Nel dopo Angelus di questa domenica del Corpus Domini, Papa Francesco sollecita ogni persona a interrogarsi su quanto sia vicina o meno a comprendere ed essere solidale con un popolo martoriato” che sta soffrendo
L’appello, ennesimo, arriva quasi in sordina, dopo i saluti ai gruppi in Piazza che di norma chiudono l’Angelus. Ma la portata è universale, una sorta di chiamata a raccolta che coinvolge chi è in ascolto ben al di là del perimetro delle colonne berniniane.
Il Papa ha appeno finito di citare l’ultimo dei gruppi che ha in elenco cui indirizzare un saluto particolare, un’Associazione ciclistica di Sesto San Giovanni, quando aggiunge subito:
E non dimentichiamo il martoriato popolo ucraino in questo momento, popolo che sta soffrendo. Io vorrei che rimanga in tutti voi una domanda: cosa faccio io oggi per il popolo ucraino?
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La domanda non resta isolata. Una manciata di secondi e se ne aggiungono altre quattro – l’ultima che si riaggancia alla prima – il tracciato si potrebbe dire di un esame di coscienza mondiale, che non sollecita come in altre occasioni i leader che hanno in mano i destini del pianeta ma le singole persone, a sottolineare che di fronte a una simile tragedia, alla sofferenza di un “popolo martoriato”, non esiste una prima e una seconda linea d’azione, ma una responsabilità umana collettiva che non distingue tra governanti e governati e che si rivolge intanto a chi ha fede e da questa fa discendere un impulso alla solidarietà:
Prego? Mi do da fare? Cerco di capire? Cosa faccio io oggi per il popolo ucraino? Ognuno si risponda nel proprio cuore.
L’Angelus si chiude poi come sempre, con gli auguri domenicali di Francesco, tra le colonne che si svuotano ma dove resta l’eco di quelle domande.
Il Papa, dopo la preghiera mariana, ha rivolto il pensiero all’amata terra del Myanmar per sottolineare il dolore di tante persone:
“Giunge ancora dal Myanmar il grido di dolore di tante persone a cui manca l’assistenza umanitaria di base e che sono costretti a lasciare le loro case perché bruciate e per sfuggire alla violenza.
Dunque l’appello in comunione con la chiesa locale:
Mi unisco all’appello ai vescovi di quell’amata terra perché la comunità internazionale non si dimentichi della popolazione birmana, perché la dignità umana e il diritto alla vita siano rispettati, come pure i luoghi di culto, gli ospedali, le scuole e benedico la comunità birmana in Italia oggi qui rappresentata”.
(continua dopo il video)
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Decine di chiese, comprese le chiese cattoliche negli Stati di Kayah e Chin, sono state distrutte da attacchi aerei e bombardamenti di artiglieria mentre migliaia di persone, compresi i cristiani, sono sfollati o in fuga nella vicina India. Almeno 450 case – secondo quanto riporta l’agenzia cattolica di informazione UcaNews – sono state date alle fiamme dalle truppe della giunta negli storici villaggi cattolici di Chan Thar e Chaung Yoe nella regione di Sagaing nel corso dell’ultimo mese circa.
La Conferenza episcopale denuncia lo stato di ansia e la mancanza di sicurezza in cui si trovano le persone, “in particolare gli anziani, i disabili, i bambini, le donne e i malati”. I vescovi esprimono anche la loro gratitudine “ai sacerdoti, ai diaconi, alle religiose, ai catechisti e ai volontari che cercano di sostenere e assistere i civili che fuggono in luoghi più sicuri”. Solo quattro giorni fa, la chiesa cattolica di St. Matthew è stata bruciata
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