A fare fuoco un uomo di 57 anni che da tempo aveva dei contrasti con la famiglia che abitava nella stessa strada. Le vittime sono padre, figlio e una zia. “Parcheggiavano per dispetto la loro auto davanti a casa mia. Mi sono vendicato”
“Lo facevano apposta a parcheggiare le loro auto davanti a casa mia. Ho sbagliato, non voglio essere difeso, pagherò, ma dovevo mettere fine a questa storia”. Roberto Pappadà, operaio 57enne ora disoccupato con una sorella disabile a cui badare, dopo l’arresto ha confessato subito di essere autore della strage di Cursi, paesino di 4mila abitanti del basso Salento, conosciuto per le sue cave e per la secolare attività di estrazione della pietra leccese.
È accusato di aver ucciso Franco e Andrea Marti, padre e figlio di 63 e 36 anni, e Maria Assunta Quarta, 52 anni, zia di Andrea, e di aver ferito in modo non grave Fernanda Quarta, di 60, mamma di Andrea e moglie di Franco Marti, ricoverata nell’ospedale di Tricase (Lecce).
Nell’interrogatorio davanti al pm di Lecce Donatina Buffelli, alla presenza del suo difensore, l’avvocato Nicola Leo, ha ricostruito in maniera lucida la sua folle vendetta. Ha spiegato che il vaso era ormai “sbatterrato” (aveva raggiunto il culmine, secondo un termine salentino), dopo un anno e mezzo “di soprusi e offese subite”.
Ha confermato che il movente del delitto sono gli screzi di vicinato legati al parcheggio dell’auto in via Tevere dove l’omicida e le vittime abitavano. Pappadà ha quindi raccontato di essersi procurato illegalmente un revolver Smith & Wesson calibro 357 magnum e di aver attesto fino a tarda ora l’arrivo di Andrea Marti, giunto in via Tevere in auto con la fidanzata.
Dopo aver estratto l’arma e aver intimato alla giovane donna di allontanarsi, ha sparato due colpi da una distanza di quattro metri, colpendo il giovane alla testa e al petto. Quando poco dopo, forse allertato dalla fidanzata di Andrea Marti, è arrivata l’auto con a bordo il padre del giovane, Franco, insieme alla moglie e alla sorella di lei, ha fatto nuovamente fuoco, comportandosi come un tiratore scelto, o comunque come chi si è allenato a lungo per mettere a segno la sua spietata vendetta.
Dei tre bersagli si è salvata solo Fernanda Quarta, colpita di striscio da una pallottola. Ai militari dell’arma che sono accorsi e che lo hanno affrontato davanti ai cadaveri, l’assassino non ha opposto resistenza: ha ascoltato quello che gli dicevano i carabinieri e ha subito appoggiato l’arma per terra. Si è quindi arreso.
Secondo il racconto del comandante dei vigili urbani di Cursi, Luigi Epifani, più volte gli era stato chiesto se voleva che si provvedesse a destinargli un parcheggio riservato per portatori di handicap davanti a casa (Pappadà viveva con la sorella disabile), ma lui aveva sempre rifiutato. Diceva: “Non c’è bisogno perché nella strada c’è posto per tutti”, raccontano i vicini.
Pappadà, trasferito nel carcere di Borgo San Nicola a Lecce, è accusato di triplice omicidio pluriaggravato dai futili motivi e dalla premeditazione e di porto illegale di arma da fuoco.
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