Arrivano appena fa buio, intorno alle 19, e cominciano a prendere i posti “migliori”. Chi si sistema sotto i portici, chi sotto i negozi appena chiusi. All’inizio rimangono seduti e poi, a poco a poco, con il diradarsi dei visitatori, cominciano a preparare i giacigli per la notte. Primo strato un cartone, poi una coperta, ancora una coperta e lo zaino sistemato come cuscino. Roma, piazza San Pietro, una sera come tante altre. Qui non importa che sia sabato, si contano solo i gradi. Fa freddo ma loro, per una qualche forma di dignità, dicono: «No, non tanto: poi quando sei sotto imbacuccato non senti nulla».
Sono gli invisibili, i senza fissa dimora che ogni notte in numero variabile fra le trenta e le quaranta persone dormono alle porte di San Pietro. Polacchi quelli che dormono sotto i portici antistanti la piazza, rumeni quelli che si sistemano subito girato l’angolo.
Per la morte di uno di loro, ai primi di dicembre, nel parcheggio del Gianicolo a pochi metri da qui, papa Francesco ha pianto e ha scritto: «Non è possibile che non faccia notizia il fatto che muoia assiderato un anziano ridotto a vivere per strada mentre lo sia il ribasso di due punti di Borsa».
Sotto il bookshop Benedetto XVI c’è Daniel, 56 anni, rumeno di Costanza, è qui da qualche mese, prima era a Palermo a lavorare nelle campagne ma poi il lavoro è finito. Dice: «Sono venuto a Roma a cercare qualcosa di meglio ma insomma, per ora, mi devo accontentare di dormire per strada». «E tu ce l’hai una stanza?», mi chiede Daniel a bassa voce: «Perché non mi porti! Io mi metto per terra e non do fastidio». Davanti all’ingresso della Sala stampa vaticana c’è Claudio, polacco di 60 anni, dorme scalzo e parla poco italiano o forse non gli va proprio di parlare. Poi gli altri, sistemati come possono da un lato e dall’altro di via della Conciliazione.
Dalle 20 cominciano ad arrivare i volontari di associazioni, parrocchie, opere di carità che ogni sera portano qualcosa a questo popolo di invisibili. Pranzi al sacco, tè fumante, biscotti e, quando va bene, qualche pasto caldo. La Comunità di Sant’Egidio viene il giovedì, la Croce rossa il lunedì, l’Esercito della salvezza il mercoledì e la fondazione San Vincenzo de’ Paoli il venerdì, tanto per citare alcune realtà che aiutano.
Stasera è sabato, alle 19.30 arriva un gruppo di scout dell’Agesci dalla parrocchia Nostra Signora di Coromoto ai Colli Portuensi. Sono ragazzi giovanissimi dai 15 ai 18 anni e per molti è la prima uscita. Come Michela, 17 anni: «Io faccio saltuariamente servizio nelle mense, ma è la prima volta che aiuto qualcuno che vive per strada, fa riflettere che ci siano tanti poveri proprio qui al freddo, fuori da San Pietro». È la prima volta anche per Andrea, anche lui 17 anni, che dice: «Abbiamo preparato panini e pranzi al sacco con succo di frutta e una mela, per ora ne abbiamo distribuiti una trentina, confesso che sono colpito, di solito il sabato vado al pub con gli amici. Non avrei mai pensato che mi sarei trovato qui, e quello che vedo è uno spettacolo triste che non ti aspetti sotto casa del Papa».
Dopo di loro, si fanno avanti due suore Albertine, aiutanti dell’elemosiniere del Papa: suor Miriam e suor Monica. Portano dei biscotti. «Quando avanza qualcosa dai pasti in Vaticano lo portiamo qui», dice suor Miriam, «stasera abbiamo distribuito della pasta per una ventina di persone, ma non succede sempre che possiamo uscire con del cibo».
Verso le 21 arriva ancora un’altra associazione. Avanzano con i trasportini della spesa e portano pranzi al sacco. Ma prima della distribuzione si dice un Padre nostro tutti insieme, guidati da Ernesto, pensionato che fa parte di questa associazione spontanea nata attorno alla parrocchia di Santa Maria alle Fornaci. «Padre Mario ci ha dato un locale che usiamo come deposito, ci troviamo lì il sabato e poi partiamo tutti insieme», spiega Giuseppe Di Martino, 50 anni, uno dei promotori dell’associazione. «Abbiamo un fondo cassa con cui compriamo panini e bevande: per noi, lo spirito cristiano è anche questo».
Poi ci sono alcune richieste. Renata, polacca oltre la cinquantina, vorrebbe un paio di scarpe numero 37: «Per Natale vorrei cambiarmi, sono vestita così da più di un mese. E poi vorrei dei pantaloni, sì certo, usati va bene, taglia 40». Claudio chiede delle aspirine o anti infiammatori, almeno una scatola: «Qui – dice – siamo sempre un po’ precari. Tra mal di testa e freddo ci servirebbero delle medicine».
Sono le 23. Ormai non passerà più nessuno a portare pasti o una parola. Si ferma una limousine bianca in mezzo alla piazza, scende un gruppo di ragazzi infiocchettati a festa con i bicchieri di champagne in mano. Scattano delle foto. Per chi guarda le due realtà, è un pugno nello stomaco. I polacchi cominciano a stendersi completamente e scompaiono sotto le coperte. Fa freddo solo a guardarli. Alle 5.30 con la luce cominceranno ad alzarsi, piegheranno le coperte, toglieranno i cartoni, rimetteranno tutto nello zaino e via, saranno inghiottiti nel fragore della città. E piazza San Pietro tornerà libera e gioiosa per i turisti.
Geraldine Schwarz
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