Tutto cambia, niente procede…

“Tutto cambia, ma niente procede”, con questa espressione il filosofo tedesco Arnold Gelhen giudicava la situazione della Germania all’indomani della seconda guerra mondiale. La provocazione sembra adatta per quanto si sviluppa in questi giorni nella politica italiana. Infatti in ogni settore e angolatura dello spazio politico parlamentare ci sono movimenti, rinnovamenti, congressi e rifondazioni che manifestano il desiderio di cambiare affinché tutto rimanga tale e quale alla situazione attuale. Sindrome presente sin dagli albori dello stato italico, diremmo con Tomasi di Lampedusa.

La curiosità risiede nel fatto della coincidenza temporale di nuove denominazioni e organizzazioni che coinvolge davvero tutti i contenitori politici, basti pensare a partire dalla destra politica per finire al centrosinistra: Officina Italia, Forza Italia, Nuovo Centrodestra, “Cosa bianca” e il Partito Democratico che si appresta ad un radicale mutamento nelle forme (dei visi di coloro che guidano il partito) ma non nei metodi (della gestione e della proposta politica). Tale situazione esprime anche un altro importante fattore della metodologia politica italiana. I mutamenti non avvengono con proposte e maturazioni dalla base, dal coinvolgimento dei cittadini, bensì dal movimento di vere e proprie truppe parlamentari che legittimate dall’attuale legge elettorale oligarchica possono fare e disfare, creare governi e seppellirli con una semplice scissione tra gruppi e bande di interesse. E poi siffatti cambiamenti non riguardano il sistema Paese nella sua integrità e profondità (assetto costituzionale, legge elettorale ecc.) bensì una cerchia ristrettissima di persone che amministrano la presunta transizione per continuare a gestire il potere e la visibilità. E così si rimescolano le carte, ci si rifà a grandi ideali (popolari, moderati, democratici, liberali, riformisti, patriottici e nuovi comunisti) per continuare a dir nulla se non manifestare palesemente la voglia matta di essere nei posti di comando e di rimanerci.

Non resta che rassegnarsi? Non credo! Però il primo passo sta nel prendere coscienza dei problemi della nostra democrazia certamente non in buona salute. Probabilmente nella confusione e nel disfacimento globale della politica nostrana, i cittadini non avrebbero bisogno di richiami al passato o di visioni utopiche, ma di qualcosa di semplice e perciò importante: uno Stato meno pesante e pervasivo nella vita delle persone; una macchina politica e rappresentativa diretta che possa realizzare quelle modifiche all’assetto costituzionale che non sono più posticipabili; aiuto reale alle imprese e alla ricerca con progetti e investimenti; una politica estera degna almeno del ruolo di potenza media nel mediterraneo. Probabilmente in maniera più o meno consapevole i cittadini italiani chiedono questo alla politica. Perciò, che vale mascherarsi da moderati o da falchetti, da cattolici popolari o da patrioti integerrimi, se non si ascolta e si rappresenta nemmeno in minima parte il desiderio e i bisogni degli italiani e del Paese? Qualcuno potrà tacciare questo ragionamento di populismo. Ma la caduta del muro di Berlino ci ha trasmesso un contesto nel quale le grandi narrazioni del passato sono solo un ricordo da affidare alla cura degli studiosi. In questo contesto fluttuante della post modernità, certamente vale ancora impegnarsi a partire da una ispirazione liberale, repubblicana, popolare, post comunista, patriottica. Però il valore risiede anzitutto nell’ascoltare e rappresentare i bisogni della gente e non quello di mascherarsi per l’ennesima volta di nuovo con l’utilizzo di tinte antiche. L’Italia, a differenza della Germania, non pare ancora uscita dal limbo post ’89 che per noi significa anche “Mani pulite”. Abbiamo bisogno di uno schock profondo che evidentemente non si chiama Grillo. Solo attraverso questo tutto potrà procedere e perciò riprendere il filo dello sviluppo e della storia e pertanto cambiare. Sino ad allora? Dovremmo orientare tutte le nostre forze per la generazione di un cambio di passo, di un salto in avanti che ci permetta di uscire dalle sabbie mobili residuali della prima repubblica.

Rocco Gumina

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