Misericordia, parola chiave e guida del pontificato di Francesco o almeno di questi sui primi tre anni da Papa, eletto nel Conclave del 13 marzo del 2013. ‘Miserando atque eligendo’, si legge nel suo motto; e ‘Misericordiae Vultus’ è il titolo della bolla con cui ha indetto l’Anno Santo straordinario, il Giubileo della Misericordia, appunto.
“Certamente, Jorge Mario Bergoglio aveva la misericordia nella sua mente e nel suo cuore fin dal primo momento”, conferma all’AdnKronos padre Antonio Spadaro, direttore di ‘Civiltà Cattolica’. “E i gesti che ne sono seguiti, talora sorprendenti, possono essere in qualche modo anche essere definiti ‘rivoluzionari’ ma nel senso di profetici”.
Osserva padre Spadaro: “Misericordia è la parola che ricorre di più nei suoi testi e discorsi, sin dal primo anno di pontificato. Mi parlò ampiamente della misericordia nella sua prima lunga intervista che mi concesse a 5 mesi dalla sua elezione. Per lui, la misericordia divina non è solo un atto ma un processo: il Giubileo della Misericordia è la risposta alla crisi della fede, che riguarda lo stesso volto di Dio, che non sappiamo più bene chi sia, nè la singola persona né la società nel suo complesso, né gli Stati che le governano”.
Misericordia, nel cui segno si è svolto anche il Sinodo dei vescovi sulla famiglia, che ha indicato la strada di una Chiesa che non si chiude ma viene incontro, che non rifiuta ma accoglie, che non condanna ma perdona. “La chiave di lettura del Sinodo come di altre iniziative di Papa Francesco è il rapporto tra la Chiesa e la Storia, tematica tipicamente conciliare – ricorda padre Spadaro – La Chiesa è oggi chiamata a riconoscere e guardare in faccia la realtà, con un principio di realismo che trascende da visioni puramente spirituali o idealmente astratte”.
Questa “dimensione samaritana” della Chiesa è fondamentale per Bergoglio. “Il nodo è tutto qui: il rapporto con il mondo di oggi”, sottolinea il direttore di ‘Civiltà Cattolica’. Relazione che porta il Papa ha entrare talvolta ‘a piedi uniti’ e senza falsi infingimenti su temi critici del pianeta: l’uso delle risorse, la difesa dell’ambiente, la finanza che uccide l’economia reale, l’interesse che sovrasta la giustizia e la solidarietà tra i popoli e al loro interno, come messo in evidenza dall’enciclica ‘Laudato si’ e in precedenza dall’esortazione apostolica ‘Evangelii Gaudium’.
Temi affrontati con franchezza e talora durezza, con accuse chiare e precise che lasciano poco spazio a un caritatevole ‘volemose bene’ per dirla alla romana… “E’ vero, non è una richiesta ‘aggraziata’ di buoni rapporti e di dolci sorrisi. Il Papa non è un pacifista astratto, sa che il conflitto fa parte della storia umana. Anche quella per la pace è una lotta – spiega ancora padre Spadaro – Ecco perché non gli fa paura il confronto ‘corpo a corpo’, diretto, con i problemi della Storia”.
Nella enciclica, “ha parlato per la prima volta in maniera estesa e approfondita del tema ecologico che fa parte della dottrina sociale della Chiesa. Ma ogni volta che parla di pace non lo fa da pacifista. La pace per lui si affronta risolvendo di volta in volta i problemi economici e sociali che spesso sono alla base dei conflitti. E mette a disposizione la sua autorevolezza, che è tale proprio perché non si declina con la distanza ma con la prossimità e lo fa riconoscere, non solo dai cattolici ma persino da musulmani e non credenti, come l’autentico leader morale del pianeta”.
Sulla stessa lunghezza d’onda, è l’azione diplomatica del Vaticano di Papa Francesco e della sua ‘longa manus’, il cardinale Pietro Parolin non a caso voluto alla guida della Segreteria di Stato. Basti citare la ripresa dei rapporti tra Usa e Cuba, il processo di pacificazione in Colombia, il viaggio ai confini settentrionali e meridionali del Messico, la visita in Corea, la tappa in Centrafrica, come del resto l’invito alla riflessione comune di israeliani e palestinesi ai Giardini Vaticani.
“Il Papa non attribuisce torti e ragioni, specie in questioni geopolitiche – sottolinea padre Spadaro – Lui sa bene che alla radice ci sono lotte di potere per la supremazia, che non gli consentono di postulare una presa di posizione di tipo morale ma impongono la necessità di vedere le questioni in un’ottica diversa, senza voler entrare in reti precostituite di alleanze internazionali, privilegiando rapporti diretti senza mettere ‘cordoni sanitari’ attorno a nessuno. Vale anche per l’Iran o per la Russia per non parlare della Cina”.
Identico atteggiamento nel dialogo ecumenico con le altre confessioni cristiane: dagli ortodossi, con lo storico abbraccio con il Patriarca di Mosca Kyrill, ai valdesi ai protestanti con l’annunciata presenza in Svezia per commemorare Martin Lutero; e per il dialogo interreligioso con le altre fedi nell’unico Dio, con gli ebrei, visitati in Sinagoga a Roma, e con gli islamici. Oltre che per il confronto aperto con i non credenti. “A Papa Francesco interessa l’incontro: più del dibattito di idee attorno a un tavolo conta incontrare le persone e decidere iniziative comuni, le azioni vengono prima delle dichiarazioni, che pure sono importanti. Questo davvero è rivoluzionario e profetico!”.
Forse, dove il terreno è stato senz’altro arato ma le piantine non sono ancora cresciute è quello della riforma della Curia, con la Santa Sede tuttora investita da scandali di pedofilia e da casi Vatileaks che gettano ombre sulla gestione dei beni ecclesiastici, nonché con i lavori del Consiglio dei Cardinali, il cosiddetto C9 fortemente voluto da Papa Francesco, che ancora non vedono la luce…
“Ma quello di Papa Francesco è un pontificato di processi più ancora che di atti – replica padre Spadaro – E i processi, più sono lenti e più sono profondi. Non dobbiamo farci ingannare da tempistiche che possono apparire lunghe. A volte si ha l’erronea impressione che il Papa debba agire immediatamente, con scelte brusche e colpi di spugna. Ma la rapidità spesso provoca superficialità e invece lui vuole agire profondamente, facendosi anche carico delle opposizioni e delle resistenze, in un processo aperto ma che va indiscutibilmente avanti e che è riduttivo definire come riforma della Chiesa. Lui vuol fare molto di più: mettere Cristo al centro della Chiesa, togliendole ogni orpello da Impero, il che richiede non una semplice riforma ma una autentica conversione”.
Un Papa, per sintetizzare, più gesuita come lo è stata la sua formazione spirituale o più francescano come il nome che ha scelto da pontefice? “Più lo conosco e lo leggo, più mi rendo conto che lui si è formato radicalmente alla scuola gesuitica e questa formazione giovanile non si toglie come si appende un cappotto, fa parte pienamente del proprio vissuto. Ma nello stesso tempo – conclude il direttore di ‘Civiltà Cattolica’ – la sua esperienza, prima da arcivescovo e ora da Papa, ha dato un corpo ampiamente ecclesiale alla sua pastorale. Del resto, Ignazio di Loyola si convertì pensando di imitare la vita di Francesco…”.
Redazione Papaboys (Fonte www.adnkronos.com)
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