Terra Sancta et Oriens

Tu non devi seguirli mai! Gli ‘angeli ribelli’ che Dio ha messo in catene sono davvero pericolosi.

Vorrei un chiarimento sul significato del versetto 2,4 della seconda lettera di san Pietro: «Dio infatti non risparmiò gli angeli che avevano peccato, ma li precipitò negli abissi tenebrosi dell’inferno, serbandoli per il giudizio» (2Pt. 2,4).

Sono gli stessi angeli a cui si riferisce la lettera di Giuda: «e che gli angeli che non conservarono la loro dignità ma lasciarono la propria dimora, egli li tiene in catene eterne, nelle tenebre, per il giudizio del gran giorno” (Gd. 1,6) e di cui parla Matteo nel suo Vangelo? «Cominciarono a gridare: “Che cosa abbiamo noi in comune con te, Figlio di Dio? Sei venuto qui prima del tempo a tormentarci?”» (Mt. 8,29). Battista Mondin, nel suo libro «Gli abitanti del cielo», Edizioni Studio Domenicano, dice che corrispondono agli angeli ribelli di si cui parla nella lettera di Giuda (Gd. 1,6). Anche Giovanni Paolo II nell’udienza, tenuta nel 1986 a Castel Gandolfo, dal titolo: «La caduta degli angeli ribelli», dice che gli angeli di Gd. 1,6 e di 2Pt. 2,4 sono la stessa cosa. Cosa ne pensate?

Carmine

Risponde don Stefano Tarocchi, docente di Sacra Scrittura

«Dio non risparmiò gli angeli che avevano peccato, ma li precipitò in abissi tenebrosi, tenendoli prigionieri per il giudizio» (2 Pietro 2,4). Il testo, a cui fa riferimento il lettore, e che nel greco originale richiama il «Tartaro», come luogo di punizione ancor più profondo dell’Ade, è certamente in stretto legame con la breve lettera di Giuda (un solo capitolo!), e in particolare con il versetto richiamato: il Signore «tiene in catene eterne, nelle tenebre, per il giudizio del grande giorno, gli angeli che non conservarono il loro grado [lett. “autorità”] ma abbandonarono la propria dimora» (Giuda 6).
Entrambi gli scritti apostolici fanno riferimento ad un passo decisamente oscuro del libro della Genesi: «Quando gli uomini cominciarono a moltiplicarsi sulla terra e nacquero loro figlie, i figli di Dio videro che le figlie degli uomini erano belle e ne presero per mogli quante ne vollero. Allora il Signore disse: “Il mio spirito non resterà sempre nell’uomo, perché egli è carne e la sua vita sarà di centoventi anni”. C’erano sulla terra i giganti a quei tempi – e anche dopo – quando i figli di Dio si univano alle figlie degli uomini e queste partorivano loro dei figli: sono questi gli eroi dell’antichità, uomini famosi» (Gen 6,1-4). L’episodio evoca il ricordo di una «razza insolente di superuomini» (Bibbia di Gerusalemme), che richiamano antiche mitologie di giganti (o titani), come un esempio della crescente perversità della specie umana. Si apre la strada al diluvio, quando Dio arriva fino ad esser disgustato d’aver creato l’uomo: «Il Signore vide che la malvagità degli uomini era grande sulla terra e che ogni disegno concepito dal loro cuore non era altro che male. E il Signore si pentì di aver fatto l’uomo sulla terra e se ne addolorò in cuor suo» (Gen 6,5-6).

Nei «figli di Dio» poc’anzi rammentati, la tradizione dell’ebraismo e i primi scrittori cristiani (fino al III secolo) hanno visto le figure di angeli colpevoli, ed esattamente «gli esseri gloriosi decaduti» (2 Pietro 2,10).




La stessa tradizione si trova in un apocrifo dell’Antico Testamento, il libro di Enoc, che risale alla metà del II secolo a.C. Nella prima parte (il Libro dei Vigilanti) si legge: «il Signore disse a [coloro che] che si unirono con le donne per corrompersi, con esse, in tutta la loro impurità … essi saranno legati fino alla fine delle generazioni» (Enoc 10,11.14). Si ha un preciso riferimento al misterioso episodio della Genesi, con l’aggiunta di una punizione senza scampo di quanti si sono macchiati di questo crimine: «e il Signore disse a Raffaele: “Lega Azazel mani e piedi e ponilo nella tenebra, spalanca il deserto … e ponilo là. E ponigli sopra pietre tonde ed aguzze e coprilo di tenebra. E stia là in eterno e coprigli il viso e che non veda la luce» (10,4-5). Ancora lo stesso apocrifo aggiunge: «Enoc, scrittore di giustizia, va’, annunzia agli angeli vigilanti del cielo che hanno abbandonato il cielo eccelso e la sede santa in eterno e si sono corrotti con le donne e hanno agito come i figli degli uomini ed hanno tolto, per loro, le donne ed hanno commesso grande corruzione sulla terra e per i quali non vi sarà pace sulla terra, né remissione del peccato … [Annunzia che] non vi sarà per loro né perdono né pace» (12,3-6).

Esiste inoltre anche un testo tratto dalla letteratura di Qumran (un frammento della quarta grotta, appartenuto in origine alla seconda parte dello stesso libro di Enoc), che riprende il tema: «Successe che quando in quei giorni i figli dell’uomo aumentarono, belle ed affascinanti figlie nacquero da loro. I guardiani, figli del cielo, le videro ed ebbero brama di loro e si dissero: “Andiamo e prendiamo delle donne tra le figlie dell’uomo generiamo dei figli per noi.” […] Loro ed i loro capi tutti si presero delle donne per sé […] Esse divennero gravide di loro e diedero vita a giganti, alcuni alti tremila cubiti» (frammento 4Q202).

Dunque esiste un lungo filone interpretativo che considera senz’appello la condanna di quegli esseri che nel racconto della Genesi si sono uniti alle «figlie degli uomini» (Genesi 6,2). La seconda lettera di Pietro e il breve scritto di Giuda si muovono concordi alla tradizione del giudaismo, al pari ad esempio dell’Apocalisse: «Scoppiò quindi una guerra nel cielo: Michele e i suoi angeli combattevano contro il drago. Il drago combatteva insieme con i suoi angeli, ma non prevalsero e non ci fu più posto per essi in cielo. Il grande drago, il serpente antico, colui che chiamiamo il diavolo e satana e che seduce tutta la terra, fu precipitato sulla terra e con lui furono precipitati anche i suoi angeli» (Apocalisse 12,7-9). Analogamente nel passo di Isaia che parla della caduta dell’«astro del mattino», che ricorda miti dell’ambiente fenicio, è stata veduta la caduta del principe dei demoni: «Come mai sei caduto dal cielo, astro del mattino, figlio dell’aurora? Come mai sei stato steso a terra, signore di popoli?» (Isaia 14,12).

Quanto a Mt 8,29, la frase citata, propria del solo Matteo («sei venuto qui prima del tempo a tormentarci?»), accenna ancora una volta al giudizio che attende gli angeli caduti.




Fonte: Novena.it

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