Finalmente il Fondo Monetario Internazionale ha scelto l’aiuto di 27 miliardi in tre anni per l’Ucraina, garantendo quantomeno la sopravvivenza della nazione (o di ciò che ne rimane) per valutare un progressivo avvicinamento all’Europa. Un accordo che, se può apparire avvenuto in tempi record, in realtà è il frutto dei negoziati di due anni in cui l’ente internazionale domandava al paese austerità fiscale (in analogia con quanto richiesto alla Grecia) e l’abolizione dei sussidi al gas, incompatibili con i principi di libero mercato. Una scelta positiva, che al contempo dovrebbe garantire lo spazio temporale per una manovra geopoliticamente più ampia e fare diminuire le avversità dei Repubblicani statunitensi e di altri movimenti nazionalisti rispetto alla possibilità di rafforzare il ruolo di coordinamento del FMI nelle crisi economico-finanziarie, eliminando il veto statunitense ad una riforma attesa da anni. Kiev è in piena campagna elettorale con i leader indaffarati a prepararsi alle elezioni del 25 maggio prossimo. Intanto oggi con 50.000 soldati russi al confine, secondo le stime del Wall Street Journal, Mosca “è pronta per un’offensiva su larga scala”. Obama ordina “Mosca ritiri le truppe”. Putin risponde che “il morale delle truppe è alto”. Insomma un dialogo tra personaggi focalizzati ciascuno su un monologo da campagna elettorale che potrebbe avere ricadute terribili.
Ciò che manca è una soluzione politica, l’Europa nei confronti del “democratico” Putin, che chiede il rispetto di un referendum popolare, proponga in virtù dei medesimi principi di rifare un referendum anche in Cecenia per garantire così la libertà dei popoli a cui sembra che Putin tenga molto !?! Questa volta però il referendum non sia come quello del marzo 2003, svoltosi in un clima di intimidazione, seguito dalla farsa delle elezioni presidenziali dell’ottobre 2003, vinte dall’uomo del Cremlino, Akhmed Kadyrov, nemmeno riconosciute dall’Osce. Nel caso in cui Putin accettasse un analogo referendum in Cecenia, allora si potrebbe pensare che siano in buona fede i 50.000 soldati schierati al confine, altrimenti non vi sono molti dubbi sugli intenti, non di certo pacifici e democratici, di un siffatto utilizzo dell’apparato militare russo. diFlavio Britti