Adriana Masotti – Città del Vaticano
Semplicemente un prete, un prete vero: questo è stato don Pino Puglisi, secondo Papa Francesco che dal suo esempio di vita sacerdotale estrae tre parole che “possono aiutare il nostro sì totale a Dio e ai fratelli”. Nell’incontro in Cattedrale con i sacerdoti e i seminaristi, i religiosi e le religiose di Palermo, il Papa indica qual è l’identità di chi si consacra al Signore attraverso i verbi ‘celebrare’, ‘accompagnare’ e ‘testimoniare’.
Francesco ricorda le parole che ogni sacerdote pronuncia durante l’Istituzione eucaristica: «Prendete e mangiatene tutti: questo è il mio corpo offerto in sacrificio per voi». Sono le parole della celebrazione ma, dice, “non devono restare sull’altare, vanno calate nella vita: sono il nostro programma di vita quotidiano”:
Ci ricordano che il prete è l’uomo del dono, del dono di sé, ogni giorno, senza ferie e senza sosta. Perché la nostra, cari sacerdoti, non è una professione, ma una donazione; non un mestiere, ma una missione.
Ma la chiamata a dare il perdono è per tutti: “La forza di voi sacerdoti, del vostro sacerdozio, la forza a voi, religiose, della vostra vita consacrata, anche è qui: pregare per chi fa del male, come Gesù”.
E il Papa suggerisce di chiedersi ogni giorno: “Oggi ho dato la vita per amore del Signore, mi sono “lasciato mangiare” dai fratelli?” Ma il sacerdote, uomo del dono, è anche uomo del perdono. Pronuncia infatti anche queste parole: ‘Io ti assolvo dai tuoi peccati’. Il sacerdote, uomo del perdono, è chiamato a incarnare queste parole.
Il prete non porta rancori, non fa pesare quel che non ha ricevuto, non rende male per male. No, il sacerdote è portatore della pace di Gesù: benevolo, misericordioso, capace di perdonare gli altri come Dio li perdona per mezzo suo (cfr Ef 4,32). Porta concordia dove c’è divisione, armonia dove c’è litigio, serenità dove c’è animosità.
Francesco insiste: “Mettere zizzania, provocare divisioni, sparlare, chiacchierare (…) è negare la nostra identità di sacerdoti, uomini del perdono, e di consacrati, uomini di comunione. E poi: “Vita e liturgia non possono andare su binari differenti. Il sacerdote è uomo di Dio 24 ore su 24, non uomo del sacro quando indossa i paramenti”.
Il Papa accenna poi alla religiosità popolare molto diffusa in Sicilia e dice che si tratta di “un tesoro che va apprezzato e custodito”, ma che è necessario:
Vigilare attentamente, affinché la religiosità popolare non venga strumentalizzata dalla presenza mafiosa, perché allora, anziché essere mezzo di affettuosa adorazione, diventa veicolo di corrotta ostentazione. Lo abbiamo visto nei giornali, quando la Madonna si ferma e fa l’inchino davanti alla casa del capo mafia; no, quello, non va, non va assolutamente!
Il secondo verbo è: accompagnare “la chiave di volta dell’essere pastori oggi”, perché c’è bisogno “di preti che siano icone viventi di prossimità”, come don Puglisi:
Impariamo da lui a rifiutare ogni spiritualità disincarnata e a sporcarci le mani coi problemi della gente. Andiamo incontro alle persone con la semplicità di chi le vuole amare con Gesù nel cuore, senza progetti faraonici, senza cavalcare le mode del momento. La via dell’incontro, dell’ascolto, della condivisione è la via della Chiesa.
Prossimità, una parola che va sottolineata, dice il Papa, “perché è questo che ha fatto Dio. (…) Dio si è fatto vicino annientandosi, svuotandosi, così dice Paolo”.
Poi Francesco si rivolge alle religiose, per dire che la loro missione è grande “perché la Chiesa è madre e il suo modo di accompagnare sempre, deve sempre avere un tratto materno”. E allora dice: “è importante che siate coinvolte nella pastorale per rivelare il volto della Chiesa madre”. E alle contemplative indirizza il suo ringraziamento per la loro preghiera, cuore della Chiesa.
Il terzo verbo è testimoniare. “La vita, afferma, parla più delle parole. La testimonianza contagia”. E la testimonianza richiesta dal Vangelo è “servire nella semplicità”.
La Chiesa non sta sopra il mondo, ma dentro al mondo, per farlo fermentare, come lievito nella pasta. Per questo, cari fratelli, va bandita ogni forma di clericalismo: non abbiano in voi cittadinanza atteggiamenti altezzosi, arroganti o prepotenti. (…) Anche il carrierismo e il familismo sono nemici da estromettere, perché la loro logica è quella del potere, e il prete non è uomo del potere, ma del servizio. Testimoniare, poi, vuol dire fuggire ogni doppiezza di vita, in seminario, nella vita religiosa, nel sacerdozio.
“Vi auguro – dice Francesco – di essere testimoni di speranza”. E concludendo cita don Puglisi: “La speranza è Cristo, e si indica logicamente attraverso una propria vita orientata verso Cristo”.
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