La frase su cani e gatti è stato solo un esempio – piccolo – di come sia facile fare della misericordia non il volto di Dio ma una scorciatoia per provare sentimenti di compassione scordandosi dell’amore. Il punto però non erano i felini e i canini ma la misericordia. Che è di Dio. E davanti allo sguardo di Dio non si può lasciare fuori nessuno: o si ama tutti e tutto perché tutti e tutto vengono da Dio e dal suo amore, o non si ama. Il problema cioè non sono il cane o il gatto: il problema siamo noi. Siamo noi che abbiamo bisogno di pietà, di provarla su di noi e di donarla agli altri. E abbiamo bisogno – questo intendeva il Papa – di pietà vera e non di pietismo.
Siamo noi che dobbiamo leggere e rileggere le parole del Papa sulla misericordia e imparare a impietosirci, troppo comodo fermarsi a cani e gatti. Loro non hanno bisogno delle parole del Papa perché loro capiscono già l’amore che dà una carezza: siamo noi che non sappiamo riconoscere in un vicino di casa il prossimo anche se magari sappiamo a memoria i passi del vangelo sul buon samaritano.
“Per Gesù provare pietà equivale a condividere la tristezza di chi incontra, ma nello stesso tempo a operare in prima persona per trasformarla in gioia.” Ecco perché dovrebbe passare alla storia questa Udienza Giubilare: perché il Papa definisce la pietà come condividere la tristezza di chi si incontra e operare in prima persona per trasformarla in gioia. “Condividere” vuol dire dividere in due. Significa aiutare una vicina a portare la spesa, prenderle le buste più pesanti e accompagnarla all’ascensore.
Prima e più che di cani e gatti, cioè, il Papa sta parlando dei nostri vicini di casa. Li incontriamo, li incontriamo sul pianerottolo o in ascensore, e non li guardiamo. La misericordia – sta dicendo il Papa – è così divina da essere molto piccola, da entrare in un saluto più gentile del solito, in due parole meno frettolose. E in questo, direi, i cani aiutano molto: hanno sempre un’annusatina e una scodinzolata pronta per chi non si conosce.
“Operare in prima persona”. La misericordia è così. Nasce dalla nostra vita interiore e si fa vita senza aggettivi, senza differenze tra vita interiore e vita esteriore. È vita che si fa vita. Opere più che ragionamenti.
Forse i media si sono concentrati sui cani e sui gatti perché sembra tremendamente irreale pensare di alleviare sul serio la tristezza del nostro prossimo. Non ce la facciamo con i figli e con i parenti più stretti, figuriamoci con il vicino di casa. Mi sa che il Papa si è sbagliato, pensiamo: mi sa che è fuori dal mondo. Sarà meglio concentrarsi sui cani e sui gatti.
Non credo il Papa sia così inconsapevole. Ieri ha citato Gesù, la Sua vita, Lui che è venuto nel mondo e che non ne è rimasto fuori. Nessun errore del Papa, dunque. Lui vuol proprio dire che per alleviare la tristezza dei vicini serve la nostra presenza, fosse anche solo per pochi minuti di ascensore. Presenza è alleviare la tristezza senza pietismo. Non c’entrano i cani e i gatti, quella era solo una battuta. Guardiamo invece alla condanna del pietismo. Che è le parole della pietà senza le opere della pietà. Alleviare la tristezza si può, ma solo con la pietà. E la pietà non è mai troppo piccola. La pietà è la busta della spesa che cambia di mano, una carezza al cane del vicino.
Se c’è pietà c’è misericordia, se c’è misericordia c’è amore, se c’è amore, persone cani e gatti convivono tranquillamente e ordinatamente nel nostro cuore e nei nostri condomini.
Di Don Mauro Leonardi
Articolo tratto da IlSussidiario.net
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