NOTA POLITICA – Un fine settimana che proietta nel campo politico italiano tre leader nati negli Anni Settanta: Renzi, Alfano e Salvini. Non solo un cambio generazionale, ma l’occasione per lasciarsi alle spalle venti anni di sterile e cinico immobilismo
Tre nuovi tenori sulla scena politica italiana: Matteo Renzi (classe 1975, anni 38), Angelino Alfano (1970, anni 43), Matteo Salvini (1973, anni 40). Nella foto di gruppo di questi figli degli Anni Settanta che assurgono alla guida delle rispettive forze politiche (Pd, Ncd e Lega Nord) c’è sicuramente una fetta del futuro politico italiano. Un futuro che all’improvviso ci appare più giovane di quanto lo sia stato sino ad oggi. L’anagrafe fa dei brutti scherzi, ma ha la capacità di riportare tutti alla consapevolezza del tempo che passa e della difficoltà delle classi dirigenti italiane a rinnovarsi per stare al passo con le sfide del presente: la globalizzazione imperante, l’asfissia finanziaria, le spinte populiste, la povertà montante, la mancanza di lavoro produttivo, l’invecchiamento della popolazione, l’assenza di valori comuni e fondanti nella vita pubblica, la conflittualità permanente, l’incertezza istituzionale, la fatica della scuola e di tutte le strutture educative e di formazione, la debolezza delle famiglie e la sofferenza dei giovani. E l’elenco, purtroppo, non finisce qui.
Se volessimo cercare i colpevoli delle pessime condizioni generali in cui versa il nostro Paese, difficilmente riusciremmo a salvare le classi dirigenti (tutte) del nostro recente passato che hanno dato pessima prova di sé. E tanto per essere chiari, non si possono fare sconti a nessuno, dentro e fuori le aule parlamentari. Ma neppure nell’arcipelago della sopravvalutata società civile italiana. Quindi, non sottovalutiamo neanche la nostra parte di responsabilità che al loro confronto, però, resta inferiore. Non fosse altro perché in questi anni, noi cittadini, abbiamo avuto solo il diritto di votare. Abbiamo votato male? Intanto ci hanno fatto votare col Porcellum e già questo in parte ci assolve. Ma sta di fatto che in questi ultimi vent’anni abbiamo visto alternarsi governi berlusconiani, di centrosinistra e del presidente, tutti a somma zero. Nessuno che sia riuscito a prendere davvero il capo della crisi per portarci fuori dalle secche di un immobilismo tanto sterile quanto fallimentare. Abbiamo vivacchiato e galleggiato, sino ad arrivare sull’orlo dell’abisso dal quale faticosamente ci stiamo allontanando.
Proviamo quasi un sospiro di sollievo nel non dover parlare del passato. Quello del cavalier Berlusconi (77 anni), del padano Bossi (72 anni), del comico Grillo (65 anni). Tutti e tre appaiono, all’improvviso, baritoni sfiatati. Ma non mancheranno di far sentire ancora le loro grida spesso insultanti e forse avranno interesse a convergere su una prospettiva sfascista. Già l’aver messo il Quirinale nel mirino politico, attribuendo al presidente Napolitano manovre di stampo golpista, la dice lunga sul gioco pesante al quale assisteremo.
Ma proprio per questa ragione dobbiamo augurarci che una ventata di aria fresca irrompa al più presto nella stagnante palude politica italiana. Non è nuovismo a buon mercato quello che il popolo si attende, ma una sferzata di speranza. Se questa nuova generazione di leader politici saprà metterla in campo, senza cavalcare antichi risentimenti e senza farsi invischiare nelle sirene antieuropeiste, forse potremo ricominciare a risalire la china. A un paese stremato può dare speranza solo chi ha l’età per coltivarla e non è malato di senile cinismo.
Ma i tre tenori dovranno dimostrare di saper incarnare il futuro. A sinistra, nel centrodestra e a destra. Non sarà impresa facile, considerata la zavorra che li appesantisce. Pensate a Renzi che deve riformare il Pd e accompagnarlo verso una svolta dichiaratamente post-ideologica. Un’autentica impresa se solo si valuta il peso specifico di tutto quel mondo vetero comunista che ha ancora le radici nel Pci-Pds-Ds e che negli ultimi vent’anni ha vissuto di solo anti-berlusconismo. Alfano, poi, deve provare a vincere la battaglia finale con il suo mentore per poter guidare alle elezioni il fronte del centro destra. Ed è scontato che Berlusconi venderà carissima la pelle sua e del suo partito. Infine Salvini dovrà provare a rinverdire la Lega, anche se i suoi occhiolini a Marine Le Pen sembrano già presagire una collocazione ancora più a destra del suo partito, soprattutto in chiave antieuropeista. Ma una scelta del genere ne farebbe almeno un chiaro avversario politico per tutti i riformisti italiani.
Tutti e tre, però, dovrebbero capire che nessuno si salverà se si salderanno tutti i vecchi e nuovi populismi (da Berlusconi a Grillo passando per Bossi) che agitano la pancia del Paese e che di giorno in giorno sembrano voler materializzare i peggiori incubi.