Martedì 10 novembre, in occasione della visita di Francesco a Prato, il sindaco consegnerà a Papa Francesco una fetta rocciosa di 4,56 g di Shergottite. Sinora conservato al Museo di Scienze Planetarie di Prato, il meteorite sarà destinato alla Specola Vaticana. Il gesuita padre Guy Joseph Consolmagno, direttore dell’Osservatorio astronomico: «Questo pezzo di un altro pianeta ci ricorda che Dio ha creato i cieli, è venuto sulla Terra ed abita in mezzo a noi»
Mai prima d’ora un Papa aveva ricevuto come dono un meteorite. L’insolito evento accadrà il 10 novembre in occasione della visita di Francesco a Prato. Il sindaco Matteo Biffoni consegnerà al Pontefice una fetta rocciosa di 4,56 g di Shergottite caduta nel deserto del Sahara da Marte. Finora conservato al Museo di Scienze Planetarie di Prato, il meteorite sarà destinato alla Specola Vaticana, osservatorio astronomico dello Stato Vaticano, gestito dai padri gesuiti. Padre Guy Joseph Consolmagno, direttore della Specola Vaticana, ha detto: “Questo dono rappresenta la stima dell’intera comunità di astronomi italiani. Questo pezzo di un altro pianeta, ora caduto sulla Terra, ci ricorda che Dio ha creato i cieli, è venuto sulla Terra ed abita in mezzo a noi”.
Ecco invece il testo che Marco Morelli, direttore del Museo di Scienze Planetarie di Prato, ha scritto per presentare l’evento: “Sarà il primo Papa, Francesco, a tenere tra le mani un frammento roccioso di un altro pianeta. Di un pianeta sul quale – sappiamo oggi – scorreva l’acqua. Di un pianeta sulla cui superficie è possibile che, miliardi di anni fa, siano nate e si siano evolute forme di vita forse ormai scomparse, per sempre. Il Pianeta Rosso ci pone di fronte a una storia ancora tutta da scrivere ma che, senz’altro, ha visto un lento e progressivo deterioramento delle sue condizioni climatiche che ha portato alla scomparsa di distese d’acqua simili ai nostri oceani e ai nostri mari, allo sviluppo di grandi deserti pieni di desolazione, alla formazione di dune e accumuli di sabbia che, sospinta dal vento, ha cancellato fiumi e corsi d’acqua dei quali oggi sono riconoscibili gli antichi letti e i canali incassati nei grandi altipiani vulcanici.
Al di là dei Miti degli Antichi e delle credenze, è proprio intorno agli antichi corsi d’acqua, ai canali osservati dalla Terra con i telescopi, che sono nate credenze e fantasie che, per decenni, hanno spinto a immaginare che Marte potesse essere abitato da esseri intelligenti. L’italiano Schiapparelli e in seguito lo statunitense Lowell, furono i primi astronomi a disegnare mappe dettagliate della superficie marziana e, per primi, rilevarono un’estesa rete di canali che sembravano attraversarne la superficie. Ma i loro fondamentali lavori furono sviluppati a partire dalle osservazioni di un altro astronomo italiano, Padre Angelo Secchi, che realizzò nel 1858 una delle prime mappe di Marte, denominando Syrtis Major una lunga depressione simile a un canale. Avrebbe mai potuto immaginare il Gesuita Padre Angelo Secchi che molti decenni dopo, un Papa, Gesuita come lui, avrebbe tenuto fra le mani un frammento del Pianeta Rosso che per tante notti insonni aveva inseguito nel cielo con così tanta attenzione?
Eppure all’epoca delle osservazioni di Secchi la meteorite dalla quale proviene il frammento che verrà consegnato a Papa Francesco era probabilmente già caduta e riposava in un deserto terrestre, nel Sahara, a centinaia di milioni di chilometri dai deserti marziani. Il viaggio di quella roccia proveniente da Marte era iniziato milioni di anni prima, quando un asteroide ha colpito la superficie del pianeta liberando una grande quantità di energia e scavando un grande cratere da impatto, simile in tutto e per tutto a quelli che coprono gran parte della superficie della Luna. Nell’esplosione catastrofica che si sviluppò, alcuni frammenti rocciosi della crosta marziana furono scagliati nello spazio, dove si persero vagando per milioni e milioni di anni. Alcuni ricaddero probabilmente sul Pianeta Rosso, altri sono forse ancora là, da qualche parte, in orbita intorno alla nostra stella, altri ancora sono senz’altro caduti proprio sul Sole attratti dalla sua enorme forza di gravità. Ma qualcuno di quei frammenti, in viaggio verso il centro del nostro Sistema Solare, ha trovato sul proprio cammino la Terra e sulla Terra è caduto: l’attrito dell’atmosfera, il surriscaldamento, una lunga scia luminosa e l’impatto della meteorite in una regione desertica, nel nostro caso una zona imprecisata dell’Africa occidentale dove poi è stata trovata e raccolta.
