Categorie: Caritas et Veritas

Ucraina: una lettura diversa degli scontri

A Kiev, le manifestazioni di questi giorni,  hanno avuto come risultato disastroso tantissime vittime e migliaia di feriti. La situazione appare molto confusa. La guerriglia urbana, non segure regole o schemi. Crea confusione, distruzione, morte. Può accadere la guerra civile. Il presidente ucraino è un corrotto, ma la UE non ha avuto nulla da ridire finchè non ha ritrattato sull’adesione di partenariato con l’Unione ( che comprendeva obbligatoriamente “cambiamento”, scarto ferroviario e basi NATO). Quando a novembre considerando le condizioni economiche offerte da Putin -10 mld di euro al posto dei 5 della UE-, e migliori condizioni generali, il premier ha deciso di aderire all’unione doganale russa. E’ da lì che è iniziata la protesta ben presto passata di mano al partito neonazista che ha avuto il 10% dei voti. La UE per tutta risposta reagisce condannando il governo e minaccia sanzioni… Data l’analogia alla situazione iniziale in Siria (la società è diversa ma la strategia USA -UE è la stessa). Naturalmente sempre tenendo alta l’attenzione per la Siria. La bestia é l’Occidente massonico che si sta scagliando con tutto l’odio possibile contro l’Oriente, ovvero la Russia! (La storia si ripete. La lotta tra i due blocchi mondiali, ha cambiato strategia, ma in fondo gli scenari sono sempre uguali. Con l’unica eccezione: i valori per cui si combatte sono diametralmente opposti a quelli della guerra fredda). Purtroppo, in casi come questi, bisogna avere il coraggio di dire la verità! La maggioranza del popolo ucraino vuole buone relazioni con la Russia, suo storico vicino naturale. Gli accordi economici con Mosca sono molto convenienti per Kiev, ma l’Unione Europea, al massimo della sua ipocrisia, finge di credere alla rivolta di massa di cittadini che vogliano entrare nel “paradiso” europeo a cui nessuno più crede. Evidentemente sono da condannare le violenze della polizia contro i cittadini pacifici. La morte non è la risposta alla democrazia. Anzi, ne rappresenta il fallimento. E’ necessario ricordare, che anche una buona parte di manifestanti attacca, non solo le forze dell’ordine, ma anche la gente comune. Dove risiede la verità dei fatti? La guerriglia urbana organizzata, apparentemente sembra disordinata, caotica, odiosa, senza senso. Dobbiamo sapere che dietro a tutto questo, si nascondono strategie ben definite, chiamate “azioni caotiche ordinate”.

Come sempre i media servono i potenti di turno. Invece di raccontare la verità, aggravano la situazione, propinando all’opinione pubblica non i fatti che accadono, ma le riflessioni ideologiche dei loro sostenitori economici. Il sito web “L’Indipendenza”, propone in anteprima la traduzione integrale in italiano dell’articolo Europe Goes Expansionist apparso sulla rivista “The American Conservative”, da parte di James Carden, consulente dal 2011 al 2012 nella Commissione bilaterale presidenziale Usa-Russia presso il Dipartimento di Stato statunitense. (Traduzione di Luca Fusari):

Nel decennio successivo alla sfortunata avventura irachena dell’amministrazione Bush, era di routine (e con qualche ragione) accusare gli Stati Uniti di atteggiamenti imperialisti. Il cambiamento auspicato da una politica estera interventista non si è concretizzato con l’avvento dell’amministrazione Obama nel 2009. L’aumento di truppe in Afghanistan e una guerra dei droni non dichiarata, che si estende dalle pianure del Maghreb al cuore delle montagne meridionali dell’Asia centrale, hanno messo fine a tali speranze. Anche l’Europa non è stata immune da atteggiamenti d’arroganza imperiale, come ha dimostrato l’intervento del 2011 in Libia. Eppure, con l’uscita di scena nel 2012 dell’interventista Nicolas Sarkozy dal Palazzo dell’Eliseo, vi è stata forse la speranza in un ritorno ad una politica estera europea che fosse al tempo stesso prudente ed etica. Tuttavia il perdurare della crisi in atto a Kiev indica che la politica estera europea ha, ancora una volta, abbandonato la prudenza e la cautela in favore di una mentalità a somma zero che potrebbe anticipare un periodo di conflitto e competizione con la Russia per gli Stati dell’ex blocco sovietico.

La crisi che dal Novembre scorso sta dilagando per le strade di Kiev ha le sue radici nel lontano 2008 dalle manovre dei diplomatici europei. Nel Maggio di quello stesso anno, i ministri degli esteri di Polonia e Svezia, Radek Sikorski e Carl Bildt, proposero la costituzione di un Partenariato orientale (Po), che doveva servire come un forum di discussione sul libero scambio e per accordi sui visti tra l’Ue e le nazioni presumibilmente aspiranti al suo ingresso nella periferia sud-orientale dell’Europa. Il Partenariato fa riferimento a “valori condivisi” come il rispetto dei diritti umani e dello Stato di diritto, e promuove il concetto di “buon governo” e di “sviluppo sostenibile” nella regione. Secondo il ministro Bildt non si trattava di “sfere di influenza”, il che è una interessante affermazione alla luce degli avvenimenti degli ultimi mesi. Considerate le osservazioni del presidente della Commissione europea Manuel Barroso. In una conferenza stampa tenutasi a Milano lo scorso 9 Dicembre, egli ha per due volte fatto appello agli ucraini ad “avere il coraggio ad andare a combattere”. Osservazioni da alti funzionari europei (per non parlare dei contributi di quelli americani) hanno avuto doverosamente eco nei media occidentali che ritraggono il conflitto a Kiev come la manifestazione di uno scontro di civiltà, tra russi ed europei, in quello che alcuni hanno iniziato a chiamare il “cuore dell’Europa”.

