JAKARTA, 2. Mentre la terra in Indonesia continua ancora a tremare, è salito a 1234 morti il bilancio delle due scosse sismiche e del successivo maremoto che venerdì scorso hanno investito l’isola di Sulawesi. Lo hanno reso noto le autorità locali, precisando che, al momento, ci sono centinaia di dispersi e più di mille feriti, molti dei quali ricoverati in ospedale in gravissime condizioni. Gli sfollati sono decine di migliaia.
NUOVA SCOSSA
Stamane, la nuova scossa di terremoto di magnitudo 6,3 sulla scala Richter è stata registrata sull’isola di Sumba. La scossa odierna ha provocato la lesione di muri di diverse abitazioni, mentre la gente in preda al panico è fuggita in strada, ma per ora non si hanno notizie di vittime o feriti, né è stata emessa alcuna allerta tsunami. Intanto, nel distretto di Sigi, i soccorritori hanno trovato i cadaveri di 34 studenti di teologia sotto le macerie di una chiesa distrutta dalla prima scossa di venerdì scorso. Secondo quanto riferito dalla Croce rossa, le vittime facevano parte di un gruppo di 86 studenti che stavano frequentando un corso sulla Bibbia presso il centro di formazione Jonooge Church. Per ora non si hanno notizie dei 52 ragazzi che erano con gli altri.
Finora la maggior parte delle vittime del terremoto e del maremoto si è registrata a Palu, capoluogo della provincia di Sulawesi centrale. In città si continuano a scavare fosse comuni per seppellire le centinaia di corpi finora recuperati, anche se le autorità hanno avvertito che si troveranno ulteriori vittime, una volta che i mezzi pesanti avranno liberato l’area dalle macerie. Le onde del maremoto, alte anche fino a tre metri, si sono abbattute anche sulle tre carceri dell’area. Oltre mille detenuti sono riusciti a fuggire, come ha reso noto il governo locale, che ora dovrà fronteggiare anche questa emergenza nell’emergenza. Si aggiungono i consueti episodi di sciacallaggio.
Non mancano, però, storie a lieto fine, come il ritrovamento di una ragazzina di 15 anni dopo tre giorni sotto le macerie della sua casa. Sommersa dall’acqua fino al collo, accanto alla madre che non ce l’ha fatta. A Sulawasi, intanto, proseguono senza sosta e tra enormi difficoltà logistiche, le operazioni di soccorso. A causa della distruzione di strade e ponti, le squadre di soccorritori stanno faticando a raggiungere alcune delle comunità più colpite e isolate da diversi giorni. Manca l’energia elettrica nei dintorni di Palu, con frane e smottamenti che hanno bloccato infrastrutture di vitale importanza, come l’aeroporto.
«Le difficoltà di accesso alle aree colpite sono un problema enorme in questa emergenza umanitaria. Anche se non sappiamo ancora quale sia la reale estensione dell’emergenza, le proporzioni sono immense con danni catastrofici in molte aree. Grandi edifici sono crollati, le abitazioni sulla costa sono state spazzate via e le molte centinaia di vittime sono tristemente destinate ad aumentare», hanno dichiarato operatori umanitari a Jakarta.
Le cifre del disastro sono impressionati: secondo le ultime stime, sono oltre due milioni le persone che stanno subendo le conseguenze della doppia catastrofe in un’area che, oltre a Palu, comprende le province di Donggala, Sigi e Parigi Mountog, dove le coltivazioni, da cui dipende buona parte dell’economia locale, sono state completamente distrutte. E centinaia di migliaia di bambini sono rimasti coinvolti nell’emergenza. Lo hanno indicato fonti dell’Unicef, il Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia. Molti minori hanno infatti smarrito i propri familiari e sarà necessario uno sforzo straordinario per avere cura di loro e proteggerli adeguatamente. «Stiamo lavorando con le autorità locali per riunire i bambini non accompagnati e separati con le proprie famiglie — riferisce l’Unicef — sostenere l’alimentazione dei bambini in età da allattamento e dei bambini piccoli, fornire acqua pulita attraverso il trattamento mobile dell’acqua». «Ma senza elettricità e con le strade bloccate — aggiunge l’agenzia dell’Onu — moltissimi bambini sono a rischio e senza alcuna protezione».
Nel paese, intanto, si moltiplicano le polemiche e ci si comincia a chiedere se questa tragedia poteva essere evitata. Nel mirino è finita soprattutto l’agenzia meteorologica nazionale, la Bmkg, che avrebbe annullato l’allerta maremoto troppo presto, poco più di 30 minuti dopo la prima scossa di terremoto (di magnitudo 7,4), ma mentre lo tsunami era ancora in corso. Il problema, secondo quanto dichiarato da funzionari della Bmkg, è che la prima scossa di terremoto ha abbattuto le linee elettriche e di comunicazione. Quindi è probabile che gli allarmi non siano mai arrivati agli abitanti della costa.
Osservatore Romano (3 ottobre 2018)
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