I carcerati commentano la decisione del Papa di dedicare particolare attenzione a chi vive dietro le sbarre: “Ti fa sentire non diverso dagli altri davanti a Dio”. «Quando ho saputo per la prima volta che Francesco aveva paragonato le porte delle nostre celle alla Porta Santa, la sera stessa tornando in cella dopo il lavoro, proprio prima di entrare ho avuto un tuffo al cuore e, di colpo, mi sono fermato», racconta Giuseppe P. a La Stampa, carcerato al Due Palazzi di Padova.
«Le parole del Papa per noi carcerati sono quelle di un padre che ti fa sentire bene e non diverso dagli altri, davanti a Dio», gli fa eco Giovanni Bledar, ergastolano di origini albanese. Entrambi reclusi del carcere della città veneta. Entrambi lavorano all’ interno dell’ Istituto di pena con la Cooperativa Giotto, che ha avviato varie attività, tra le quali un’ apprezzata pasticceria. Sono le loro reazioni alla decisione di Papa Francesco, che ha voluto caratterizzare l’ Anno Santo della Misericordia con una speciale attenzione per chi vive dietro le sbarre. Pensando ai carcerati Bergoglio ha ricordato che «il Giubileo ha sempre costituito l’ opportunità di una grande amnistia», per tante persone che, «pur meritevoli di pena, hanno tuttavia preso coscienza dell’ ingiustizia compiuta e desiderano sinceramente inserirsi di nuovo nella società». «A tutti costoro – scrive il Papa – giunga concretamente la misericordia del Padre che vuole stare vicino a chi ha più bisogno del suo perdono. Nelle cappelle delle carceri potranno ottenere l’ indulgenza, e ogni volta che passeranno per la porta della loro cella, rivolgendo il pensiero e la preghiera al Padre, possa questo gesto significare per loro il passaggio della Porta Santa, perché la misericordia di Dio, capace di trasformare i cuori, è anche in grado di trasformare le sbarre in esperienza di libertà». Parole che hanno colpito e commosso tanti detenuti. Racconta Giuseppe P.: «Ho guardato la porta della mia cella, che già da troppi anni varcavo malvolentieri, mi sono allora chiesto se, adesso, meritavo di attraversarla. Ho guardato il soffitto impolverato del corridoio ed è stato in quel momento che ho realizzato quanto Francesco, nonostante tutto, nonostante i miei errori, il mio passato, le mie malefatte, il trascorso di tutti quelli che come me vivono dietro queste porte, avesse considerazione di noi». «Sta insegnando al mondo intero – continua il carcerato – che in questa periferia esistenziale ci sono persone bisognose di perdono e misericordia. Ed è stato con questo pensiero che ho varcato quella porta per l’ ennesima volta con in cuore una preghiera in più per me, per la mia famiglia, per le persone che, nonostante tutto, dedicano con amore il loro tempo a noi. Questa è la misericordia di cui parla Francesco». «Francesco si definisce un peccatore – dice ancora Giuseppe – e questo è ulteriormente disarmante. Spesso quando sono solo in cella e mi guardo allo specchio mi chiedo quanto il mio essere un peccatore possa piacere al Signore. Non è piacevole la sensazione che si prova. Dover ammettere a se stessi gli errori di una vita è devastante. Però Francesco una cosa ancor più devastante me l’ ha insegnata: l’ amore di Dio non rimane lontano da chi è un peccatore.
E le sue preghiere, affinché ciascuno di noi apra il cuore all’ amore di Dio, per chi è veramente un peccatore, mi imbarazzano». «Misericordia, amore, riconciliazione – conclude il carcerato – Tre parole che marchiano a fuoco la mia vita. Misericordia è ciò che ho chiesto a chi mi ha accusato, anche ingiustamente; amore è ciò che ancora cerco nel sacco ormai vuoto della mia vita; riconciliazione è ciò che spero per il futuro. La vita di chi deve ancora vivere, e per molti anni, dietro le “Porte Sante” del carcere, è disseminata di queste tre qualità. Credo, e posso dirlo non a titolo personale, che chi vive qui dentro battaglia ogni giorno per guadagnarsi un pezzetto, piccolo piccolo, di ognuna di queste. Ogni pezzetto che servirà a completare il mosaico che, infine, raffigurerà la libertà». Giovanni Bledar, ergastolano albanese, spiega: «Sentire il Santo Padre dire che ogni porta della cella di ognuno dei detenuti è Porta Santa mi ha molto colpito. E ho la speranza che lo Spirito Santo sia intorno a questa Porta Santa, così io so che anche se sono qui a scontare la mia pena, non c’ è porta che non si apre: bussate e vi sarà aperto, ha detto Gesù». «Le parole del Papa per noi carcerati – spiega Bledar – sono quelle di un padre che ti fa sentire bene e non diverso dagli altri, davanti a Dio siamo tutti uguali e questo mi dà speranza per andare avanti. Mi viene in mente il Buon Ladrone sulla croce, che era un peccatore, e il Signore gli ha detto: oggi sarai con me in Paradiso. La misericordia verso le persone che mi hanno fatto del male o alle quali io ho provocato sofferenze e dolori, vuol dire per me mettermi nei loro panni, perdonarli e chiedere perdono per arrivare a una riconciliazione per vivere una vita degna e piena di rispetto e amore».
Redazione Papaboys (Fonte vaticaninsider.lastampa.it/Andrea Tornielli)
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