Sofia Maria dorme tra le braccia della mamma. Nulla ricorderà della notte della scossa, quando le case andavano in frantumi e i muri ballavano. E’ viva qui nel giardino di Amatrice, sole che scalda macerie e i cuori di chi ha perso tutto.
La mamma Domnica e il papà Michajl, rumeni, raccontano la storia di un miracolo, la storia della loro famiglia, che ce l’ha fatta ad uscire dalla macerie, i volti ricoperti di polvere e Sofia Maria, 28 giorni appena, affagottata nella coperta insieme alle due sorelline, portare giù sulle scale traballanti, fuori nella piccola piazza dove tutto cadeva. Abitavano nella frazione di Sommati, una delle tante di Amatrice. Si erano conosciuti a Roma i due ragazzi rumeni e si erano sposati. Prima una bimba e poi un’altra. Un lavoro da muratore. Ma a Roma non ce la facevano. Troppo cara, la capitale. Amatrice poteva essere una scommessa e loro l’hanno accettata. Hanno trovato una casa bella e grande nella frazione appena sotto il paese, promessa di vita buona. I soldi bastavano e con il mutuo l’hanno comprata.
Racconta Domnica: “Abbiamo fatto sacrifici, Michajl lavorava e poi faceva altri mille lavoretti. Eravamo felici”. Adesso che hanno perso tutto le rimane la vita e le basta. Vuole solo una benedizione per Sofia Maria. A Sommati sono morti in tanti compresi tre inglesi che abitavano in una casa antica che avevano ristrutturato. Spiega Michajl: “D’inverno siamo appena due famiglie, ma in questi giorni la piccola frazione si era riempita di gente di qui che stava lontano, come ogni estate. Noi ci siamo salvati, altri, troppi, sono morti”. Lui dopo aver messo in salvo la sua famiglia si è messo a scavare con le mani, ma il maglio del terremoto aveva già fatto il suo lavoro: “Sono riuscito a salvare soltanto quattro persone”. Racconta la notte, quella notte dopo le 3,36: “Abbiamo acceso un fuoco accanto alla macerie per scaldarci. Abbiamo aspettato i soccorsi”. Domnica stringeva Sofia Maria tra le braccia, lui le altre bimbe. Adesso loro giocano nella tenda dei volontari, una chitarrina e un flauto, disegni di alberi e di fiori.
Di quella notte il papà ricorda ogni particolare, la mamma che urlava, lui che sfonda una porta, il fagotto con dentro le figlie, la forza della disperazione , i gradini delle scale che si sgretolano uno ad uno dietro di loro e poi la strada, il prato libero, la polvere la salvezza. Parlano con un filo di voce, finché arriva la domanda di Domnica: “C’è qualcuno che può benedire questa mia bimba?”. Con Alessia Giuliani, la fotoreporter di Famiglia Cristiana, ci guardiamo negli occhi. E’ solo un attimo e la domanda trova una risposta: c’è don Domenico il vescovo di Rieti, che noi siamo abituati a chiamare così per i tanti anni di amicizia quando era portavoce della Cei e c’è mons. Galantino, segretario generale dei vescovi italiani: “Potete venire? C’è una bimba da benedire”. Domnica è felice, ha le lacrime agli occhi, lei che è ortodossa rumena. Sofia Maria è la speranza di Amatrice e il sigillo della vita più forte del terremoto. Resta il dolore per tanti rumeni morti qui, diventati cittadini di Amatrice, comunità che li ha accolti. Sono sette i morti rumeni ad Amatrice, compreso un bambino. Altri nove risultano dispersi e quattro sono ricoverati in ospedale a Rieti. Ieri ad Amatrice è arrivato anche padre Costantin Horban, sacerdote della Chiesa ortodossa rumena d’Italia.
Redazione Papaboys (Fonte www.famigliacristiana.it/Alberto Bobbio)
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