Res Publica et Societas

Uccise il suo stupratore a 16 anni e ottenne l’ergastolo: campagna delle star per liberarla

Una vita difficile. Un’adolescenza vissuta ai margini della società. Un’esistenza spezzata. A 16 anni Cyntoia Brown aveva conosciuto tutto ciò che di brutto può arrivare dalla vita: sua madre, Georgina Mitchell, con problemi di alcol e cocaina, dopo averla partorita in seguito a uno stupro ha passato più anni in carcere che al suo fianco. A due anni Cyntoia è stata sballottata in un’altra famiglia.

A 16 aveva già provato cosa volesse dire essere stuprata. Senza possibilità alcuna e un futuro incerto, in una notte del 2004 Cyntoia sparò contro l’uomo che l’aveva violentata: lui rimase ucciso, mentre per lei si aprirono le porte del carcere a vita. Da 13 anni vive in un carcere del Tennesse, ma adesso la sua storia sta facendo il giro del mondo, spinta da una campagna social sposata da attrici e cantanti che, attraverso l’hashtag #FreeCyntoiaBrown, chiedono la sua liberazione.

L’omicidio. Era una notte di agosto del 2004: Cyntoia stava passeggiando con il convivente, uno spacciatore violento di 24 anni, conosciuto da tutti con il nome di “Cut Throat”, quando l’uomo le chiese di procurargli dei soldi. La ragazza, completamente soggiogata dal personaggio, accettò di fare sesso con Johnny Allen, un agente immobiliare di Nashville che la portò nella sua casa: una volta lì l’uomo, dopo aver rimarcato di essere un ex tiratore scelto dell’esercito, le mostrò la sua collezione di armi, la portò in camera da letto e abusò di lei. Durante la notte Cyntoia vene assalta dal panico quando vide la mano di Allen muoversi nel letto: certa che stesse cercando un’arma, prese la calibro 40 che “Cut Throat” le aveva dato per difendersi e sparò, uccidendolo.

La condanna. La ragazza venne arrestata e, fin dal primo momento, fu accusata dai procuratori di aver ucciso Allen per derubarlo, visto che nella fuga portò con sé delle pistole e il suo portafogli. La giuria respinse le affermazioni della ragazza, che parlava di autodifesa, e la dichiarò colpevole di omicidio di primo grado e rapina, condannandola all’ergastolo con la possibilità di essere ammessa alla libertà vigilata solo a 67 anni. Le porte del carcere si chiusero e la storia di quella ragazza, cresciuta ai margini della società, finì nel dimenticatoio: negli ultimi anni Cyntoia ha conseguito un diploma grazie al programma di studi in carcere dell’università di Lipscomb e ha lavorato al programma di istruzione per i detenuti, diventando una guida per altre ragazza. A dare lo spunto all’ondata di protese, sulla scia del caso Weinstein, è stato un documentario del regista Daniel Birman, che nel 2011 raccontò la sua storia con i filmati dall’arresto fino al processo, per porre l’attenzione su come gli Stati Uniti si occupino dei giovani delinquenti. Il suo caso ha portato al cambiamento della legge in Tennessee, dove è stato stabilito che l’imputazione di prostituzione possa essere formulata solo per ragazze maggiorenni. Le altre vanno considerate come vittime. La nuova norma cambiò le sorti di tante giovani dopo di lei, ma non la sua: se la condanna fosse arrivata oggi, Cyntoia sarebbe stata considerata vittima di traffico sessuale.




La campagna social. La settimana scorsa il documentario di Birman è stato mandato in onda su un canale di Nashville. «Non aveva vie d’uscita – ha raccontato Birman in una recente intervista – Veniva da una famiglia dove le violenze sessuali si sono ripetute per tre generazioni». In un post il regista ha riproposto il suo documentario, attivando una mobilitazione sui social anche da parte di star del mondo dello spettacolo che, attraverso l’hashtag #FreeCyntoiaBrown, stanno chiedendo la sua liberazione.
«Il sistema ha fallito – ha twittato Kim Kardashian West – È straziante vedere che una ragazzina, vittima di traffico sessuale, quando ha il coraggio di ribellarsi deve finire in carcere per tutta la vita! Ho chiamato i miei avvocati per capire se si può riparare a quest’ingiustizia». Anche la cantante Rihanna ha lanciato il suo appello: «C’è qualcosa di orribilmente sbagliato se il sistema abilita questi stupratori e la vittima viene buttata in un carcere a vita!». E Cara Delevigne ha aggiunto: «Il sistema giudiziario è arretrato! Questa cosa è completamente folle».
Ma Jeff Burks, il procuratore distrettuale che ha messo dietro le sbarre la ragazza, ha precisato: «Non è solo una donna che ha commesso un errore. Era una persona molto pericolosa, le scelte erano le sue: non dimentichiamoci il suo crimine». Intanto la mobilitazione non si ferma: oltre all’ondata di post sui social, la richiesta di grazia per Cyntoia ha già raggiunto 220mila firme su 250mila necessarie.




Fonte ilmattino.it

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