“L’impatto di questa epidemia va ben oltre il settore sanitario”, ne è convito il card. Turkson, che alla vigilia della sua partenza, evidenzia il caos in cui è precipitata l’“economia già fragile” della Sierra Leone, e i bisogni materiali e spirituali delle persone colpite e la necessità di sostenere anche gli operatori umanitari i sacerdoti impegnati sul campo. Tra questi è don Maurizio Boa, Giuseppino del Murialdo, da 20 anni missionario a Freetown, dove opera insieme ad altri quattro sacerdoti, a favore di ragazzi disabili e orfani, accolti nella “Murialdo Home” di Kissi, alla periferia della capitale.
R. – La situazione è un po’ strana, perché le cifre che il governo presenta sono in diminuzione, ma lo stesso governo ha decretato una mezza quarantena per tutta la Nazione, vietando le celebrazioni di Natale e di Capodanno. Quindi, sarà un Natale silenzioso: andare in chiesa e tornare a casa. Niente festa per le strade, niente preparazioni con Veglie notturne, come si usava fare, con canti, balli, preghiere. Niente, niente di tutto questo. Vuol dire che c’è ancora paura di contagio. E infatti, c’è. L’urlo delle sirene ci parla ancora di morte, ci parla ancora di problema presente in Sierra Leone. Anche perché abbiamo raggiunto il triste primato di essere il Paese più colpito dall’Ebola, in questo periodo. Ma. certo ora la situazione è migliore: il contagio è circoscritto. Si sta affrontando l’Ebola ad armi pari, se si può dire così: con medici preparati, con gente preparata ed anche ben disposta a lavorare nei Centri ospedalieri. Dieci medici sierraleonesi sono morti: è un grande sacrificio. Sono martiri ed eroi, perché hanno esposto la loro vita per il bene dei fratelli.
D. – Quali sono le zone del Paese più colpite?
R. – Ci troviamo in una situazione a macchia di leopardo. Alcune zone sono dichiarate libere, altre sono dichiarate ancora infette. Tutto Bombali District, Waterloo Camp e altre zone sono ancora zone infette e bisogna stare attenti. Però, c’è molta più speranza: grazie anche ad Emergency a cui è stata affidata la responsabilità della cura di Ebola in Sierra Leone, devo dire che c’è più ottimismo.
D. – Riguardo agli aiuti: quindi, stanno arrivando, ma riescono ad essere distribuiti? Perché sappiamo che la Sierra Leone a causa di questa epidemia di Ebola sta soffrendo gravissimi problemi economici …
R. – Ci sono stati scandali di carattere di corruzione, ma ce ne sono dappertutto e non mi meraviglia: non mi meraviglia! I problemi sono due, e anche dopo Ebola saranno questi da affrontare: gli orfani che sono numerosissimi, e a volte non hanno proprio chi provveda a loro, chi li assista. Noi nel campo di Waterloo come Chiesa cattolica siamo molto presenti, in questo ambito. Poi ci sono le vedove con bambini. Aiuti, ne stanno arrivando, soprattutto di carattere medico. Nuovi Centri sono stati aperti e adesso non c’è più nessuno che muore per le strade o che aspetta un letto mentre è ammalato: no, no, queste cose non accadono più. Nessuno muore in casa o se muore in casa viene portato via subito. Quindi, gli aiuti ci sono di carattere umanitario e di personale qualificato. Si vede che c’è molta più attenzione.
D. – Lei diceva, sarà questo un Natale nel silenzio. Sarà importante quindi per la Sierra Leone sentire anche la solidarietà della Chiesa in tutto il mondo?
R. – La sentiamo già! Certamente posso dire che la preghiera ha smosso tantissimi, tantissimi cuori; mai mi sarei immaginato la solidarietà che mi ha accompagnato in questo periodo. Credo che il mondo ci stia guardando e che stia anche soffrendo con noi, in questo momento. Il Natale è una festa di gioia, di grazia e mi auguro proprio che possa portare, anche per noi, quella ventata di ottimismo che ci permetterà a breve di poter dichiarare la Sierra Leone “Ebola-free”, anche se Emergency parla di sei mesi.
A cura di Redazione Papaboys fonte: Radio Vaticana
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