Dall’amicizia con il cantautore all’esperienza della malattia, a tu per tu con il più famoso batterista italiano degli ultimi decenni. Un uomo che è rinato grazie alla Madonna. «Pino Daniele sarebbe venuto quest’anno con me a Medjugorje». Parola di Tullio De Piscopo, il più famoso batterista italiano degli ultimi decenni.
All’amico Pino, musicista e napoletano come lui, De Piscopo ha appena dedicato un intenso brano, Destino e speranza, uno dei tre inediti contenuti in 50. Musica senza padrone – 1965/2015, il triplo cd uscito da poco per festeggiare il mezzo secolo di carriera. Credere lo ha intervistato.
Lei porta un braccialetto a forma di rosario. E da qualche anno è andato a Medjugorje. Come mai?
«Già negli anni Novanta un collaboratore mi aveva parlato di Medjugorje. Sono sempre stato credente, a modo mio. Da bambino, ricordo che sulla credenza c’erano le foto di mia nonna, della zia e di padre Pio, per noi bambini “zio Pio”. Sono sempre cresciuto con questa familiarità con padre Pio. A mamma chiedevo la spiegazione delle stimmate, che mi incuriosivano: “Ma cos’ha nelle mani?” E lei: “S’è fatto male”».
Nel 2012 ha vissuto l’esperienza della malattia, una vicenda che ha lasciato il segno…
«Andai a trovare un mio ex collaboratore nel reparto oncologico all’ospedale di Monza. L’urologo volle visitarmi perché gli avevo fatto un autografo, ma mi fece una diagnosi sbagliata. Poi, mentre ero in tournée, cominciai a stare male: tremavo… Vado a Salerno da un amico medico. Mi visita e si fa serio: mi prescrive una serie di analisi, tentando di sdrammatizzare. Ma in me cominciano a sorgere dubbi. Ritornato a Milano per un concerto, rifaccio gli esami. E dalla Tac emerge che si tratta di un tumore maligno dei più brutti. Il medico che mi doveva operare mi aveva dato sei mesi di vita».
Cos’ha provato in quei momenti?
«Ho pensato che la Madonna aveva architettato quel disegno per farmi prendere coscienza del valore del tempo, della vita. Quando siamo in tournée sei mesi volano, gli anni passano velocemente e non te ne rendi nemmeno conto».
L’operazione è andata bene…
«Sì, per me è stato un miracolo! Mi sono ripromesso che, appena fossi stato bene, avrei ringraziato la Madonna. Questo accadeva a fine novembre 2012. A Pasqua dell’anno dopo andai a Medjugorje con mia moglie e altri amici. Poi ci sono ritornato per altri due anni di seguito e tornerò ancora».
Che impressione ha avuto?
«Mi è piaciuto subito quel paese spartano. Lì, anche se tu non preghi, hai una spinta: sono gli altri che pregano per te. La cosa più importante a Medjugorje è la preghiera. Molte volte io mi sono staccato dal gruppo e pure da mia moglie perché volevo stare da solo. Dicevo che sarei andato a comprare le sigarette invece prendevo un taxi e mi portavo sotto la Croce blu a pregare. Un’altra cosa meravigliosa è la Messa in italiano tutti i giorni alle 11. A Medjugorje sei sempre in preghiera: anche se non fai il segno di croce e non dici l’Ave Maria, sei avvolto dalla preghiera. Mi hanno colpito molto anche le testimonianze di giovani ex tossicodipendenti accolti nelle comunità di suor Elvira. Ma insisto: a Medjugorje si va fondamentalmente per pregare. C’è un cielo diverso là».
Medjugorje è chiamata anche «il confessionale del mondo». È iniziato il Giubileo della misericordia. Lei che rapporto ha con Dio? Sente bisogno di misericordia?
«Continuamente chiedo perdono a Dio e alla Madonna per gli errori che ho commesso, anche se a volte in modo incosciente. Soprattutto chiedo perdono se, da giovane, ho scavalcato qualcuno per arrivare al successo. In quel periodo – gli anni Sessanta e Settanta – sono stato un gran bestemmiatore. Bestemmiare il nome di Dio invano è la cosa più brutta… Purtroppo chi va con lo zoppo impara a zoppicare. Ma da tempo non bestemmio più».
