Italiae et Ecclesia

Tutto è perduto? NON SEMPRE…. Suor Anne Lécu: «Incontro Cristo nelle vite dei colpevoli»

Zaino in spalla, capelli raccolti in uno chignon improvvisato, scarpe comode, maglia a righe e pantaloni in cotone. Informale, sorridente, suor Anne si fa strada con determinazione nel caos della stazione Termini. Arriva da un seminario in Toscana e prima di ripartire per Parigi fa tappa dalle consorelle romane, le Suore di Carità domenicane della Presentazione della Santa Vergine.

Medico, religiosa, scrittrice, Lécu è sbarcata da poco nelle librerie con Il senso delle lacrime, pubblicato dalla San Paolo, in cui indaga su «cosa provocano le lacrime, cosa ci dicono e come guariscono le nostre ferite».

«Ho scritto un libro sulle lacrime per riabilitarle», dice Anne, che oltre a curare il corpo, sa anche come lenire le ferite dell’anima. «In filosofia troviamo poche lacrime, ma nella Bibbia e nella tradizione spirituale ce ne sono molte. Per me riabilitare le lacrime significa anche “onorare” l’incarnazione. Le lacrime formano come un velo davanti agli occhi di chi piange e sono una forma di antidoto all’esibizione, ormai rivendicata ovunque», dice la religiosa. In un mondo che chiede la totale trasparenza mediatica di ogni sentimento, le lacrime fanno da filtro agli sguardi e, insieme, obbligano a pensare più profondamente. «Sgorgano e fanno dubitare della nitidezza stessa delle cose. Alla fine, possono essere lacrime di gioia. La fonte delle lacrime non è forse ciò che trabocca, che è più grande di noi?», suggerisce la religiosa.

Non è assertiva nel modo di procedere e nel linguaggio, la suora scrittrice. «Nei miei libri vorrei sottolineare la ricchezza della Bibbia e della tradizione cristiana per le persone che hanno bisogno di essere incoraggiate nella fede, senza dover cercare altrove ciò che abbiamo a casa. Inoltre credo che la prigione mi abbia dato il dono di un linguaggio radicato nella realtà, almeno così mi dice la gente. E se conforta donne e uomini nella loro fede, tanto meglio».

MEDICO NEL CARCERE FRANCESE
Lécu è un medico, pagato dallo Stato, che svolge il suo lavoro nel carcere di massima sicurezza di Fleury-Mérogis, una cinquantina di chilometri a sud di Parigi, la prigione più grande d’Europa, con una popolazione di circa 4.500 detenuti. «Il mio è un lavoro normale in un posto che non lo è. Sono una professionista, un medico, che lavora in carcere. Sono dalla parte di chi ha il potere, non sono un cappellano, e non parlo di fede con i detenuti. D’altro canto, frequentare questo universo mi ha fatto leggere la Bibbia in modo diverso e senza dubbio anche il mio modo di vivere la vita religiosa è stato trasformato dalla prigione».

Una scuola di formazione molto concreta, quella vissuta dietro le mura dove, tra gli altri, sono stati portati detenuti arrestati per stragi e terrorismo. «Ho imparato attraverso la prigione che Cristo ha scelto di lasciarsi condurre dalla parte dei colpevoli, in modo che non siano più soli con la loro colpa. Questo è il significato della sua presenza sulla croce tra i due ladroni. Ha persino scelto di essere identificato con il peccato, come ci dice Paolo ai Corinzi (2Corinzi 5,21)». Insomma, sostiene Lécu, Cristo ha scelto di essere giudicato dagli uomini, «condannato ha scelto di portare la maledizione in modo che non pesi più sulle nostre spalle. Questa è la salvezza, e penso di averlo capito quando, durante una celebrazione dell’Eucaristia in carcere, ho visto donne piangere davanti alla croce. Piangevano perché sapevano con tutte le fibre del loro essere che l’uomo in croce era come loro, un condannato, e che quindi era con loro, sicuramente».

