Categorie: Testimonium

Un Miracolo di vera e grande Umiltà: conosciamo meglio Padre Candido Amantini

Una vera esperienza di fede non chiede mai al Vangelo che cosa può conservare della propria vita e dei propri interessi senza comprometterli; una vera esperienza di fede è capace di compromette tutto fino a considerare tutto quel che non è di Cristo e del suo Vangelo ”spazzatura” (cfr. Fil 3,8); una vera esperienza di fede accetta di ”perdere tutto”, vive la grammatica dell’amore, non del calcolo, della gratuità e della disponibilità totale al Vangelo e a Cristo.

Passionisti Scala Santa

Questo hanno fatto i santi. Una vera esperienza è aperta al confronto: i santi, sono, infatti, figure in cui ognuno può rispecchiarsi, trovare conforto nelle proprie miserie e ricevere impulsi sempre nuovi per migliorarsi, affinché tutti coloro che lo desiderano possano essere attirati nell’orbita di Dio. I santi sono una mensa aperta ai piccoli e ad adulti, chiamati a camminare con rigore ma anche con lievità e delicatezza nell’itinerario luminoso e cruciforme della fede. I santi sono una proposta da cui anche coloro che sono ai primi passi nell’alimentazione cristiana posso trarre sostanziale nutrimento. Un vino dolce e ancora non del tutto fermentato destinato, anche, per chi non può ancora inebriarsi. Lo scrittore francese Georges Bernanos annota: «La santità non si può costringere in una formula, o meglio, si può compendiare in tutte. Essa racchiude e supera tutte le forze, essa realizza il condensamento, costretto in un unico piano, delle più alte facoltà umane». La santità tocca tutti; i santi, radicalmente uomini credenti, sono passati nella storia insoddisfatti delle cose e del mondo e hanno trovato il loro appagamento in Dio. Egli, infatti, li suscita e li forma, e Lui non ha schemi e per fortuna ancora oggi la sua infinita fantasia non smette di stupirci. Credo allora necessario che il cristiano di oggi deve portare a consapevolezza che l’occuparsi dei santi produce un incommensurabile arricchimento interiore. In questa società che vive nell’auto-dissolvimento, ritornare ai santi vorrà, anche, dire risvegliare quell’inestinguibile sete di infinito e di santità nuova che alberga nel cuore di tanti. Michele Baumgarten, scriveva [profeticamente] che «vi sono epoche in cui discorsi e scritti non bastano più a rendere generalmente comprensibile la verità necessaria. In tempi simili le azioni e le sofferenze dei santi devono creare un nuovo alfabeto per svelare nuovamente il segreto della verità». Scrivo sui santi perché, essi non piacciono a tutte quelle lobby di teologi che discorrono sul celibato dei preti, sulla verginità di Maria, sulle coppie di fatto e sui matrimoni gay. Questi teologi – per così dire – “avanzati” considerano i santi ignoranti e ”passati” (di moda). Troppo vecchi per la Chiesa (quale Chiesa, poi?!). I santi, invece, fanno parte proprio di quei “semplici” che, per il Vangelo, capiscono ciò che è nascosto ai dotti e ai sapienti. Perché – come loro ci insegnano – ritornare a quella genuina Tradizione, che li ha formati – può essere un rimedio per questo mondo in decomposizione. Alla loro scuola, poi, si impara a leggere la nostra storia come quella di uomini e donne che non si lasciano sedurre da una immagine troppo sproporzionata di sé.

