Una riflessione silenziosa accomuna i musulmani italiani alle comunità islamiche d’Oltralpe che stanno manifestando in queste ore la loro vicinanza alla Chiesa di Francia. «Quel che hanno fatto a padre Jacques Hamel è il segno che ormai abbiamo oltrepassato il limite. È come se con quel gesto barbaro, avessero colpito uno di noi» dicono alcuni dei principali leader delle nostre comunità.
Il bisogno di condividere il dolore col mondo cattolico è affiorato anche in alcuni sermoni di ieri. «È doveroso per un musulmano difendere tutti i luoghi di culto perché in essi si evoca il nome di Dio – osserva uno degli imam di Verona, Mohsen Khochtali uno dei deputati al dialogo interreligioso per l’Ucoii, l’Unione delle comunità islamiche italiane, al termine della preghiera del venerdì –. Padre Jacques ha dedicato la sua vita alla convivenza e all’incontro e la decisione di ucciderlo barbaramente ci ha lasciato sgomenti. I fatti stanno diventando molto gravi, perciò partecipare alla Messa di domani come segno di solidarietà per noi è doveroso».
In mattinata, a rompere il silenzio era stata Coreis, la Comunità religiosa islamica italiana rappresentata dal vicepresidente Yahya Pallavicini, che ha detto di sostenere e condividere «pienamente la presa di posizione espressa nel comunicato dell’Istituto di Alti studi islamici, organo che partecipa attivamente alle concertazioni con il ministero dell’Interno della Repubblica Francese». Così, se in Francia l’invito a seguire le celebrazioni aveva riguardato una serie di città, da Parigi a Lione a Marsiglia e altri centri, Coreis ha invitato a dare «seguito anche in Italia a questa iniziativa di testimonianza di fratellanza spirituale», portando il saluto in chiesa al vescovo e al parroco a Roma, Milano, Novara, Genova, Verona e in diverse località sino a Palermo ed Agrigento. «Ci sembra fondamentale in questo momento drammatico dare con questo saluto dei musulmani d’Italia un segno concreto di profondo rispetto della sacralità dei riti, dei ministri e dei luoghi di culto del Cristianesimo dove i fedeli e i cittadini ricevono le benedizioni della comunione spirituale».
C’è un interrogativo inevitabile, a questo punto: si tratta di un passo condiviso dalla base dei credenti musulmani oppure anche l’islam italiano deve fare i conti con quel confronto generazionale che, in modo assai più burrascoso, sta attraversando la Francia? In altri termini, la vicinanza che viene e verrà mostrata in queste ore ai fedeli cattolici, nelle chiese italiane, è la testimonianza ‘avanzata’ di alcuni che hanno compreso la gravità del momento o al contrario l’inizio di un percorso condiviso che riguarderà la stragrande maggioranza dei cittadini italiani? È ancora presto per tentare una risposta. Se è giusto ricordare quel che dice l’imam di Verona («Facciamo fatica anche noi musulmani ad amalgare realtà diverse ») la sensazione di fondo si esprime probabilmente nelle parole del presidente della Casa della cultura musulmana di via Padova a Milano, Bounegab Benaissa. «Questo dolore tocca tutti, indistintamente, perché quando una parte delle religioni viene colpita, sono colpiti tutti. Trovo bellissima – sottolinea – l’iniziativa di partecipare alla Messa per condividere il dolore, perché la vita umana è sacra. Ciò che ha detto il Papa è giusto, questa non è una guerra di religione». Adesso la priorità è oscurare «i seminatori di odio, quei terroristi che fanno apologia dello scontro tra le fedi – riprende Mohsen Khochtali –. Lo schema è l’unico che conosciamo: lavorare sul terreno, tornare a incontrarci tutti i giorni, affrontare le difficoltà della vita quotidiana. Non conosco un’altra strada, se non quella che ha permesso per oltre 1400 anni a chiese e moschee di convivere nella pace. Non possiamo continuare a provare vergogna e ad avere paura perché dei criminali strumentalizzano l’islam. Continuiamo a vedere la mano di chi colpisce, ma non basta. Poi dovremo chiederci chi è il mandante».
Più sfumata la vicinanza espressa ai cattolici dal portavoce della Grande Moschea di Roma, Omar Camiletti, che a proposito della partecipazione alle celebrazioni di domenica nelle chiese a Tv2000 ha parlato di «gesto simbolico assolutamente apprezzabile, ma non sufficiente. Abbiamo bisogno di contrastare l’eccesso di separatezza. Per questo siamo andati con studenti e adolescenti in alcune chiese di Roma come San Pietro». Per Foad Aodi, presidente delle Comunità del mondo arabo, invece, è necessario che «tutti i musulmani» si rechino «nelle chiese delle zone in cui risiedono per pregare fianco a fianco con i nostri fratelli cristiani». Un gesto che equivale a «un segno di unità e alleanza interreligiosa contro il terrorismo».
Redazione Papaboys (Fonte www.avvenire.it/Diego Motta)
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