Il web 2.0 cambia l’uomo. Ma la rete interpella la persona come una nuova dimensione, che in quanto tale modifica la persona stessa, o come un nuovo ambiente, che richiede solo un adattamento? Mutano le interazioni, tanto tra persona e persona quanto tra persona e mezzi di comunicazione, e con esse si modificano sia il vissuto quotidiano sia il confronto con momenti decisivi dell’esistenza, dalla nascita alla malattia, dall’amore alla morte. In che modo? Il Sir dedica una mini-serie alla “Vita 2.0”.
Esistenza aumentata. I 9 mesi della gravidanza finiscono su Instagram, in sala parto si entra con lo smartphone per twittare, la malattia trova nei blog la possibilità di essere raccontata senza tabù, l’amore e il sesso trovano nelle chat e nelle ‘app’ di incontri una sorta di estensione sensoriale, dall’amore platonico al sexting, i morti camminano accanto ai vivi su Facebook e Twitter e altri siti promettono di far parlare i nipoti con un avatar del nonno. La vita è già 2.0, è come se l’esistenza fosse stata aggiornata a una nuova versione comprensiva del versante analogico – mondo concreto – e del versante digitale, ma questo update ha introdotto un aggiornamento nella sostanza dell’essere umano? E se un cambiamento è in atto, è di natura antropologica (dell’uomo), ontologica (della realtà) o epistemologica (del modo di conoscere la realtà)?
Prudenza. “Un cambio epistemologico potrebbe esserci – afferma Piermarco Aroldi, ordinario di Sociologia dei processi culturali e comunicativi all’Università cattolica del Sacro Cuore di Milano – ma dall’età Moderna in poi ne abbiamo subiti tanti, quasi a ogni passaggio generazionale. Non sono altrettanto propenso a credere che sia un cambiamento antropologico: l’umano ha delle radici che l’epistemologia non cambia in modo radicale, ma a livello più superficiale di forma culturale, espressione, linguaggio. Di fronte a questo tipo di domande occorre prudenza sia da parte degli apocalittici sia da parte degli integrati”. Muoversi con circospezione consapevoli di star esplorando un continente nuovo, nel quale gli stessi studiosi si muovono con prospettive differenti. “La nuova agorà – commenta don Piermario Ferrari, filosofo e teologo ex preside della Facoltà di Teologia di Novara – è questa, bisogna fare i conti con una dimensione che può far emergere tratti inediti. L’uomo sta mutando se stesso, siamo di fronte a una rivoluzione antropologica. Questa dimensione virtuale può mettere in connessione con tutti, ma stiamo diventando forse una folla di individui solitari in connessione permanente?”. Il virtuale si impone nel quotidiano così come in momenti eccezionali, quasi a configurare un nuovo livello della realtà. “Propendo per un cambio ontologico – afferma Andrea Vaccaro, teologo e autore del libro ‘Bit bang: la nascita della filosofia digitale’ -. Con l’emergere di quello che può essere definito l’universo digitale si è venuto a creare un terzo piano di realtà. In passato, l’alternativa si limitava al piano della realtà fisica e sensibile e oltre questo si poteva intravedere il mondo intelligibile o mistico. Ecco, a me sembra che adesso l’universo digitale abbia aperto un terzo ordine di realtà che segna una svolta epocale”.
Orientarsi. Che si ritenga il cambiamento positivo, negativo o neutro, il continente digitale ha punti cardinali differenti da quelli del corrispettivo analogico e richiede una nuova bussola per non perdersi. “Il web 2.0 – sottolinea Ferrari – dovrebbe essere un mezzo potenziante, ma ho qualche dubbio che una tecnica così sofisticata sia ancora un mezzo. Sta diventando un nuovo soggetto. Si raccomanda ai giovani di ‘usare bene’ il web, ma è ancora un mezzo che si possa usare bene o male? Che rapporto si è instaurato tra ‘psiche’ e ‘techne’? La psiche umana è libera nei confronti della tecnica o la tecnica la sta modificando?”. Tra epistemologia, antropologia e ontoleogia spunta l’etica. “Anche per le azioni tecnologiche – commenta Vaccaro – vale il criterio etico degli atti in generale: più del gesto, conta l’intenzione con cui questo è compiuto”. “Il problema – afferma Adriano Fabris, professore di Etica della comunicazione e Filosofia delle religioni all’Università di Pisa – da un punto di vista di etica della comunicazione online è non confondere in un calderone di indifferenza virtuale e reale. Occorre insegnare a tenere distinte le varie forme di vita, a metterle in relazione valida e proficua. Il virtuale ci coinvolge perché coinvolge le nostre emozioni, questo è un dato positivo e noi dobbiamo imparare a gestirlo perché significa che le tecnologie sono ugualmente veicolo di emozione: questo è il punto chiave, c’è un cambiamento ontologico grazie a queste tecnologie proprio perché ci coinvolgono. Dobbiamo imparare a gestire questo nuovo ambito di emozioni veicolate attraverso i social. Ecco di nuovo il compito dell’etica, definire le relazioni buone e in che modo possono essere veicolate”.
Di Giuseppe Del Signore per Agensir