Un commosso e commovente incontro con il dramma dell’immigrazione visto dal punto di vista dei bambini. È stato soprattutto questo il momento vissuto da Papa Francesco con i centinaia di giovanissimi di varie etnie e religioni giunti in Vaticano dalla Calabria con il “Treno dei bambini”, l’annuale iniziativa organizzata dal Pontificio Consiglio della Cultura.
“Buongiorno, Papa”, volevo chiederti “di pregare per la mia famiglia che è andata in cielo”, e “per i miei amici”, anche loro “sono andati in cielo”, “sono morti nell’acqua”. È Sayende, un ragazzino della Nigeria – carne di Cristo che ha già conosciuto la morte senza aver conosciuto la vita – a dare in due parole il senso della festa, perché questa vuole essere, portata in Vaticano dal “Treno dei bambini”.
Chi è diverso è nostro fratello
È un treno in cui il dolore del vissuto dei suoi piccoli passeggeri è una trama sulla quale si intreccia l’ordito della cura e dell’affetto donati ai ragazzini dall’Associazione Giovanni XXIII, dall’Orchestra infantile “Quattrocanti” di Palermo in cui cantano ragazzi di otto etnie, dall’intraprendenza di Maria Salvia, preside di una scuola di Vibo Marina, che porta a Francesco i soldi di una colletta per i bimbi di Lesbo e una lettera, firmata dai suoi alunni, che il cardinale Ravasi legge al Papa:
“Noi, bambini, promettiamo che accoglieremo chiunque arriverà nel nostro Paese; non considereremo mai chi ha un colore di pelle diverso, chi parla una lingua differente o professa un’altra religione, un nemico pericoloso”.
Soltanto il giubbetto
È il mondo che i bambini sognano, e non solo loro. Francesco ascolta, sorride, si commuove. Scherza, botta e risposta, quando il microfono passa a lui, maestro di una classe che vuole sentire le parole del Papa della tenerezza. Si fa portare il disegno di un bambino – col sole, il mare, le onde che si muovono. Onde, dice il piccolo, che possono “far morire la gente”. Una storia di carta, cui Francesco fa seguire una di terribile attualità. Mercoledì scorso all’udienza generale tre soccorritori volontari lo salutano e gli donano piangendo un oggetto:
“Mi ha portato questo giubbetto e piangendo un po’ mi ha detto: ‘Padre, non ce l’ho fatta. C’era una bambina, sulle onde, ma non ce l’ho fatta a salvarla. Soltanto è rimasto il giubbetto’. Questo giubbetto è di quella bambina. Non voglio rattristarvi, ma voi siete coraggiosi e conoscete la verità. Sono in pericolo: tanti ragazzi, bambini, bambine, uomini, donne, sono in pericolo (…) Pensiamo a questa bambina … Come si chiamava? Ma, non so: una bambina senza nome. Ognuno di voi le dia il nome che vuole, nel suo cuore. Lei è in cielo, lei ci guarda”.
“Hai studiato con Heidegger!”
C’è chi si imbarca per cercare un destino diverso e chi questo destino vuole respingerlo, deviarlo, scaricarlo altrove. “È un’ingiustizia”, gridano i ragazzini parlando di chi non lascia passare gli immigrati. E quando un bambino li definisce “bestie”, Francesco gli dice scherzando: “Ma tu hai studiato con Heidegger!” e invitandolo accanto sé con delicatezza e sapienza gli spiega…
“…ma lui non ha voluto insultare, lui non ha fatto un insulto. Ha detto che una persona che chiude il cuore non ha cuore umano, perché non lascia passare, ha un cuore animale, diciamo, come una bestia, che non capisce”.
“Gesù vuole che io faccia del bene”
Invece i bambini capiscono e il Papa le amplifica per loro, parole come “pace, fratellanza, compassione, bene, uguaglianza”, “accoglienza”. Tra i bambini, ve ne sono 50 dell’Associazione romana “Sport senza frontiera”. Una bambina chiede a Francesco cosa sia per lui “essere Papa”. Significa, è la risposta, fare il “bene che io posso fare”:
“Ma io sento che Gesù mi ha chiamato per questo. Gesù ha voluto che io fossi cristiano, e un cristiano deve fare questo. E anche Gesù ha voluto che io fossi sacerdote, vescovo e un sacerdote e un vescovo devono fare questo. Io sento che Gesù mi dice di fare questo: questo è quello che sento”.
Il servizio è di Alessandro De Carolis per la Radio Vaticana
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