. S’incontrano panni stesi alle finestre, stanze squarciate, letti e tavoli di cucina, docce affacciate sul vuoto, lampadari che sul vuoto oscillano, scarpe, tovaglie, coperte.
Chilometri e poi chilometri, tornanti, tratti di Salaria, Lazio, Umbria e Marche, fino a Visso, Norcia, Camerino, passando per altre frazioni come Campi e Preci, fra casette arrivate dopo due anni e che hanno già dato un bel po’ di problemi, verde di colline, cantieri, pochissimi, qui e là, cimiteri sempre sfasciati, animali, cavalli e mucche tornati a pascolare, avvilimento, tristezze, sensazione fra la gente d’esser stata lasciata sola e neppure più troppa rabbia. «Abbiamo avuto tre governi e tre commissari, ma non sappiamo ancora chi sono i nostri interlocutori», dice Aleandro Petrucci, sindaco di Arquata.
«Non sappiamo come andare avanti». Il sindaco di Amatrice, Antonio Fontanella: «Non ci sono nemmeno più le macerie, solo qualche edificio. Non abbiamo più la memoria storica, solo una radura». Scoraggiato anche un altro sindaco, Mauro Falcucci, sindaco di Castelsantangelo sul Nera: «Nessuno rimuove gli ostacoli burocratici. Dopo tre anni abbiamo la sensazione di essere stati dimenticati».
«È la fine». Altri striscioni sparsi fra le tre regioni. Come «2016-2019 terremotati dimenticati» o «Il tempo passa, la ricostruzione è ferma e il paese muore», da «Vergogna, no ricostruire, no ospedale, no bus, è la fine» a «La morte dei paesi abbandonati da tutti». Da quella prima scossa, tre anni fa, sono circa 73mila gli edifici dichiarati inagibili. I cantieri avviati qualche centinaio, le domande per il contributo alla ricostruzione sono 10mila, poco più del tredici per cento. Addirittura la stessa rimozione delle macerie va avanti appunto col contagocce. Anzi, per esempio, è rimasta ferma otto mesi in Umbria e la Regione Marche, a luglio, ha denunciato il rischio di sospenderla per la scarsità di fondi governativi.
Le istituzioni sembrano navigare a vista e con rotta ormai consolidata, più il paesino o la frazione sono piccoli, più non ci si è messa mano. «Valiamo pochi voti», ripete molta gente. Aggiungendo che «qui, dopo le passerelle del primo anno, politici non se ne vedono più». Vero. Com’è pure vero che da queste parti, specie in quegli stessi piccolissimi centri, gran parte delle case sono “seconde” e che i proprietari latitano. Un po’ per la grande paura fra 2016 e 2017, un po’ perché poco convinti che valga la pena metter mano al portafogli.
Toccata e fuga. È a sera che si capisce molto e molto meglio. Siamo ad agosto, adesso anche a ridosso dell’anniversario, i turisti ci sono, sono tanti, spesso venuti qui per voglia di dare una piccola mano. I ristoranti amatriciani, per esempio, sono strapieni e senza aver prenotato è difficile riuscire a mangiare. Ma sono gite, visite da toccata e fuga, poche ore e via.
La sera tutto diventa altro. Mostra un volto più vero, meno scanzonato e reattivo, meno estivo. Diverso. Solo. Senza luci nei centri commerciali e di aggregazione, a parte qualche spettacolino musicale per pochi, senza più persone, che nemmeno saprebbero dove passeggiare. Qualcuno, pochi, è seduto fuori dalle casette, nell’aria che sa di fresco. Qualcun altro, ancora meno, gli anziani, siede e fissa il cielo.
Tre anni dopo, lo spettro è un rischio che sta facendosi realtà. Amatrice contava 1.200 residenze, ora sono sotto le 1.000 oppure ad Accumoli i residenti sono scesi a 400 ed erano 600. Lo dicono i sindaci: «Più tempo ci vorrà per ricostruire, meno saremo». Tante famiglie e tanti giovani se ne sono andati. Gli altri restano. Quelli che si perdono fissando il cielo. Feriti. Avviliti. Fieri. E che resteranno. Fonte avvenire.it – Pino Ciociola
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