Abbiamo già detto qualcosa nel precedente articolo del 25 febbraio scorso, riguardo la figura del Servo di Dio Padre Candido Amantini. Continuiamo oggi la nostra riflessione, partendo anzitutto, come abbiamo fatto, dal comprendere cosa sia la santità; perché cambiano i parametri, cambiano i tempi, cambiano – forse – le modalità ma la santità resta un’esperienza possibile e raggiungibile!
Per Padre Candido l’umiltà è stato il grande isolante che ha permesso alla corrente divina della grazia di passare attraverso la sua persona senza dissiparsi o provocare fiammate di orgoglio e di rivalità. Padre Candido fu un religioso ed un prete che visse di Eucaristia e che si è fatto eucaristia per i
fratelli. Ha vissuto la sua esistenza con cuore spiritualmente rivolto al cielo e al tabernacolo! La sua spiritualità e tutto il suo ministero si concentrano in Gesù-Ostia: interminabili le sue preghiere davanti al tabernacolo, fervorose le sue messe, devotissime le sue comunioni. Il Gesù che riceve nel segno sacramentale del pane lo porta fuori, in mezzo al popolo santo, che vorrebbe radunato devotamente davanti al tabernacolo. Ai piedi del Tabernacolo egli deponeva sinceramente non solo tutte le proprie miserie, ma anche quelle
di quanti gli chiedevano un ricordo, una preghiera o le tante storie, il più delle volte difficili, di quanti aveva incontrato durante la giornata. Possiamo dire, senza esagerare che Padre Candido ha vissuto in maniera eucaristica, ossia ha saputo uscire da se stesso, dalla ristrettezza della propria vita ed cresciuto attingendo alla vitalità di Cristo. Alcuni raccontano che alle volte, apriva il Tabernacolo, e prendendo la pisside nelle sue mani, tracciava, nel silenzio della notte, un ampio segno di croce, benedicendo così il mondo intero. Ai piedi di Gesù Sacramentato riponeva tutte le sofferenze dei fratelli delle quali si faceva portatore durante il giorno. All’Eucarestia ricaricava le energie e faceva il pieno di Amore e Misericordia di Dio di cui diveniva canale privilegiato per far discendere come rugiada le grazie del Padre ai suoi figli più bisognosi. I fedeli si accalcavano per assistere alla sua Messa mattutina che egli celebrava nella Cappella di San Silvestro, il “coro” dei frati.
La fede ci fa entrare nel mondo di Dio ed illumina la nostra vita. Non siamo ”super/uomini”, capaci di attraversare la nostra storia senza contraccolpi. Spesso la vita non risparmia a nessuno le sue asprezze. Impariamo a vivere, vivendo; vivendo una vita fatta talora di mancanza anche gravi; una vita in cui, nonostante tutto, Lui continua a rinnovare la sua fiducia e a rivolgerci il suo sguardo incoraggiante; ci chiede, però, di fare delle nostre ferite luoghi e occasioni di testimonianza; ci chiede di vivere quell’esistenza capace di una «consegna totale» – un abbandono definitivo in Lui, con tutta la nostra umanità ferita ma redenta, come avviene nell’Eucarestia, quando Lui si consegna tutto a noi. Questo è conoscere Dio, questo è vivere così la vita eterna fin da quaggiù.
Questa è stata un po’ l’esperienza del nostro Servo di Dio. Il suo vivere cuore a cuore con Dio, ci insegna ad essere piccole eucarestie nel mondo.




La nostra è un’esistenza estroversa e molto dispersiva. Fra tanta dispersione e stordimento difficilmente ci si ferma a riflettere sui problemi che riguardano lo spirito. Viviamo in un mondo che assomiglia sempre di più a quello descritto da George Orwell, anzi è una via di mezzo tra quello descritto da Aldous Huxley in Mondo Nuovo e quello del Grande Fratello, personaggio immaginario creato da Orwell, nel romanzo 1984. Siamo circondati da uomini, e forse un po’ lo siamo anche noi, votati permanentemente al consumo, smarriti nell’«obbligo del godimento» (come scriveva il filosofo J. Lacan); uomini che hanno smarrito la bussola orientativa del limite e vagano disperatamente in cerca del piacere. La nostra società prevede il godimento come dovere, come obbligo, legiferando che essere uomini significa semplicemente conquistare quello che piace! Alla base del messaggio di quest’umile frate passionista c’è la misericordia, l’umiltà: il sapersi amati e voluti da Cristo. Unica, grande certezza!



di Andrea Maniglia

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