La retorica di questo tipo è impressionante per la diplomazia europea del dopoguerra, la quale in genere era stata una coltivatrice affidabile di consensi e di riavvicinamento presso ed intorno i suoi immediati vicini. Con la notevole eccezione del Regno Unito, essa ha cercato di agire come un freno su alcune delle tendenze più sanguinarie della politica estera americana. Ora l’Unione europea sembra stia facendo proprie alcune delle cattive abitudini dell’establishment americano in politica estera. Anche se uno degli architetti del Partenariato orientale, Sikorski è stato costretto ad ammettere di recente che “(…) l’Ue ha seriamente sovrastimato l’attrattiva della sua offerta”, un report del 3 Febbraio del New York Times ha indicato che, anziché lasciarli da soli, i diplomatici americani ed europei stanno progettando di contrastare il pacchetto di salvataggio della Russia, mentre Vladimir Putin è distratto dai Giochi di Sochi. Se questo è il piano, esso indica che questi diplomatici stanno facendo due ipotesi molto discutibili. In primo luogo, essi sembrano credere (contro ogni evidenza storica, economica, e d’altro genere) che il popolo ucraino sia unito nel suo desiderio di entrare in Europa. Manuel Barroso, che dovrebbe conoscere meglio i fatti, ha affermato nella conferenza stampa di cui sopra che semplicemente non era vero che le proteste contro il presidente ucraino Viktor Yanukovich stessero avvenendo “solo nella parte occidentale dell’Ucraina”.

L’Ucraina è certamente una Paese, ma si compone di due civiltà: quella che guarda alla Russia e quella che guarda verso l’Occidente. Esse parlano lingue diverse e hanno avuto recentemente, nel secolo appena passato, diverse esperienze storiche. Considerate le sorti di Kharkiv in Oriente e di Lviv in Occidente. Alla vigilia della prima guerra mondiale, Kharkiv (poi Kharkov) era situata saldamente all’interno dell’Impero russo, Lviv (in seguito Leopoli) era parte dell’Impero austro-ungarico. Negli anni tra le due guerre, Leopoli fece parte della Seconda Repubblica Polacca mentre Kharkiv si trovò all’interno dell’Urss appena formatasi. Durante la seconda guerra mondiale, Leopoli divenne Lemberg e visse gli orrori del governo tedesco generale, mentre Kharkov fu occupata, liberata, ri-occupata, e ri-liberata dal Reichskommissariat d’Ucraina da parte dell’Armata Rossa. Fu con l’istituzione dell’egemonia sovietica sull’Europa orientale, che sia Leopoli che Kharkov si sono trovate sotto la bandiera dell’Urss. In secondo luogo, l’idea che Putin sarà così distratto dai Giochi Olimpici che un rinnovato approccio in Ucraina da parte dell’Ue passi a lui inosservato tradisce una profonda incomprensione di ciò che tollera l’élite politica russa. Per la Russia questa non è semplicemente una questione economica, ma ha profonde implicazioni anche per la sicurezza, e per un buon motivo. L’agenda d’associazione Ue-Ucraina, entrata in vigore la scorsa estate, ha una specifica politica estera e un Protocollo di Sicurezza in cui l’Ue e l’Ucraina dovranno “rafforzare ulteriormente la convergenza su questioni regionali ed internazionali, la prevenzione dei conflitti e la gestione delle crisi”. Sono al lavoro insieme per “aumentare l’interoperabilità” e per “esplorare ulteriori modi concreti di raggiungere una maggiore convergenza nel settore della politica estera e della sicurezza”. In altre parole, l’Unione europea si sta preparando per l’eventuale adesione dell’Ucraina nella Nato.

L’idea della Nato d’estendere la sua prima linea nel cuore della civiltà slava dovrebbe essere giudicata come estremamente imprudente. Nel suo libro Soviet Fates and Lost Alternatives, lo storico Stephen F. Cohen scrive che se il progetto neoconservatore di espandere la Nato per includere l’Ucraina avrà esito positivo: Il Cremlino ha pubblicamente avvertito l’Occidente che le “relazioni con la Russia saranno rovinate una volta per sempre, e che il prezzo da pagare sarà alto”. Privatamente, si dice che ciò sarebbe vista come una ‘dichiarazione di guerra’. E così per gli ammiratori del record di pace nel dopoguerra nella costruzione di una società prospera e socialmente giusta attraverso il negoziato e il compromesso ad opera dell’Ue, la voglia attuale di ampliarla sempre più verso Est è sia una perplessità che una preoccupazione. E’ così impossibile immaginare che nel lungo periodo l’Unione europea possa essere in grado di stabilire un modus vivendi con l’Unione doganale eurasiatica? Putin sembra pensare a questa possibilità, perché i leader europei precludono l’idea di un tale risultato? C’è qualche ragione per supporre che l’Ue in qualche modo possa vacillare se non continuerà ad includere la maggior parte degli Stati dell’ex Unione sovietica? L’ultima cosa che dovremmo desiderare è che gli europei inizino a far proprie in politica estera le abitudini espansioniste dell’establishment di Washington a prezzo della propria pace, prosperità e sicurezza. Diversi anni fa, l’eminente studioso dell’Europa, David P. Calleo, scrisse che “(…) l’Ue ha oggi bisogno di istituzioni che le permettano di coabitare amichevolmente con la loro gigante relazione orientale. In caso contrario, sembra vi siano scarse speranze per un felice futuro europeo”. Era vero allora e rimane vero anche oggi. a cura di Giovanni Profeta

 

 

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