Nata in una «ordinaria famiglia cattolica praticante», Anne studia medicina a Tours. «Erano gli anni in cui si diffondeva l’Aids, e sono stata segnata dal fatto che uomini e donne, miei coetanei, morissero nei reparti più efficienti dell’ospedale, quelli dedicati alle malattie infettive». Un’esperienza che la fa interrogare, le fa porre molte domande sulla fede. L’incontro con un gruppo di frati domenicani che avevano fondato un’associazione chiamata “Cristiani e Aids” – «per prendersi cura dei malati, dei loro parenti, senza dare lezioni morali, ma soltanto per essere lì con loro» –, fa scattare un desiderio preciso nella giovane laureanda in medicina. «Non sapevo se mi sarei mai consacrata, ma se fosse successo sarebbe stato nella vita domenicana, dove avevo percepito una vera libertà di espressione, una gioiosa fratellanza tra i fratelli e le sorelle, e un’esigenza di ricerca intellettuale».

VORREI UNA CHIESA CHE SERVE

In questi anni di studio, di lavoro e di ricerca, la sua vita, dice la religiosa, è stata segnata da tanti incontri importanti. Oltre alle sorelle e ai fratelli dell’ordine, «penso ai miei amici non credenti, che sono sempre stati un polo importante ed equilibrato della mia vita, inclusa quella spirituale. Non posso immaginare una vita solo nella Chiesa. Ancora oggi i miei colleghi di lavoro mi danno “aria” e mi tengono con i piedi per terra». Poi ci sono gli scrittori. «Ho letto molto autori come Maurice Bellet, che è appena morto, come Maurice Zundel, o come Jacques Ellul, un pensatore riformato francese. E poi c’è padre Jean-Joseph Lataste, il domenicano del XIX secolo che predicò la misericordia di Dio in prigione».

Proprio di padre Lataste, dice suor Anne, le piacerebbe parlare con papa Francesco, casomai dovesse incontrarlo. «Sono sicura che apprezzerebbe il suo lavoro, tanta è la consonanza tra gli scritti di quest’uomo e quelli di Francesco sulla misericordia». Ma c’è anche un altro argomento che Anne affronterebbe. «In un campo completamente diverso vorrei chiedergli come fare perché la Chiesa prenda sul serio gli abusi che la attraversano: perché le vittime di abuso di potere, di derive settarie o di reati come la pedofilia hanno così tanti problemi a essere ascoltate? Lavoro in carcere da 21 anni e non ho rabbia contro le persone di cui devo prendermi cura. Non chiedo mai loro perché sono incarcerati. Ma provo rabbia contro coloro che avrebbero potuto impedire loro di commettere un crimine e non hanno fatto nulla».




Guardando nella Chiesa, le situazioni che più la turbano sono appunto «l’abuso di potere, che può arrivare fino al dispiegamento di reti potenti: penso a quanto tempo ci sia voluto per fare venire alla luce i crimini di Maciel, mentre gli ex legionari di Cristo li denunciavano già da anni! E poi, ciò che mi preoccupa in Francia, è l’irrigidimento di un certo numero di cristiani. Un autore francese (il giornalista Patrice de Plunkett, ndr) ha di recente pubblicato un testo il cui titolo è molto evocativo: Cathos, ne devenons pas une secte (Cattolici, non diventiamo una setta!)». Le situazioni che invece le danno più speranza «sono le minuscole opere di tutti i cristiani che, con calma e umiltà, continuano a lavorare per facilitare la vita di coloro che li circondano. Questa è la Chiesa di Cristo».

C’è un passaggio del Vangelo che l’accompagna? «Mi piace molto il passo di Luca 7, quando la donna peccatrice si presenta a Simone il fariseo e unge i piedi di Gesù con le sue lacrime. Mi sembra che ci dia il senso di ciò che è l’etica: un profumo di buon odore depositato nella vita degli altri».

Foto di Stefano Dal Pozzolo/Contrasto

Fonte www.famigliacristiana.it

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