La Chiesa insegna che il medesimo corpo che abbiamo avuto in questa vita terrena risorgerà e che tale risurrezione non sarà una rianimazione temporanea, perché la forma in cui avverrà è quella verificatasi per Nostro Signore, il quale, risuscitato dai morti, non muore più. La risurrezione dei corpi toccherà sia i beati che i dannati, ma con diverse caratteristiche.
Come già la parusia, anche la verità di Fede della risurrezione della carne era vivissima e largamente creduta fin dai primissimi tempi della Chiesa. Il Nuovo Testamento parla più volte ed in maniera molto esplicita della risurrezione dei morti (cf. Mc 12,18; Lc 14,14; At 4,2; 1Cor 15,21; 1Ts 4,16; Fil 3,11; Eb 11,35, ecc.) e, come già visto per la parusia, tale tematica compare fin nei primissimi e antichissimi Simboli di fede (Denz. 10-30).
La risurrezione dei morti avverrà subito dopo il ritorno di Gesù nella gloria e sarà immediatamente seguita dal Giudizio universale, che sarà l’argomento successivo al presente. La cosa che è stata reiteratamente oggetto di attenzione e di pronunciamento da parte del Magistero della Chiesa, oltre all’affermazione chiara e netta che si tratta di vera e propria risurrezione (da non intendere in maniera simbolica né da confondere con la semplice immortalità dell’anima), è che l’uomo risorgerà nella stessa carne che egli ha portato in questo mondo anche se, ovviamente, tale carne diventerà immortale (qualunque sia la sua condizione, sia di beatitudine che di dannazione). È bene vedere nel dettaglio almeno alcune di queste definizioni.
Formula Fides Damasi (V secolo): «Crediamo che noi, purificati nella sua morte e sangue, da Lui (saremo) da risuscitare nell’ultimo giorno in questa carne, in cui ora viviamo, e abbiamo la speranza che da Lui conseguiremo o la vita eterna come premio del buon profitto o la pena dell’eterno supplizio per i peccati» (Denz. 72).
Simbolo Quicumque (V secolo): «Egli patì per la nostra salvezza […]. Alla sua venuta tutti gli uomini risorgono con i [= nei] loro corpi e renderanno ragione delle loro opere; e quanti operarono il bene andranno alla vita eterna, quanti invece il male, nel fuoco eterno» (Denz. 76).
IV Sinodo di Toledo (633): «Professiamo che […] purificati dalla sua [di Cristo] morte e dal suo sangue, abbiamo conseguito la remissione dei peccati, per essere risuscitati da Lui nell’ultimo giorno in quella stessa carne, nella quale ora viviamo e in quella forma in cui lo stesso Signore è risuscitato» (Denz. 485).
Innocenzo III (professione di fede prescritta ai valdesi, 18 dicembre 1208): «Con il cuore crediamo e con la bocca confessiamo la risurrezione di questa stessa carne che abbiamo, e non di un’altra» (Denz. 797).
Concilio Lateranense IV (1215): «Tutti risorgeranno coi corpi di cui ora sono rivestiti, per ricevere, secondo che le loro opere siano state buone o malvagie, gli uni la pena eterna con il diavolo, gli altri la gloria eterna con Cristo» (Denz. 801).
Concilio di Lione (1274): «Crediamo anche la vera risurrezione di questa medesima carne di cui ora siamo rivestiti» (Denz. 854).
Ci è parso bene passare in rassegna tutte queste dichiarazioni, perché saranno assai importanti quando andremo a considerare alcune tematiche, specialmente in relazione alla pratica (di origine pagana) della cremazione, oggi praticata con speciose motivazioni anche da non pochi fedeli. La Chiesa insegna che questo stesso corpo, il medesimo che abbiamo avuto in questa vita terrena risorgerà; e che tale risurrezione non sarà rianimazione temporanea, perché la forma in cui avverrà è quella verificatasi per Nostro Signore, il quale, risuscitato dai morti, non muore più. Questa caratteristica del non poter più morire (tecnicamente denominata immortalità), ossia il fatto che il ricongiungimento dell’anima alla carne sarà eterno e irreversibile, è l’unica caratteristica che accomuna la risurrezione dei giusti (che, come vedremo, è corredata anche da tantissimi altri doni) a quella dei dannati (per la quale – per contro – si configura come pena ulteriore, condividendo anche il corpo quelle medesime pene già vissute dall’anima con l’oscura e sinistra prospettiva di non potersene mai e in nessun modo liberare, nemmeno con quell’estremo sollievo che la morte rappresenta per le pene che si soffrono in questa vita).
Quali sono le caratteristiche dei corpi glorificati? Lo spiega egregiamente san Tommaso d’Aquino attraverso una magistrale esegesi dei passi della prima Lettera ai Corinzi dove si parla della risurrezione della carne (cf. Summa Theologiae, Suppl., qq. 82-85). Scrive al riguardo l’Apostolo: «Così anche la risurrezione dei morti: si semina corruttibile e risorge incorruttibile; si semina ignobile e risorge glorioso, si semina debole e risorge pieno di forza; si semina un corpo animale, risorge un corpo spirituale» (1Cor 15,42-44).
Sulla base di questo testo il Dottore Angelico identifica quattro proprietà dei corpi glorificati: l’impassibilità, la sottigliezza, l’agilità e la chiarezza o splendore. La prima è una conseguenza immediata e diretta dell’incorruttibilità e consiste nella totale scomparsa di ogni possibilità di sofferenza fisica e sensibile, nell’immortalità, e nella non soggezione alle passioni e a tutte le forme di miserie e necessità (nutrizione, fabbisogni fisiologici) legate alla vita di questo mondo. La sottigliezza è la “spiritualità” del corpo glorificato: sarà un vero corpo, di ossa e di carne nonché palpabile, ma perfettamente sottomesso e dominato dalla parte superiore dell’anima e quindi in una condizione che è il contrario dell’attuale: nessuna pesantezza di materia e nessuna costrizione della materia contro lo spirito. Per questa proprietà, unita alla potenza divina, il corpo di Gesù poteva entrare nel Cenacolo a porte chiuse. L’agilità sarà la perfetta rispondenza del corpo a tutti i moti ed azioni dell’anima, a cui sarà prontissimo e istantaneo nell’obbedire, anche in tutti i movimenti di moto locale, senza poter essere soggetto ad alcuna forma di stanchezza (e, ovviamente, senza alcuna necessità né di nutrizione né di riposo). Lo splendore o chiarezza sarà la ridondanza della gloria dell’anima sul corpo, di cui un’idea possiamo averla rappresentandoci ed immaginandoci la scena della Trasfigurazione. Secondo l’Aquinate lo splendore della gloria sarà visibile anche da occhi non glorificati e sarà soggetto all’arbitrio dei beati in ordine alla possibilità di essere mantenuto nascosto.
di Don Leonardo M. Pompei
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