35 ANNI DOPO L’ASSASSINIO – Nell’intervista rilasciata dal figlio Giovanni al settimanale cattolico “il Ticino” di Pavia, la memoria di quegli anni in Azione Cattolica che, “da forza politico-religiosa che aveva contribuito a sostenere la Democrazia cristiana nel dopoguerra, si ritirava dalla politica diretta e collaborava con la Chiesa per la concreta attuazione del Concilio”. In quel clima si è formato il presidente della Repubblica
“Mio padre Vittorio ha insegnato all’Università di Pavia dal 1958 al 1962: l’ha lasciata quando io avevo 7 anni. Di quegli anni ricordo la torta paradiso di ‘Vigoni’ che ci portava sempre a casa, a Roma, al suo ritorno: che gioia era per me, mia sorella Maria Grazia e mia mamma Maria Teresa! Di quella sua esperienza pavese mi hanno raccontato in tanti: all’ultima commemorazione ne ha parlato anche il professor Michele Salvati, noto economista ed editorialista del ‘Corriere della Sera’, che si laureò con mio padre a Pavia. E il legame con Pavia si è consolidato anche perché nella vostra città oggi c’è un altro Vittorio Bachelet: è il mio figlio più grande che ha scelto di fare il giurista e sta finendo il dottorato”.
Giovanni Bachelet, 59 anni, docente universitario di fisica (con un impegno politico importante: è stato anche deputato, eletto nelle file del Pd nella legislatura tra il 2008 e il 2013) parla con tenerezza di suo padre. Nell’intervista rilasciata a “il Ticino” e a “Radio Ticino Pavia” cita sempre la “morte di papà”, non il fatto che sia stato ucciso dalle Brigate Rosse. Pochi giorni fa, giovedì 12 febbraio, si è commemorato il 35esimo anniversario della scomparsa di Vittorio Bachelet, illustre giurista, presidente dell’Azione Cattolica dal 1964 al 1973, nominato nel 1976 vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura: le Br lo assassinarono al termine di una lezione alla Sapienza di Roma, mentre stava parlando con Rosy Bindi che a quei tempi era una sua assistente. Nelle parole del figlio Giovanni c’è spazio solo per il dialogo, il confronto, la formazione: lo spirito è rimasto quello delle parole pronunciate ai funerali di suo padre, durante la preghiera dei fedeli.
“Siamo stati contenti e commossi della commemorazione che si è svolta il 12 febbraio, già prevista da diversi mesi e promossa dal Dipartimento di scienze politiche dalla Sapienza di Roma: è l’Università dove mio papà ha lavorato e purtroppo è anche morto, perché è proprio in Ateneo che ci fu l’attentato – spiega Giovanni Bachelet -. La presenza di Sergio Mattarella, nuovo presidente della Repubblica, ha reso più grande la nostra gioia: è bello che 35 anni dopo siano in tanti a voler ancora ricordare papà”.
A molti la figura del nuovo capo dello Stato ricorda quella di Vittorio Bachelet: per entrambi è fortissimo il legame con l’Azione Cattolica.
“La formazione di Mattarella, anche ‘tecnicamente’, si è svolta all’interno dell’Azione Cattolica dei tempi in cui mio papà era presidente – conferma Giovanni Bachelet -. Erano anche gli anni del Concilio Vaticano II. L’Ac, da forza politico-religiosa che aveva contribuito a sostenere la Democrazia cristiana nel dopoguerra, si ritirava dalla politica diretta e collaborava con la Chiesa per la concreta attuazione del Concilio. Mattarella è cresciuto politicamente all’interno dell’Azione Cattolica, un movimento che aiutava i laici a operare scelte sotto la propria responsabilità di cristiani adulti senza avere un mandato dalla Chiesa. Fu questa la grande svolta di Ac negli anni in cui mio padre ne era il presidente e Mattarella un giovane dirigente: l’indicazione non era certo quella di chiudersi nelle sacrestie ma di lavorare per l’annunzio evangelico e la formazione, spingendo i cristiani a impegnarsi responsabilmente in politica. Cristiani non più ‘telecomandati’ dalla Chiesa in campo sociale, politico e anche legislativo”.
Il mondo di oggi è completamente cambiato rispetto a quegli anni. “Dopo la morte di mio padre è crollato il muro di Berlino, è stato cancellato il vecchio sistema dei partiti, l’Unione europea si è allargata e la tecnologia ha cambiato il modo di vivere. Se papà si svegliasse improvvisamente, noterebbe tre grandi novità: la fine dell’Unione Sovietica; la presenza dei telefonini e della comunicazione in tempo reale in tutto il mondo; l’arrivo di tanti immigrati in Italia, tenendo conto che quando mio padre è morto eravamo ancora noi gli emigranti che andavano a cercare lavoro altrove. Tutto è cambiato. Credo, però, che non sia mutato il metodo: il fatto, cioè, di essere cristiani che avvertono la responsabilità d’impegnarsi nella società e sanno che occorre essere esperti degli strumenti propri del mondo, come la scienza, la legge, la medicina e la cultura, per cercare di cambiarlo in meglio. Un metodo cattolico-democratico che riconosco anche in Mattarella, anche se l’attuale presidente della Repubblica dovrà affrontare un compito del tutto nuovo rispetto a quello che negli anni Settanta si poneva di fronte a mio padre e ai suoi contemporanei”.
Giovanni Bachelet torna con la memoria al Concilio Vaticano II: “Ero ancora abbastanza piccolo, ma ricordo molto bene quegli anni. Tra l’altro in occasione del 35esimo anniversario della morte di papà abbiamo pubblicato, con mia madre e mia sorella, la sua agendina tascabile del 1964, l’anno in cui diventò presidente dell’Azione Cattolica su nomina di Paolo VI. Era il penultimo anno del Concilio e in Italia il governo era guidato da Aldo Moro. Nel rileggere l’agendina di papà, mi sono reso conto di come per lui e per tutta la nostra famiglia la stagione conciliare sia stata vissuta con grande entusiasmo. Ricordo come questo evento venisse intensamente vissuto anche a scuola: il nostro maestro ci faceva scrivere dei temi dedicati ai vescovi che, in occasione del Concilio, arrivavano a Roma da tutto il mondo. Fra la mia prima Comunione e la Cresima ci fu il grande cambiamento liturgico: la Messa venne celebrata in italiano e non più in latino. Noi andavamo in vacanza con mons. Franco Costa, l’assistente della Fuci: un’associazione in cui si comprendeva meglio il significato delle Scritture e si esortavano gli studenti a leggere il Vangelo. Si formavano i cristiani non solo a ubbidire, ma anche a collaborare in maniera responsabile. In quegli anni il Papa iniziò a viaggiare; Paolo VI andò alle Nazioni Unite e in Israele. Oggi è normale assistere a un viaggio del Pontefice, soprattutto dopo gli anni del Pontificato di Giovanni Paolo II. Ma prima del Concilio il Papa era considerato quasi come un monarca, che restava sempre in Vaticano: erano gli altri a doversi muovere per andare da lui. Tante cose che oggi sono entrate nella normalità, come la Messa concelebrata o il fatto di pregare con i Salmi, furono annunciate proprio dal Concilio con un ruolo fondamentale dell’Azione Cattolica guidata da mio padre”.
di Alessandro Repossi, direttore “Il Ticino” (Pavia) – Pubblicato da Agenzia Sir