C’è qualcosa che è cambiato in lei grazie alla fede?
«Tanti mi trovano più sereno. Del resto, l’esperienza di arrivare alle soglie della morte (l’intervento chirurgico cui venne sottoposto durò 14 ore, ndr) ti segna profondamente. Dopo una cosa del genere, si vede la vita con colori e sfumature diverse, che altri non vedono. Ho capito che, come la prevenzione permette di garantire una salute migliore, la preghiera quotidiana – anche una semplice Ave Maria – è una forma di prevenzione spirituale: ci aiuta a ricordare cosa vale davvero nella vita. Bastano due minuti, che ci costa? Ma noi diciamo che non abbiamo tempo… In realtà, possiamo spendere tutti i soldi del mondo ma non riusciremmo ad aggiungere un’ora di tempo alla nostra vita».
Ha scritto anche un libro su questo tema, Tempo. Come mai?
«Scrivere questo libro per me è stata una sorta di liberazione. Recuperare il tempo è un imperativo per me: il tempo che non ho dedicato alle mie figlie, ma che voglio recuperare con i miei nipotini. Dobbiamo dedicare più tempo a noi stessi. Io al mattino ho mezz’ora tutta per me: preghiera e rilassamento totale».
C’è un suo “luogo dell’anima”, Medjugorje a parte?
«Il santuario della Madonna del Santo Rosario di Pompei. Quando ho portato la mia futura moglie, che è di Sassuolo, per la prima volta a Napoli (lei aveva 18 anni), la prima cosa che ha fatto mia madre è stata portarci a Pompei, dalla Madonna. A me piace molto, è un santuario bellissimo e dentro c’è una cappella dedicata a Giuseppe Moscati, un santo molto attuale».
Ha consigliato a qualcuno di andare a Medjugorje?
«Sì, a molti. Tra questi anche a Pino Daniele».
Che rapporto c’era fra voi due?
«Un rapporto profondo, inspiegabile, di sangue. E la gente l’avvertiva. Ai primi di dicembre Porta a porta ha mandato in onda un video dell’ultimo concerto insieme, il 22 dicembre 2014, al Forum di Assago (Milano). Suonavamo solo io e lui, davanti a settemila persone: un’atmosfera magica».
Pino Daniele le è stato vicino anche nel periodo della malattia?
«Quando la mia salute peggiorò, Pino venne all’ospedale a trovarmi perché non credette alla bugia che avevo raccontato a suo figlio Alessandro, parlandogli di un intervento di poco conto, “una fesseria”. Ebbene: è grazie alla sua musica e alla sua presenza che ho trovato la forza di reagire e tornare sul palcoscenico dopo l’intervento, a Napoli, con la ferita fresca. Lui venne a trovarmi il 23 novembre, il 27 dicembre eravamo sul palco».
E poi?
«Gli dissi che sarei andato a Medjugorje. Mentre ero là la prima volta, a Pasqua 2013, mi telefonò: “Tutto bene, dove sei?”. “A Medjugorje”. “Ah, ci sei andato davvero?” “Devi venire anche tu, Pino”, gli dissi. E sono certo che sarebbe venuto anche lui con me, se la morte non l’avesse portato via, il 4 gennaio dell’anno scorso».
LA CARRIERA
50 ANNI DI SUCCESSI
Come documentano le 56 tracce del triplo cd 50. Musica senza padrone – 1965/2015, Tullio De Piscopo ha suonato con molti dei più affermati artisti del nostro tempo. Da Fabrizio De André con Volta la carta, a Franco Battiato con L’era del cinghiale bianco, a Mina con Il nostro caro angelo, l’elenco delle prestigiose collaborazioni di De Piscopo è lungo. Nel nuovo disco si incontrano pure la voce di Fausto Leali in Libero, l’armonica di Edoardo Bennato in A cuoppo Cupo e il clarinetto di Lucio Dalla in Namina. Fra novembre e inizio gennaio è stato in tournée con il tour Tullio De Piscopo & Friends – Ritmo e Passione. Sul palco con lui anche Joe Amoruso e la Nuova Compagnia di canto popolare.
Redazione Papaboys (Fonte www.credere.it/Gerolamo Fazzini)
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