Cinque anni fa Haiti è stata colpita da un terribile terremoto che ha ucciso 120mila persone (altri dati parlano di oltre 200mila vittime) e ridotto la sua capitale in macerie. A vivere quell’incubo c’erano anche i bambini di un orfanotrofio alle porte di Port-au-Prince, fondato e gestito dalle suore missionarie di Madre Teresa. Oggi trenta di quei bambini haitiani sperimentano una nuova vita 3mila e 700 chilometri più a Nord, nel Minnesota, un tranquillo Stato del Midwest, al confine con il Canada.
Le villette a schiera del Midwest. Adottati da 17 famiglie cattoliche statunitensi che abitano nella parte meridionale dello Stato, nei sobborghi di Minneapolis e di St. Paul, i ragazzini sono passati dalle strade cariche di calcinacci della periferia di Port-au-Prince alle villette a schiera con prati pettinati e staccionate laccate di bianco della provincia a stelle e strisce, dove potranno frequentare buone scuole, e forse diventare medici, avvocati, insegnanti. I loro genitori adottivi hanno formato una comunità che non solo cementa le amicizie tra i bambini, ma ha anche aiutato molte coppie a districarsi nel complesso labirinto burocratico delle adozioni internazionali. Il network fornisce poi un prezioso punto di riferimento nel crescere ragazzi dalle storie personali non prive di passaggi dolorosi.
Dai caraibi alle praterie. “Immagina di essere uno di questi nostri figli”, dice
Lee Stoerzinger, di Bayport, 20 minuti d’auto da St. Paul, che con la moglie Maggie ha adottato due bimbi haitiani. “Ti sei trasferito in un Paese radicalmente diverso dal tuo, a migliaia di chilometri. Eppure puoi continuare a frequentare gli amichetti con cui sei cresciuto da bambino perché abitano tutti a mezz’ora di macchina. Non è male, eh? Qui abbiamo ricreato questo ambiente per loro, e ne siamo molto contenti”. Si cerca, anche così, di tirar fuori questi ragazzini dal dramma del sisma, con tutte le sue conseguenze. L’essere vicini permette ai piccoli d’incontrarsi di frequente e, a seconda della stagione, potranno prendersi a palle di neve nei parchi, giocare interminabili partite di baseball e d’estate gareggiare a nuoto nei laghi che punteggiano la zona.
L’intuizione della “nonna”. I co-registi di questo film a lieto fine sono
Joyce Grabarkiewiecz e il marito
Dale. Storici volontari all’orfanotrofio haitiano, si trovavano nella struttura il giorno del terremoto, il 12 gennaio del 2010, quando sono riusciti a evacuare tutti prima che l’edificio si ripiegasse su se stesso. “Quella notte abbiamo dormito fuori, in strada, e tutti questi bambini hanno fatto coraggio a me”, racconta la donna che è residente a Rochester, in Minnesota. “Mi sentivo la loro nonna, la nonna di tutti loro”. Così, passata la nottata, “nonna Joyce” ha preso collegamenti con diverse parrocchie del suo Stato per portare il maggior numero di ragazzi negli Stati Uniti e dar loro chance impensabili ad Haiti, un Paese che a fatica, con poche risorse e con tempi lunghissimi, sta cercando di rinascere.
Famiglie cattoliche. Una delle prime famiglie ad accogliere nella propria casa una bambina sopravvissuta al terremoto è stata quella di
Douglas e
Jenifer Latawiec di Columbus. Già in lizza per adottare un bambino haitiano prima del tragico sisma, hanno abbracciato la figlia, che oggi ha 6 anni, appena due mesi dopo la catastrofe sull’isola caraibica. E poi successivamente hanno accolto altri due bimbi, questa volta maschietti. Da lì a parlare con gli amici della positiva esperienza, suscitare in loro l’interesse e fare la stessa scelta, il passo è stato breve. “Tutto ha funzionato a meraviglia”, spiega la signora Latawiec. “I ragazzi hanno tutti trovato una casa, è stato un mezzo miracolo”.
Una storia da scrivere. Volontari, parrocchie, genitori e suore di Madre Teresa (che negli anni ad Haiti hanno ospitato 20mila minori nelle loro dieci strutture sull’isola) sono soddisfatti d’aver messo le fondamenta per un futuro ricco di opportunità per questi bambini, ma soprattutto son fieri d’averlo fatto senza dividerli. “Mi piace vedere che anche qui possono giocare insieme e sembrano felici”, spiega la signora Grabarkiewiecz, l’arzilla “nonna Joyce”. “Per il resto siamo nelle mani di Dio”.