Studiata e classificata presso il Museo di Scienze Planetarie di Prato, nel 2013 quella meteorite è stata ufficialmente denominata NWA 7387. È una delle circa cento meteoriti marziane rinvenute sulla Terra, una roccia della superficie di Marte che, denominata Shergottite, ha un grandissimo valore scientifico. Molti restano perplessi di fronte alla possibilità di trovare sulla Terra un frammento roccioso marziano ed esprimono riserve sulla possibilità che possa realmente trattarsi di una roccia proveniente da Marte, ma le analisi scientifiche non lasciano spazi a dubbi: elementi in tracce, isotopi, inclusioni fluide, hanno permesso agli scienziati di definire l’esatta provenienza di queste come delle altre meteoriti: ne esistono di primordiali, le condriti, che non sarebbero altro che quanto “avanzato” dalla formazione dei pianeti del Sistema Solare; abbiamo le Lunari che, provenienti dal nostro satellite, hanno avuto una storia simile a quella delle meteoriti marziane; troviamo le metalliche e altre rocciose provenienti da asteroidi e, forse nel caso delle carbonacee, da nuclei cometari disintegratisi nel loro lungo cammino intorno al Sole. Le meteoriti sono quindi veri e propri messaggeri dallo spazio che portano sul nostro pianeta informazioni fondamentali per la comprensione dei processi di formazione del nostro Sistema Solare e dell’Universo in cui siamo immersi assieme alla Luna, al Sole e alle Stelle ammirati e amati nel Cantico delle Creature di San Francesco d’Assisi, il piccolo grande uomo che, con la sua umiltà e la sua sensibilità verso la natura, ha ricordato agli esseri umani di far parte del mondo in cui vivono senza tuttavia esserne i padroni. Il Santo che Papa Francesco, prendendone per primo il nome, ha scelto come ispiratore del suo papato per l’umiltà, la compassione verso i deboli, la sensibilità verso l’ambiente, la volontà di sentirsi parte del Creato senza per questo dover porsi al centro dell’Universo.
E in questo sta il messaggio del dono che offriamo a Papa Francesco: un piccolo e umile gesto di vicinanza (e non necessariamente di avvicinamento) tra scienza e religione che, comunque, sono due magisteri diversi che non devono necessariamente fondersi né restare lontani. Un gesto, quello che proponiamo, che possa invitare a rivolgere i nostri sguardi verso il cielo, apprezzando la bellezza del firmamento, la poesia delle leggi che ne regolano l’evoluzione, la consapevolezza che oltre agli esseri che popolano la Terra, potrebbero farne parte altri viventi, piante, animali, civiltà anche evolute che, tra miliardi di galassie che raggruppano miliardi e miliardi di stelle, nei quasi quattordici miliardi di anni di vita dell’Universo, potrebbero essersi posti le nostre stesse domande. Ma cosa possiamo e potremmo dire oggi al riguardo, con le conoscenze scientifiche che abbiamo acquisito? Come dobbiamo porci di fronte all’idea di un tempo e di uno spazio troppo grandi per essere immaginati? Come affrontare la possibilità che l’Uomo non sia stato o non sia il solo e unico spettatore che si strugge di fronte alle meraviglie del Cosmo? È in un’intervista del 2008 pubblicata dall’Osservatore Romano che, all’allora Direttore della Specola Vaticana Padre Funes, vengono rivolte queste ed altre domande apparentemente imbarazzanti per un religioso. E le sue risposte, quelle di un altro Padre Gesuita, aprono alla possibilità che esistano altre forme di vita e, anzi esaltano, in questa possibilità, la grandezza e l’onnipotenza di Dio. E di fronte all’idea che possano esistere altri esseri senzienti e dotati d’intelligenza, Padre Funes conserva un atteggiamento quasi disarmante, rispondendo letteralmente “L’extraterrestre è mio fratello”, evidenziando così quanto grande sia stato il cambiamento dell’atteggiamento della Chiesa verso questi temi negli ultimi secoli. Le polemiche che ancora vengono alimentate sono riservate alle frange estremiste della comunità scientifica e delle comunità religiose che in realtà, oggi, per lo più dialogano tra loro confrontandosi su temi importanti con punti di vista naturalmente diversi e non necessariamente in contrasto.
La condanna di Giordano Bruno per eresia, l’interpretazione letterale delle Sacre Scritture, l’abiura di Galileo, sono frutto di contesti storici assolutamente diversi da quelli attuali e la Chiesa stessa ha risposto con fatti che, ad esempio nel caso di Galileo, hanno preceduto di decenni le scuse formali di Giovanni Paolo II: la Specola Vaticana voluta da Leone XIII, il Vatican Advanced Technology Telescope di Monte Graham in Arizona gestito dai Padri Gesuiti, i contributi scientifici di decine di religiosi, costituiscono la migliore risposta alle accuse mosse ancora oggi da alcuni scienziati su fatti del passato. Scienza e fede possono convivere senza sovrapposizioni e senza contrasti e crediamo che il piccolo frammento di roccia marziana che sarà consegnato a Papa Francesco a Prato, sia il modo migliore delle nostre comunità, religiosa e scientifica, per ricordare e condividere quanto Giordano Bruno scrisse nella sua opera La Cena delle Ceneri: “Non più la Luna è cielo a noi che noi a la Luna”. Siamo parte di un Universo infinitamente più grande di noi in cui possiamo riconoscere la grandezza di Dio.
Redazione Papaboys (Fonte www.famigliacristiana.it/Eugenio Arcidiacono)