Ogni vescovo, sacerdote o diacono è chiamato a essere accogliente, sobrio, affabile, paziente, buono di cuore, senza mai sentirsi al “centro dell’attenzione” o pensare di sapere tutto, perché questa è la “grammatica di base” di un ministro di Cristo. Lo ha affermato Papa Francesco durante la catechesi dell’udienza generale in Piazza San Pietro.
Di seguito ampi stralci della catechesi del Papa:
“Abbiamo evidenziato nella catechesi precedente come il Signore continui a pascere il suo gregge attraverso il ministero dei vescovi, coadiuvati dai presbiteri e dai diaconi. È in loro che Gesù si rende presente, nella potenza del suo Spirito, e continua a servire la Chiesa, alimentando in essa la fede, la speranza e la testimonianza della carità”.
Nelle ‘Lettere pastorali’ inviate ai suoi discepoli Timoteo e Tito, l’apostolo Paolo, ricorda il Papa, “si sofferma con cura sulla figura dei vescovi, dei presbiteri e dei diaconi” e su “una descrizione di ogni cristiano nella Chiesa”. In particolare per i vescovi, presbiteri, diaconi “vengano elencate alcune qualità squisitamente umane: l’accoglienza, la sobrietà, la pazienza, la mitezza, l’affidabilità, la bontà di cuore. Ripeto: l’accoglienza, la sobrietà, la pazienza, la mitezza, l’affidabilità, la bontà di cuore. E’ questo l’alfabeto – ha sclamato il Papa – la grammatica di base di ogni ministero! Deve essere la grammatica di base di ogni vescovo, di ogni prete, di ogni diacono”. perché “senza questa predisposizione bella e genuina a incontrare, a conoscere, a dialogare, ad apprezzare e a relazionarsi con i fratelli in modo rispettoso e sincero, non è possibile offrire un servizio e una testimonianza davvero gioiosi e credibili”.
Papa Francesco ha poi rammentato l’atteggiamento di fondo che vescovi, sacerdoti, presbiteri o diaconi devono “ravvivare continuamente”, cioè “il dono” del loro ministero, e questo – ha precisato – mantenendo “sempre viva la consapevolezza che non si è vescovi, sacerdoti o diaconi perché si è più intelligenti, più bravi e migliori degli altri, ma solo in forza di un dono, un dono d’amore elargito da Dio, nella potenza del suo Spirito, per il bene del suo popolo”. Una consapevolezza che, ha proseguito il Papa, “costituisce una grazia da chiedere ogni giorno. Infatti, un Pastore che è cosciente che il proprio ministero scaturisce unicamente dalla misericordia e dal cuore di Dio non potrà mai assumere un atteggiamento autoritario, come se tutti fossero ai suoi piedi e la comunità fosse la sua proprietà, il suo regno personale”.
Inoltre, la “consapevolezza che tutto è dono”, “tutto è grazia, aiuta un pastore – ha insistito Papa Francesco – anche a non cadere nella tentazione di porsi al centro dell’attenzione e di confidare soltanto in se stesso. Sono le tentazioni della vanità, dell’orgoglio, della sufficienza, della superbia. Guai se un vescovo, un sacerdote o un diacono pensassero di sapere tutto, di avere sempre la risposta giusta per ogni cosa e di non avere bisogno di nessuno”.
Al contrario, ha avvertito, “la coscienza di essere lui per primo oggetto della misericordia e della compassione di Dio deve portare un ministro della Chiesa ad essere sempre umile e comprensivo nei confronti degli altri. Pur nella consapevolezza di essere chiamato a custodire con coraggio il deposito della fede, egli si metterà in ascolto della gente. E’ cosciente, infatti, di avere sempre qualcosa da imparare, anche da coloro che possono essere ancora lontani dalla fede e dalla Chiesa. Con i propri confratelli, poi, tutto questo deve portare ad assumere un atteggiamento nuovo, improntato alla condivisione, alla corresponsabilità e alla comunione”.
Il Papa ha concluso invitando tutti “a pregare, perché i pastori delle nostre comunità – ha detto – possano essere immagine viva della comunione e dell’amore di Dio. Grazie”.