Non è ancora Natale ma arrivano già le sorprese. Di ritorno dalla Georgia, Papa Francesco diceva di non sapere ancora quando sarebbe stato il prossimo Concistoro e ieri, cioè una settimana dopo, ecco la data (il 19 novembre) e l’elenco completo di 17 nuovi cardinali: 13 “elettori” e 4 ultra ottantenni.
Siria, Bangui, nella Repubblica centrafricana; Brasilia in Brasile, Dhaka in Bangladesh, Merida, in Venezuela, Port Louis nella Isola Maurizio, Tlalnepantla in Messico, Papua Nuova Guinea. Se uniamo i puntini delle zone geografiche che ho elencato tracciamo un confine lontano e periferico geograficamente parlando, rispetto a Roma. Se poi ci uniamo gli anziani viene fuori un’altra periferia perché la vecchiaia è il confine ultimo, il più periferico che la nostra vita conosce. Questo terzo giro di nomine mi conferma un’idea che mi ero fatto fin da subito: che le nomine non sono per “sconfessare” la prassi delle sedi cardinalizie ma per mostrare che nelle periferie non ci sono solo pecore lontane o smarrite ma anche pastori: pastori che sono lontani ma non sono smarriti e che anzi proprio per questo, con la loro nomina a cardinali, vengono chiamati dal papa a dare un aiuto diverso alla chiesa universale: viene riconosciuto il loro essere cardine, il luogo dove si regge la porta della Chiesa.
Leggi le loro storie e trovi dei preti. Uno in particolare, colpisce, il “semplice sacerdote albanese Ernest Simoni” di Scutari. Un martire ancora vivo. Un principe della Chiesa non di sangue blu ma di sangue versato. “Semplice” – così l’ha chiamato ieri il Papa – qui non sta per “non graduato” ma per quel “semplice-piccolo” di cui parla il vangelo. Di quei semplici, per capirsi, che sono i padroni del Regno di Dio. Quelli come Gesù, insomma.
Vale la pena leggere la storia di questo giovane cardinale, anzianissimo prete, che ha passato ventotto anni della sua vita in prigione. Il calvario di don Ernest era iniziato la notte di Natale del 1963 quando, per il semplice fatto di essere prete, era stato arrestato e messo in cella di isolamento, torturato e condannato a morte. Al suo compagno di cella avevano ordinato di registrare la prevedibile rabbia del prigioniero ma don Ernest aveva avuto solo parole di perdono e di preghiera per i suoi aguzzini. E così la pena era stata commutata in venticinque anni di lavori forzati, nelle miniere e nelle fogne di Scutari, il nuovo “contesto speciale” della sua attività pastorale. Lì aveva celebrato la Messa a memoria in latino e aveva anche distribuito la comunione. Alla liberazione, il suo primo atto era stato quello di confermare il perdono ai suoi aguzzini. 11.000 giorni di prigionia, isolamento e torture, 28 anni passati a perdonare e pregare, per scontare l’accusa di essere sé stesso: un semplice prete. Ora è cardinale. Un semplice cardinale. Se la Chiesa è famiglia, e lo è, questo è un momento di gioia e di vita. Quindi, mi correggo: è già Natale.
Di Don Mauro Leonardi
Articolo tratto da IlFaroDiRoma